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L’uomo che trova l’acqua – Intervista di Nico Ivaldi

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Giorgio Cartosio e il suo “dono”

intervista di Nico Ivaldi

L’uomo che trova l’acqua ha settantaquattro anni, non è molto alto ma energico, di un’energia nervosa temperata da una dolcezza di modi che te lo rende immediatamente simpatico.
Vive in località Colla di Bandita di Cassinelle (cinquecento metri di altitudine, basso alessandrino, terra di colline e Dolcetto aspro), un pugno di case affacciate sui boschi e dominate dal campanile della chiesa parrocchiale di Santa Croce. Lui si chiama Giorgio Cartosio, nella vita ha fatto di tutto (il contadino, il manovratore di autogru, il muratore, riparava i tetti: insomma “ho sempre fatto lavorare il cervello” dice con orgoglio) e da anni è l’unica persona in tutto l’Ovadese, e forse non solo, capace di rintracciare una falda d’acqua fino a cento metri di profondità. È un rabdomante, insomma. Un cercatore di sorgenti.
Dice di aver ricevuto quarant’anni fa un “dono” che sente di dover difendere come fosse un tesoro.
Ma sono in pochi ad averlo” ci racconta nella sua abitazione, con la timidezza di chi non è abituato a chiacchierare con gli estranei. “Dicono che venga solo ai settimini come me, sempre che abbiano qualcuno che gli insegni a fare questo lavoro”, precisa.
A lei chi l’ha insegnato?
Un uomo che si chiamava Candido. Era stato chiamato da mia nonna per trovare acqua nel suo orto. Ero rimasto a bocca aperta di fronte al movimento dei due bastoncini che giravano nelle mani di Candido. A un certo momento lui mi ha detto: Giorgio, prendimi il polso e dimmi cosa senti. Io l’ho preso e ho sentito come una corrente fortissima che mi saliva sul braccio, una specie di scossa. Ho quasi tremato. Candido ha capito e mi ha detto di darmi da fare, che se volevo potevo diventare bravo come lui. Però mi ha anche raccomandato di fermarmi quando sono stanco, perché durante la ricerca dell’acqua si bruciano molte energie e c’è il rischio che il cuore si affatichi troppo”.
Le è mai successo di stare male?
Alcune volte sì” dice Cartosio. “Nel pieno della concentrazione sento i nervi che si strappano. Mi capita quando trovo l’acqua anche a trecento metri di profondità, è uno sforzo che ormai reggo a fatica. Guardi le mie braccia” e scopre vene pronunciate e dure.
Ma nessuno la obbliga a farlo…
“Aiuto i contadini nello scegliere dove costruire i pozzi per bagnare i campi. Ho ricevuto questo dono ed è giusto che lo metta a disposizione degli altri gratuitamente. Certo se qualcuno mi fa un piccolo regalo io lo accetto come un segno di riconoscenza. Ma non sono mosso dai soldi, il mio è volontariato”.
Qualche volta capita che Cartosio debba mettere il suo dono a disposizione di un’intera comunità di persone. Tempo fa, per esempio, era stato proprio lui a individuare i luoghi dove scavare per realizzare tre pozzi che consentissero al Comune di Ovada di avere acqua a disposizione per l’irrigazione del verde pubblico anche in periodi di siccità estiva, quando diventava impossibile usare l’acqua per usi diversi da quelli domestici e sanitari. I pozzi sono stati scavati: in quello del Parco Pertini la presenza di uno spesso strato di roccia viva ha costretto Cartosio agli straordinari per trovare la vena acquifera. Che tuttavia è stata raggiunta proprio dove il cercatore d’acqua aveva indicato e adesso è in grado di dare cinquanta litri al minuto. Meglio di un geologo, no?
Giorgio Cartosio sorride. La presenza del registratore sembra intimidirlo ancora di più, ma la prospettiva di un’uscita dimostrativa ha il potere di tranquillizzarlo.
Non lo so se sono meglio di un geologo, sono gli altri che devono dirmelo. Io so soltanto che con le mie canne individuo subito il punto esatto dove scavare, e riesco a calcolare con precisione la profondità della falda e la portata dell’acqua. È già successo che il geologo con tutti i suoi calcoli abbia fatto fare diversi buchi nel terreno prima di trovare l’acqua”.
Cosa risponde a chi non crede a questa sua capacità?
Che venga a vedermi all’opera, piuttosto. E poi per quale motivo dovrei ingannare la gente? Non ne vedo l’utilità”.
Secondo lei chiunque può fare il rabdomante o servono doti speciali?
“Non saprei dirlo, io già a una prima occhiata capisco se un certo luogo contiene acqua”.
Conosce altre persone che fanno questo lavoro?
In una borgata qui vicina abita una ragazza bielorussa, alla quale sto trasmettendo questo dono. È intelligente, sensibile e predisposta. Potrebbe essere la mia erede. Se crede, dopo possiamo andarla a trovare”.
Senta, Cartosio, cosa pensa di chi promette di trovare l’acqua semplicemente leggendo una mappa? (Si chiama “rabdomanzia mappale” e viene praticata in California, dove la siccità da record ha costretto gli agricoltori del posto a intervenire con ogni mezzo, compreso questa ricerca da lontano).
Penso che sia una truffa bella e buona. Non è possibile trovare l’acqua in quella maniera. Mi vengono in mente quelli che muovono il pendolino, che a seconda delle oscillazioni prevedono un evento piuttosto che un altro. Adesso vogliamo uscire, signor giornalista?”
Certo, ormai anche noi siamo curiosi di vederlo all’opera. Inforcate scarpe comode e indossata una giacchetta da lavoro (“sa, sono reduce da una brutta pleurite che mi sono preso a stare nei campi, colpa del sole caldo e del vento freddo che trafigge questa valle”) Cartosio ci guida nel bosco. Nelle mani tiene la forcella di giunco, il suo attrezzo del mestiere, utilizzata come amplificatore dei movimenti del corpo generati dalle presunte radiazioni emesse dall’oggetto ricercato.
Senta la mia mano” dice Cartosio posandola sul collo di chi scrive. “La sente calda?”
È molto di più che calda, è una sferzata di energia che si irradia fin lungo la schiena e lascia il palmo della sua mano leggermente bagnato. “È come se avessi assorbito tutta l’umidità del suo collo” dice, lasciando il paziente improvvisato in un’estasi fisica e mentale difficilmente descrivibile.
Superate tracce di caprioli e di cinghiali e varie pozze di acqua e fango, Cartosio a un tratto si ferma in un punto preciso del bosco.
Quando gli alberi sono folti e verdi come questi significa che la zona è buona. Sono un punto di riferimento infallibile perché più umida e quindi c’è acqua nel sottosuolo”.
Lei non era mai venuto qui prima d’ora?
No, di solito non vado per i boschi a cercare acqua se qualcuno non me lo chiede” risponde Cartosio. Non volevamo mancargli di rispetto, ma solo accertarci della totale serietà della prova.
Abbassa appena la schiena e guarda davanti a sé. Impugna la forcella con i palmi in alto, in modo da tenere le due aste in leggera tensione. A questo punto la forcella inizia a ruotare. Una, due, dieci volte. Alla cinquantaseiesima rotazione si ferma, come se avesse esaurito la spinta.
L’acqua si trova a cinquantasei metri di profondità” annuncia Cartosio con sicurezza. “Una per ogni giro”.
Smaltito lo sbalordimento iniziale, gli domandiamo cosa prova esattamente quando si avvicina alla vena d’acqua?
Percepisco vibrazioni che, attraverso le canne, mi percorrono tutto il corpo e mi permettono di riuscire a individuare il punto esatto dove scavare, giacché l’intensità della corrente che avverto, aumenta al massimo quando sono nel posto giusto”.
Proseguiamo e attraversiamo un sentiero che costeggia un piccolo corso d’acqua. Ci avviciniamo a una grande quercia.
Qui è quasi certa la presenza dell’acqua. Un albero dalle radici così grosse deve pur bere da qualche parte”.
Cartosio ha le vene delle braccia come ingrossate, sembra reduce da uno sforzo potente. “Adesso mi tenga il polso” sussurra. Le stesse parole che gli disse Candido quarant’anni prima. Assecondiamo il movimento del suo polso mentre la forcella gira e percepiamo effettivamente le vibrazioni d’energia sprigionate dal suo corpo.
Ecco qui l’acqua c’è, ma è stato fin troppo facile, gliel’avevo detto”.
Ci spiega Cartosio che utilizza la forcella in giunco per la profondità e quella in glicine per la portata. “Se il ramo si flette compiendo 16 giri, il numero va moltiplicato per 4 e il risultato è 64, significa che c’è una falda da 64 litri al minuto”.
Cartosio trasmette una sicurezza assoluta. Non ha dubbi sulla precisione della sua ricerca. Conosce perfettamente la sua scienza, il suo “dono”, ed è pronto a dimostrarlo a chiunque e in qualsiasi momento.
Se ha ancora del tempo la porto a conoscere la mia allieva” sussurra con la curiosità del fanciullo che ha scoperto un segreto, quando ormai il sole è tramontato. Lasciamo il bosco e superato un breve tratto di strada asfaltata arriviamo alla vicina cascina Bazarlicca.
Ecco Yanna” dice Cartosio indicando una ragazza bionda con la coda di cavallo intenta a bagnare le piante in un cortile. “Un giorno diventerà più brava di me”.
La ragazza, bielorussa di nascita, adottata da una famiglia del posto, sembra timida, ma quando impugna la forcella sprigiona concentrazione e un’energia nascosta. Cartosio affianca Yanna e fa un certo effetto vedere le due forcelle compiere più e più giri, come fossero sincronizzate. Papà Flavio e mamma Anna osservano la ragazza impegnata in questa antichissima pratica della ricerca dell’acqua. Appena disturbata dai capelli che le scendono sulla faccia, Yanna sembra disinteressarsi di ciò che le sta intorno. È come in trance. Alla fine le forcelle terminano i loro giri quasi nello stesso momento.
E a questo punto arriva la domanda che mai avremmo voluto ricevere:
Perché non prova anche lei?”
D’accordo, proviamo. Ci mettiamo in posizione, impugniamo correttamente la forcella e aspettiamo che cominci a muoversi. “Si concentri di più!” ci sprona Cartosio, vedendo che non succede nulla e che nulla nelle nostre mani si muove. Niente da fare, com’era prevedibile. È la conferma che la rabdomanzia non appartiene a tutti e si trasmette soltanto a pochi, a pochissimi. E questo lo sappiamo.
Però non sapremo mai attraverso quali meccanismi fisici e mentali si compie questa disciplina antica e misteriosa, praticata sin dal III millennio a.C. in Cina e in Egitto. Lo scontro tra scettici e “credenti” è tuttora in atto, nonostante non manchino le testimonianze di molte persone a cui il rabdomante ha ridato nuova vita a terreni apparentemente secchi.
Quel che possiamo testimoniare per averlo visto con i nostri occhi è che la forcella è sembrata realmente muoversi di sua volontà, come sospinta da una forza sconosciuta. Forse avremmo dovuto scavare per verificare effettivamente la presenza della falda acquifera, o assistere a una ricerca sul campo commissionata da qualche ente o qualche privato. A quel punto la dimostrazione avrebbe dato i suoi frutti.
Tuttavia quello che Giorgio Cartosio ha fatto davanti ai nostri occhi, per il momento ha fatto pendere il pendolino dalla parte dei “credenti”. Nell’attesa che il Cicap, o chi per lui, eventualmente, ci dimostri il contrario.

Nota
Il Cicap in effetti si è occupato scrupolosamente di rabdomanzia, e sul suo sito (www.cicap.org) si trovano diversi e interessanti articoli al riguardo. Per una trattazione più estesa, rimandiamo all’ottimo libro di Luigi Garlaschelli e Andrea Albini Rabdomanzia. La ricerca dell’acqua e di altri tesori nascosti (Avverbi, 2005).
Anche Piemonte Mese si è occupato dell’argomento nel numero di aprile 2010, con un’intervista a un altro possessore del “dono” affiancata, per completezza di informazione, da un articolo di Gabriella Bernardi, che illustra anche un esperimento effettuato proprio dal Cicap Piemonte. Ricordiamo che i numeri di Piemonte Mese dal 2005 al 2010 sono scaricabili gratuitamente in formato .pdf semplicemente cliccando sull’icona “Piemonte Mese” in home page. l.c.

 

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