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Agricoltura socialmente responsabile – di Valentina Tresso

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La ripresa nasce dalle buone pratiche

di Valentina Tresso

Chilometro zero? Agriturismi? Fattorie didattiche? Consumo critico? Agricoltura sociale? Sono termini  ormai entrati a pieno titolo nel linguaggio corrente del cittadino sostenibile, diventati espressione di valori o in alcuni casi simboli di status quo, ostentati da un lato con orgoglio, dall’altro con un po’ di sufficienza, quasi a simboleggiare una moda.
Etica, economia, educazione, qualità, sicurezza, servizi alla persona, presidio del territorio: ogni azienda agricola ne è portatrice. Le singole storie narrano di percorsi e strumenti così attuali ed efficienti da far sì che il settore primario sia il più titolato oggi per trainare il nostro Paese fuori dalla crisi. Il Piemonte è pronto, ha raccolto la sfida da tempo. In campo sociale fa tanto, fa bene, lo fa con spirito giusto. Ma non lo dice!
L’area di Porta Palazzo sotto la vecchia tettoia e tutti i mercati a chilometro zero ne sono l’esempio, un successo in tutta la regione tanto in termini di vendite quanto di passaggio di cultura, occasioni di incontro, valorizzazione di tradizioni. A Rivoli e a Torino, le code di ragazzi che fuori del M**Bun, agrihamburgheria a filiera corta, leggono tra goffi tentativi e risate il menù rigorosamente scritto in  piemontese ne sono un’altra testimonianza. Tra una patatina fritta e una birra, l’azienda agricola si presenta ai clienti, li incuriosisce con scritte sui muri, promuove tutela dell’ambiente e raccolta differenziata e, mentre passa i messaggi di sostenibilità, vende al giusto prezzo garantendo remunerazione degna al lavoro dei produttori. Un professore direbbe che l’azienda agricola è “socialmente responsabile”.
Questa miscela tra mondo agricolo, attività imprenditoriale e incontro nasce nel giugno 2001 quando, con il d.lgs. N°228, l’Italia istituisce la figura dell’imprenditore agricolo multifunzionale.
Il nostro agricoltore si trasforma: non più semplice coltivatore e produttore di alimenti, ma fornitore di servizi fondamentali ad essi connessi. Può conservare e trasformare il proprio prodotto; può venderlo direttamente in momenti di incontro con il consumatore che ne permettano la valorizzazione e l’equo prezzo; la sua azienda agricola si trasforma in luogo di formazione, accoglienza ed ospitalità, grazie alla possibilità di effettuare attività agrituristica o didattica.
L’innovazione espressa da questo cambiamento rappresenta quel fermento positivo che, nei primi anni del nuovo millennio, spingeva ad interrogarsi su quali nuovi modelli fossero sostenibili per l’economia. Appena due anni dopo, infatti, la Commissione Europea lanciava un nuovo modello di gestione dell’attività imprenditoriale: “Il concetto di Responsabilità Sociale di Impresa (RSI) è definito come integrazione volontaria delle problematiche sociali ed ecologiche nelle operazioni commerciali e nei rapporti delle imprese con le parti interessate”.
A pensarci, una vera rivoluzione: l’impresa, il cui compito esclusivo era garantire lavoro e guadagno, inizia a farsi carico, volontariamente, di effetti e conseguenze della propria attività sulla comunità. L’imprenditore non è più responsabile solo della remunerazione del capitale, ma di tutti i portatori di interesse: ambiente, lavoratori, cittadinanza. Diventa attore consapevole nella sfida dello sviluppo sostenibile.
Per l’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria, ndr) il collegamento con l’operato agricolo è immediato. Diritti umani, impresa e agricoltura sono temi strettamente collegati: l’imprenditore agricolo multifunzionale diventa custode, valorizzatore, portatore di tradizioni e saperi fondamentali per la sostenibilità dell’equilibrio nel rapporto uomo-natura.
Per orientare gli agricoltori nel cambiamento, l’istituto redige le linee guida per gestire l’azienda in modo responsabile. Poche, semplici, chiare. E tutte in chiave positiva e propositiva: suggeriscono buone pratiche, strategie ed azioni per assicurare il benessere animale, valorizzare le risorse umane, migliorare la tutela ambientale. La pratica fa il resto: nascono così le iniziative sociali e culturali che portano a collaborazioni tra i produttori e regalano ai consumatori le code fuori dai locali, le fiere di paese, gli animali in città.
Anche in questo campo però, emerge uno tra i segni distintivi della nostra regione: siamo un territorio all’avanguardia, ma non lo comunichiamo. Basta fare una passeggiata nei principali comuni per constatare quanto viene organizzato, ma non ne viene data sufficiente divulgazione. Certo anche per debolezze logistiche e strategiche, ma soprattutto perché le tematiche in cui si declina la responsabilità sociale spesso attraversano prodotti, progetti ed azioni.
Ad esempio, se ambiente, trasparenza, benessere animale, qualità e rete, sono ormai parte integrante del sistema lavorativo di ogni azienda agricola, resta debole il tema della tutela del lavoro: etica, contratti, sicurezza, diritti. Il rispetto della normativa c’è, ma manca quell’oltre la legge fondamentale per definire un’azione compatibile con la responsabilità sociale. Sono gli stessi agricoltori a riconoscerlo, in particolare i più giovani, che hanno potuto approfittare di tanti corsi di formazione e confermano che la multifunzionalità è un settore poliedrico, in continuo fermento, che permette ad ognuno di esprimere al meglio la storia del suo lavoro, della sua azienda, che è spesso la storia stessa della sua famiglia, della sua terra.
L’incontro è per tutti: negli agriturismi, nelle fattorie didattiche o grazie a percorsi di inclusione lavorativa. Ognuna di queste esperienze permette di sostenere attivamente la diversificazione produttiva delle aziende e contemporaneamente di integrare i sistemi di welfare locale, coprendo con  qualità, le carenze del sistema socio-sanitario.
Nonostante la crisi congiunturale del nostro Paese, oggi i progetti di tutela della filiera italiana si distinguono e risultano i più fruttuosi e rappresentano quanto di meglio oggi possa fare l’agricoltura. Si sono prodotti accordi commerciali, iniziative e percorsi che includono tutti gli elementi individuati quali necessari per uno sviluppo sociale e sostenibile creando una filiera non solo economica, ma umana, che va dal produttore al consumatore, in cui ogni soggetto è portatore di diritti e doveri.
Il rischio è però quello di sottovalutare il riscontro economico. La fornitura di servizi diversi e di qualità è un mercato in crescita, ma ancora ristretto in termini di numeri effettivi e al quale servono incentivi e bandi a sostegno. L’azienda agricola, quale attore privato, può inserirsi in moderni sistemi di welfare, ma in ottica di collaborazione con l’attore pubblico, non di sostituzione di questo. Per fortuna sappiamo che maggior successo si ha nell’incontro con il consumatore che si fidelizza, è disposto a spendere di più per un prodotto certo ed etico, conosce e si informa sempre più.
Ma di fronte ad una congiuntura economica e sociale, che appare ogni giorno più diversa da schemi e teorie che hanno guidato gli ultimi decenni, il cambiamento strutturale parte da qui. Dalla costanza, dall’entusiasmo, dalla competenza delle persone che si mettono in gioco nella creazione di un modello economico sociale che sia “altro”. Etico, concreto, comunitario, efficace ed efficiente. In cui ogni attore faccia la sua parte.
Il riscontro positivo da parte di chi vi lavora e di chi consuma c’è: dimostrando che sono i mercati, quelli veri, che possono far ripartire la nostra economia.

Questo articolo ha ricevuto una menzione alla VII edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Economia e Artigianato

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