Rosa Mogliasso, o del piacere creativo
di Marina Rota
Anche sul palcoscenico del Baretti ha preso vita la storia, tratta dal primo romanzo della Mogliasso, della ricchissima e disperata Alma Peressi, in attesa di essere arrestata quale presunta responsabile di un delitto; la storia tragicomica di una borghese affetta da un’infelicità inestinguibile, che la avvolge “come un abito firmato che si fa fatica ad indossare”.
Rosa Mogliasso è approdata alla scrittura di genere (“perché non mi andava di scrivere dei miei turbamenti esistenziali”) dopo la sua esperienza di svariati lavori “rigorosamente poco remunerativi’ , come tiene a chiarire: da quello di figurante al Teatro Regio che l’ha mantenuta agli studi fino alla Laurea in Storia e Critica del Cinema con Gianni Rondolino a un impiego alla Fondazione Ingegneri; dall’insegnamento del nuoto e dello sci alla vendita di case sulla Costa Azzurra, attirando, fin dalla sua opera prima, l’attenzione entusiasta di lettrici quali Margherita Oggero e Luciana Littizzetto. Merito delle sue trame avvincenti che, pur non disdegnando né particolari trucidi, né dettagli erotici, non rinunciano a uno stile divertito e divertente. Nei dialoghi di vivacità irresistibile, nello stile altalenante dalle schegge dialettali alle citazioni colte si intuisce il divertimento l’autrice nel giocare con le parole. Si può proprio parlare, nel caso della Mogliasso, di una felicità di scrittura, che le permette, in linea con l’insegnamento dell’ormai riconosciuta scuola torinese da Fruttero&Lucentini in poi, di parlare di aberrazione e orrore con ironica leggerezza, come nell’atto di sorbire una tazza di tè. Insomma, con understatement sabaudo… “L’ironia d’altronde, commenta, è ingrediente necessario nella complicità fra scrittore e lettore”. Il concetto di felicità ricorre anche nell’accattivante titolo del suo terzo romanzo, che segue a L’amore si nutre di amore, e cioè La felicità è un muscolo volontario, titolo che la scrittrice si è “ritrovata già pronto, in quelle pieghe dell’inconscio che si definiscono ispirazione, o fantasia”.
E tu, quando ti senti felice? “Non solo al termine dei miei romanzi, ma anche alla fine di ogni capitolo, provo ciò che nel linguaggio psicoanalitico si definisce la conclusione della Gestalt. Allora mi accendo una sigaretta, e sorrido, perché nulla per me è pari al piacere creativo”. I capitoli dei suoi romanzi, infatti, si potrebbero definire degli sketch, e ognuno, col suo titolo accattivante (“If You pay cash You pay less”, ”Se una donna va in erboristeria non ha una vita sessuale soddisfacente” “Piè ‘n crep”…) è leggibile autonomamente.
Ma da dove trae ispirazione Rosa Mogliasso per i suoi irresistibili dialoghi?
“Da ogni luogo e da ogni situazione di questa città elegante e bizzarra, nella quale si potrebbe piazzare un cadavere ovunque, dal Museo Egizio all’Auditorium e in cui basta saper ascoltare per trasformare uno scambio di battute in un racconto”.
Un esempio?
“Una sera, durante una splendida esecuzione della Sinfonia n. 41 Jupiter di Mozart all’Auditorium, tre amiche di mezza età, sedute davanti a me, hanno continuato per tutto il concerto a parlare e scartare caramelle, approfittando dei momenti in cui gli archi coprivano la conversazione, e interrompendosi durante gli intervalli. E ho pensato che, magari, in un giallo, proprio dalle conversazioni delle disturbatrici ascoltate nella fila dietro, la mia commissaria Barbara Gillo avrebbe potuto trarre informazioni illuminanti per le sue indagini. Ed ecco che ha preso forma un capitolo del mio ultimo romanzo: in un mix di note di costume, citazioni musicali e passi funzionali per la scoperta dell’assassino”
Già, Barbara Gillo, la commissaria bionda creata da Rosa Mogliasso: una bellezza algida in stile hitchcockiano, una sorta di Grace Kelly tanto solerte sul lavoro quanto sentimentalmente pasticciona.
“Barbara Gillo, precisa la sua creatrice, è una compilation di handicap: come capita spesso alle belle e intelligenti, è sentimentalmente insoddisfatta; fragile. confusa e scombinata. Una di quelle donne che sembrano avere tutte le fortune e invece non riescono a cavare un ragno dal buco”.
La brutta cantonata sentimentale è una tematica ricorrente nei romanzi della Mogliasso, ispirati all’impossibilità di intrecciare relazioni soddisfacenti e stabili. Fortunatamente, però, in Chi chi bacia e chi viene baciato, la Gillo…
Oltre al suo compito di difendere Torino dagli omicidi, Barbara Gillo ha un altro impegno quasi a tempo pieno: proteggersi come può dalle continue premure di sua sorella. “A differenza di Barbara, Mery non ha mai perso una sua ingiustificata, entusiasta fiducia nel futuro. Nella sua qualità di “esperta in tappezzeria esistenziale”, come si autodefinisce, cerca continuamente di accasare la sfiduciata sorella, sommergendola di consigli di moda e benessere (dal taglio di capelli alle alghe che ritardano la menopausa), interrogandola sui dettagli più intimi delle sue relazioni e trascinandola a feste etniche, tombole di Capodanno e ristorantini del Quadrilatero e di San Salvario”. E Barbara, alla quale “fa schifo la sola parola apericena”, non vede l’ora di svignarsela come gatto Silvestro, per rincasare in santa pace e leggere Simenon o ascoltare Mozart nella sua “paludosa solitudine”.
Fortunatamente, accanto a lei c’è l’ombra saggia e rassicurante del vicecommissario Peruzzi. “Peruzzi è il mio alter ego”, confessa la scrittrice. “Mi identifico molto in lui, così saggio e surreale. È il personaggio che mi permette di trattare gli argomenti che amo. Poliziotto bipolare, uomo di enciclopedica cultura, tra un’indagine e un caffé dice la sua in fatto di donne, di letteratura, di storia e di cinema, con il candido cinismo di chi non ha niente da perdere. Nei confronti di Barbara prova un sentimento di affetto protettivo, quasi paterno: la sorregge, se ne preoccupa”.
Intorno a questi personaggi principali si muovono borghesi altolocate appassionate d’arte povera; parrucchiere che confondono coiffeur con coffret, mogli che troppo presto diventano “madri dei loro mariti”, fotografi erotomani e cialtroni, appassionati frequentatori di ragazze dell’Est che “tirano coca come aspirapolvere”…
Ma come si costruisce un giallo?
Potrà forse stupire che la penna di Rosa, abituata a descrivere delinquenti, poliziotti esauriti, malvagità e delitti, si intinga del lirismo del teatro d’ombre; altra sua grande passione (“un’arte teatrale spietata, la definisce la scrittrice, nella quale non è concesso l’errore”), ma chissà che anche le silhouette immaginifiche di animali, velieri, lilliput e giganti in movimento, proiettate sullo schermo bianco, non rappresentino, nella loro bidimensionalità essenziale, la natura di questa scrittrice che scruta nell’ombra le ombre altrui, per descrivere le l’ambiguità del bene e del male che, come gli scheletri nell’armadio delle sue famiglie borghesi, convivono nel nostro spirito.