Luoghi della Resistenza in Piemonte
di Dario Delfino
Piero Calamandrei consigliava ai giovani che avessero voluto andare in pellegrinaggio nei luoghi dove era nata la Costituzione italiana di recarsi nei luoghi della guerra partigiana; oggi, a settant’anni di distanza dalla fine della dittatura fascista, quali sono i luoghi a cui un nipote piemontese, che volesse seguire tale consiglio di nonno, per far tornare quel conto che non torna nella sua coscienza, dovrebbe fare pellegrinaggio? Cosa è rimasto di quegli anni che possa ancora dirci qualcosa, aiutare la nostra coscienza in quel duro lavoro che è fare la nuova vita con l’inestimabile contributo dei nonni, senza che esso vada perduto?
Partendo dal capoluogo, la Torino già sabauda e operaia, il punto di partenza per questo ipotetico pellegrinaggio non potrebbero che essere le Carceri Nuove, dove molti dei prigionieri venivano condotti in attesa dei processi farsa e delle fucilazioni: tra questi Emanuele Artom, che proprio lì trovò la morte dopo le torture subite al momento della cattura.
Sempre a Torino, in quegli stessi giorni, il 2 aprile, si può assistere alla commemorazione dei Caduti al Pian del Lot, oggi Parco delle Repubbliche Partigiane Piemontesi, dove 27 giovani prigionieri delle Nuove furono trucidati come rappresaglia per l’uccisione di un caporale tedesco. E le Concerie Florio in via Durandi, dove si ritrovò più volte il Clnrp, e l’albergo Nazionale, nell’attuale Piazza CLN.
Spostandosi nella provincia, il primo luogo in cui i pellegrini dovrebbero recarsi sarebbe l’Ossario a Forno di Coazze, dove vennero raccolti i resti di 98 partigiani, tra cui i 26 uccisi nel “maggio di sangue” del 1944, tra Coazze, Giaveno e Valgioie.
Non molto lontano, al Col del Lys, la Torre Commemorativa ricorda i 2024 Partigiani caduti delle Valli di Lanzo, Susa, Chisone e Sangone, sede ogni anno di un campeggio destinato ai giovani di tutta Europa in nome di quei valori di fratellanza e comunità che proprio da quella terribile esperienza di divisione nacquero.
Nell’Astigiano ricordiamo il paese di Grazzano Badoglio, che fino al 1939 si chiamava Grazzano Monferrato ma fu poi ribattezzato in onore del maresciallo d’italia che qui era nato e morì – lo stesso Badoglio che scappò insieme al re dopo l’8 settembre – dove il 14 gennaio 1945 vennero catturati i partigiani della banda Tom (poi fucilati il giorno successivo). Nonostante le proteste dell’Anpi, il nome del paese non fu mai cambiato. E le carceri di Asti in cui i partigiani catturati passavno le ultime ore in attesa della deportazione in Germania o della fucilazione.
A Novara la frazione Vignale, dove nell’agosto del ’44 vennero uccisi dai fascisti 13 giovanissimi renitenti alla leva per rappresaglia.
Ancora molti sarebbero i luoghi e le storie, i cippi, le strade e gli edifici che ancora portano direttamente o indirettamente i segni di quelle vicende; innumerevoli le storie scritte o tramandate da nonno a nipote, che possiamo ascoltare, come è capitato a noi, nei posti più impensabili, come di fronte a una calda polenta nella sagra di Pamparato, paese che s’incunea nella ValCasotto, e che fu teatro di una delle più sanguinose battaglie di quella guerra.
Nonni effettivi o spirituali, perché non hanno vissuto abbastanza da diventarlo, ma con un gesto di vero amore di nonni, hanno voluto lasciarci in eredità un esempio di uomini liberi.
Questo articolo ha ricevuto una menzione alla IX edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura