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La funicolare di Mondovì

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130 anni di storia e tecnologia

di Paolo Roggero

Funicolare di MondovìNon sono molte le città che possono vantare qualche verso a loro dedicato da un poeta laureato: Mondovì ha questa piccola fortuna. Nella sua Piemonte Giosuè Carducci le ha riservato qualche parola, che ovviamente ogni monregalese conosce e che gli enti dediti al turismo si affrettano a stampare su ogni cartolina o depliant turistico: “Al vago declivio, il dolce Mondovì ridente”.
Il sintetico ritratto di Carducci è interessante perché evidenzia la caratteristica che per prima salta agli occhi a qualsiasi visitatore che si trovi a capitare occasionalmente per le strade della città: La sua complessa articolazione su più piani e livelli. In effetti Mondovì è composta da più rioni, tante piccole borgate confinanti distribuite in zone diverse ad altezze diverse. Lungi dall’essere un insediamento compatto, con un unico centro, è un paese con più punti nevralgici, con differenti caratteristiche e funzioni. Una peculiarità che comporta diverse difficoltà non facili da affrontare, per chiunque si occupi di amministrazione. Come risolvere il problema dei trasporti pubblici in una città così frammentata? Va da sé che il collegamento più delicato è quello tra il rione di Breo, il più basso, sulle rive del fiume Ellero che attraversa la cittadina, e quello di Piazza, sulla sommità della collina, dove si trova il centro storico della città.
La soluzione a questo problema è stata per molti anni, a sua volta, una caratteristica precipua di Mondovì, un’innovazione che, almeno nell’immaginario del monregalese, aveva la forza di un simbolo e a cui gli abitanti della cittadina hanno dedicato una fortissima affezione: una funicolare, inaugurata nel 1886 per collegare monte e piano in modo veloce ed economico. La storia della funicolare monregalese è durata per ben 89 anni, tra alterne fortune e significative innovazioni tecnologiche, fino alla chiusura dell’intero impianto nel 1975. I costi di gestione erano diventati troppo alti rispetto alle rese e le attrezzature avrebbero richiesto un rinnovo totale.

Nei trent’anni che seguirono, tuttavia, il pensiero di rimettere in funzione la vecchia funicolare rimase fisso nella mente dei monregalesi. La generazione che aveva viaggiato quotidianamente sulle pendici della collina a bordo di quelle carrozze, per scuola o lavoro, magari prendendole al salto nei giorni di ritardo, ricordava con nostalgia quel mezzo che aveva, nel bene e nel male, segnato una stagione irripetibile nella storia della città. La fune aveva segnato gli anni più belli della loro giovinezza, e ne tramandavano il ricordo a nipoti, trasmettendo loro il fascino di quel ricordo e il desiderio di farlo rivivere.
Passeggiando nei pressi delle vecchie stazioni di monte e valle, fino a una decina di anni fa, non era difficile imbattersi in qualche ragazzino venuto a spiare le vecchie carrozze abbandonate, ancora nelle loro sedi, ormai circondate da piante ed erbacce. Il sogno di rivedere la fune percorrere il versante della collina tornava frequentemente nel dibattito cittadino. Si sarebbe concretizzato nel 2006, con l’inaugurazione del nuovo impianto, a trazione elettrica, con due carrozze disegnate da Giorgetto Giugiaro.

Oggi salire su una funicolare non è più un’esperienza inconsueta e anche questo tipo di mezzi è piuttosto standardizzato. Ai tempi in cui la prima fu messa in cantiere a Mondovì, però, questa tecnologia stava muovendo i primi passi e ogni macchina progettata era spesso un vero e proprio pezzo unico. Ingegneri diversi proponevano diverse soluzioni studiate per risolvere il problema di un trasporto veloce, economico e sicuro da valle a piano.
Rivedere qualcuno dei primi modelli che si sono mossi sulle rotaie monregalesi significa fare una piccola incursione nella storia dei trasporti e scoprire soluzioni ingegnose e interessanti, alcune meritevoli ancora oggi di studio e approfondimento.

Il primo progetto originale di una funicolare a Mondovì ad essere presentato non fu mai realizzato. Lo aveva ideato il lombardo Tommaso Agudio, un brillante figlio del positivismo e della rivoluzione industriale. Agudio aveva messo a punto nel 1861 il suo sistema, che sfruttava la potenza combinata di due motori, posti nelle stazioni di monte e di valle, e prevedeva l’utilizzo di un carro dotato di un sistema meccanico in grado di frenare le carrozze. Presentò poi la sua invenzione con successo nelle esposizioni di Londra e Milano e in seguito l’avrebbe applicata, tra l’altro, alla ferrovia Torino-Alessandria e alla tramvia Sassi-Superga a Torino.
La prima funicolare di Mondovì fu un progetto di Alessandro Ferretti. Una firma prestigiosa: l’ingegner Ferretti, emiliano, fu un vero e proprio pioniere nel campo dei trasporti ferroviari di su piano inclinato, sua occupazione principale assieme agli studi di agronomia. Molte città italiane (tra cui Torino: suo era l’impianto del Monte dei Cappuccini) scelsero di montare le “Funicolari Ferretti: il sistema Ferretti prevedeva un unico motore a monte per trainare la carrozza, mentre per la discesa era sufficiente la forza di gravità abbinata ad un sistema di frenatura meccanico di cui il mezzo era dotato e che gli consentiva di scendere a velocità controllata.

Il modello di funicolare più significativo, tuttavia, sarebbe stato il secondo, entrato in funzione nel 1889 con l’arrivo della Società Monregalese per Opere Pubbliche alla gestione dell’impianto.
I nuovi dirigenti dovevano affrontare una serie di criticità tecniche e amministrative accumulatesi negli anni, che richiedevano una soluzione immediata. Fin dall’inizio tra i provvedimenti da prendere fu inserito il cambio delle carrozze e l’aggiornamento dell’intero sistema. Una scelta rafforzata dal verificarsi, di lì a poco, di un evento drammatico: durante una prova tecnica sui freni una carrozza sfuggì al controllo e irruppe a tutta velocità nella stazione inferiore, schiantandosi.

L’impatto fu tale da abbattere uno dei muri dell’edificio, e l’incidente colpì fortemente l’opinione pubblica. Era necessario dare un segnale di taglio con il passato e una nuova garanzia di sicurezza. Con la collaborazione delle Officine di Savigliano vennero costruite le nuove vetture, mosse da un sistema di trazione piuttosto innovativo: l’acqua. L’idea alla base del sistema era tanto semplice quanto geniale: le due vetture erano collegate da un sistema di funi e pulegge, una a monte e l’altra a valle. Entrambe montavano un serbatoio: quello della vettura di monte veniva riempito d’acqua, in modo che il suo peso potesse, oltre a farla scendere a valle, trascinare l’altra fino a monte. In questo modo, sfruttando la forza di gravità, era possibile non solo effettuare la salita, ma anche agevolare la discesa. Il peso della seconda vettura infatti costituiva un perfetto freno naturale, che avrebbe impedito alla prima di scendere a velocità troppo sostenuta. Un sistema perfettamente funzionale e poco costoso, ancora oggi oggetto di studio.
L’unico punto debole dell’impianto era la sua vulnerabilità: nei periodi di siccità la funicolare spesso rimaneva ferma per carenza d’acqua. Proprio per questa ragione si iniziò a discutere dell’opportunità di elettrificare la linea per impedire le interruzioni del servizio. Questa soluzione fu adottata nel 1926.

A partire dal 1941 le vetture furono sostituite e si passò definitivamente alla trazione a motore. Si chiudeva un’epoca: negli stessi anni, con gli orrori della seconda guerra mondiale e gli anni della ricostruzione, anche la città entrava in una nuova fase della sua storia.

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