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Filippo De Filippi: l’esploratore senza la via – di Gabriella Bernardi

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Fra i tanti meriti scientifici di Filippo de Filippi c’è l’aver introdotto in italia le teorie evoluzioniste. Eppure a lui non è dedicata neanche una strada a Torino…

di Gabriella Bernardi

Sarò forse matto?” scriveva lo zoologo Filippo De Filippi al conterraneo lombardo Andrea Verga conosciuto all’Università di Pavia e passato alla storia per essere il padre della psicologia italiana. Però il motivo non era certo un consulto, ma più uno sfogo per comunicargli che a breve sarebbe ripartito per un viaggio intorno al globo.
Altri tempi, quando le lunghe distanze si percorrevano ancora in mesi, o addirittura in anni se si pensava di attraversare tutti gli oceani. Infatti all’amico medico De Filippi prosegue e confida: “Ho quasi 51 anni. Ebbene: se non avessi vincoli di famiglia lascerei la mia apparentemente bella posizione e con essa la pavida Europa per la vergine natura delle savane e delle selve tropicali, la natura sverginata dei nostri paesi movendomi a nausea”.
Da lì a poco partirà per raggiungere Montevideo per imbarcarsi sulla pirocorvetta Magenta (nel 2016 passato si sono festeggiati i 150 anni dell’impresa), per un viaggio di circumnavigazione del globo, che dall’Italia lo avrebbe portato in Oriente. Ma solo fino a Hong Kong. Qui però De Filippi termina il suo viaggio scientifico, e il 9 febbraio 1867, tra atroci dolori, muore, forse di colera. Nonostante la sua breve esistenza, la sua presenza professionale a Torino fu rilevante.
Ma come era arrivato questo lombardo nel regno sabaudo?
A distanza di centocinquant’anni, nell’anniversario della sua scomparsa, diversi studiosi in Via Accademia Albertina ne hanno ricordato la poliedrica figura. E gli interventi hanno fatto riemergere una figura quasi sconosciuta, tranne che per gli addetti ai lavori.
Filippo De Filippi era nato in Lombardia da una famiglia di origine piemontese. Padre medico, anche lui iniziò lo stesso percorso laureandosi in medicina a Pavia nel 1836. Venne poi chiamato a Milano nel 1840 presso il Museo Civico di Storia Naturale, che non era una semplice raccolta di reperti, ma un luogo dove si teneva lezione (all’epoca non esisteva ancora l’Università di Milano). Si appassionò talmente a questo campo da intraprendere la carriera di zoologo naturalista, per nulla insolita per diversi medici dell’epoca.
Nel 1847 lasciò Milano per Torino chiamato dal re Carlo Alberto su suggerimento di Giuseppe Genè, un altro zoologo all’Università di Torino formatosi a Pavia, al quale subentrò nella cattedra di Zoologia nel 1848 per via dell’improvvisa morte di Genè. Da qui, lo si potrebbe immaginare adagiato in una carriera tranquilla, costituita prevalentemente da lezioni agli studenti e catalogazioni presso il Museo di Storia Naturale.
Ma il carattere di questo zoologo non era così tranquillo.
Pioniere dell’itticoltura, direttore del Museo di Zoologia ed evoluzionista, prese posizioni sul modo di applicare la pena di morte analizzando fisiologicamente l’uso dell’impiccagione e della ghigliottina. E fu un divulgatore scientifico, soprattutto a livello scolare. Grande camminatore, preferiva andare all’aperto, “nella natura”, come diceva nella lettera al suo amico, che rimanere chiuso nel suo gabinetto. Perciò non stupisce la sua adesione, anche se non più giovanissimo, ai viaggi diplomatico-economici organizzati all’epoca, al cui seguito dove si univano anche scienziati.
Nel 1862 partì per la Persia, in un viaggio diplomatico che aveva, fra gli altri, lo scopo di reperire i bachi da seta decimati in Piemonte e Lombardia e così risollevare l’economia. Vi partecipava una ventina di persone, e fra gli scienziati comprendevano il marchese Giacomo Doria, poi fondatore del Museo di Storia Naturale di Genova. C’era anche il giovane Michele Lessona, allievo di De Filippi e suo successore in cattedra, con grande scotto di Sebastiano Richiardi, genero di De Filippi.
Per ripicca, Richiardi tenne tutti i disegni e gli appunti presi dal suocero nel corso del successivo viaggio sulla Magenta. Un vero peccato che non siano giunti a noi: infatti, esaminando i diari del viaggio precedente, gli studiosi hanno notato che i suoi appunti si basavano su un’attenta analisi di fatti e di situazioni, senza mai abbandonarsi a giudizi.
Questo avventuroso viaggio in Persia partì da Genova per raggiungere Costantinopoli e proseguire a cavallo fino a Teheran, mentre per il ritorno venne scelta la rotta che passava per la Russia, spingendosi fino a San Pietroburgo anche per cogliere l’occasione di visitare il relativo Museo.
Il viaggio fu fruttuoso per quanto riguarda gli apporti alla collezione museale, che incrementarono notevolmente i preparati anatomici e le raccolte rare – nonostante la Persia fosse ricca di specie europee e non di animali particolarmente esotici – ma soprattutto perché al ritorno De Filippi fu protagonista di una conferenza che passò alla storia.
La sera dell’11 gennaio 1864, presso il Teatro di Chimica di San Francesco da Paola, De Filippi presentò un suo intervento dal titolo “L’uomo e le scimie”.
Cominciava così: “La infinitamente bella e grande varietà di forme di piante e di animali che popolano ora la superficie della terra, non è apparsa tutta insieme d’un sol getto, ma è stata preceduta da una successione di altre forme diverse, di altri mondi di viventi, che hanno lasciate, a documento della loro passata esistenza, spoglie più o meno complete negli strati della corteccia terrestre.”
Con quella conferenza, De Filippi introduceva la teoria dell’evoluzione, diventando uno dei primi seguaci del darwinismo in Italia. Dimostrava di essere aggiornato e attento alla produzione internazionale, anche se la prima edizione italiana dell’Origine delle Specie di Darwin sarebbe comparsa solo nel 1869 dopo essere giunta alla terza edizione (erano nel frattempo comparse la versione tedesca nel 1860 e quella francese nel 1862). Però la conferenza si basava anche sulla lettura approfondita del libro di Thomas Henry Huxley, Evidence as to Man’s Place in Nature, pubblicato meno di un anno prima – e l’anatomia comparata delle scimmie antropomorfe e il loro confronto con l’uomo ne sono i temi portanti – sottolineando anche l’importanza della scoperta dell’uomo di Neanderthal.
Ma a Torino non si fermò molto, e la curiosità verso la natura lo riportò in viaggio. La sera dell’8 novembre 1865 partì dal porto di Napoli per imbarcarsi sulla pirocorvetta Magenta, diretta a Montevideo in Uruguay, scelta per compiere la prima circumnavigazione del globo voluta dal Regno d’Italia. Il viaggio fu effettuato tra il 1865 e il 1868.
La missione in realtà mirava a stipulare accordi commerciali e diplomatici con il Giappone e la Cina, sempre a causa dei bachi da seta, ma c’era spazio anche per la scienza.
Il 2 febbraio del 1866 erano diretti a oriente, ma per De Filippi si avvicinava il triste epilogo dell’avventura. Ma non prima che lui stesso, un allievo e un preparatore raccoglliessero migliaia di reperti zoologici, molti dei quali ancora esposti nelle vetrine del Museo Regionale di Scienze Naturali a Torino – quando riaprirà, s’intende.
Morì a 53 anni a Hong Kong, assistito da padre Bernardo Viganò al quale dettò il proprio testamento, poi impugnato dal genero. La nave Magenta proseguì il suo viaggio e, dopo aver stretto trattati in Giappone e in Cina, continuò verso l’Australia, il Perù, il Cile e la Patagonia e, superato lo stretto di Magellano dopo altri mesi di navigazione approdò a Napoli il 28 marso 1868.
Chissà se il De Filippi aveva immaginato la seconda parte del viaggio della Magenta come una nuova Beagle di Darwin, alla ricerca della natura più incontaminata.
Autore di innumerevoli lavori di zoologia, embriologia, anatomia e fisiologia comparata, fondatore del Museo di Anatomia comparata, e fondamentale primo divulgatore italiano delle teorie darwiniane.
Eppure, Torino non gli ha mai dedicato una via.
Sarà forse a causa delle beghe del genero che solo a Milano può capitare di percorrere Via De Filippi, mentre a Torino si attraversano Via Giuseppe Gené, suo predecessore, e Via Michele Lessona, suo allievo? Chi può dirlo?
Però, se andate nel loggiato dell’Università in Via Po, trovate un suo busto che forse guarda, un poco distaccato, proprio quel mondo che voleva ancora scoprire.

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