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BambApp: censire i bambù, che sono belli da vedere, ma non sempre innocui – di Gabriella Bernardi

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BambApp
Belli da vedere, non sempre innocui. Una campagna di monitoraggio per identificare e localizzare le specie di bambù presenti in Piemonte, e studiarne l’invasività

di Gabriella Bernardi

Mi piego, ma non mi spezzo” affermava Jean de La Fontaine e per il bambù è proprio così. Pianta esotica per eccellenza, flessibile all’inverosimile, tanto da essere usata in Asia nei cantieri edili anche al posto dell’acciaio, usata anche come combustibile o come filato nel tessile, conta oltre cento varietà e si divide principalmente in quelle tropicali e quelle che crescono in clima temperato. E queste ultime, nelle zone a loro ottimali, sono presenti in Piemonte.
Almeno tre specie sono state introdotte già nel Settecento: nei pressi di Alba si trova un bosco ormai presente da un secolo; e se si va alla GAM di Torino o al Parco Leopardi si possono ammirare altri esempi presenti nel tessuto cittadino. Invece le specie più recenti sono state introdotte una ventina di anni fa. Se nel nostro immaginario questa pianta straordinaria è associata al panda, magari mentre la rosicchia avidamente, o nella versione seccata come utile sostegno per le piantine di pomodoro, c’è molto da imparare e molto di cui stupirsi. C’è anche chi ha pensato di creare in Piemonte aziende agricole specializzate, e in zone ben irrigate, perché il bambù richiede molta acqua.
Ma la coltivazione non si esaurisce con la vendita per l’abbellimento dei giardini. Non secondaria è la componente alimentare: i germogli, infatti, oltre ad essere ricchi di potassio, avrebbero un sapore a metà tra l’asparago e il carciofo, mentre altri più teneri si avvicinano di più ai piselli e le foglie sono usate per infusi antiossidanti. In alcune specie possono raggiungere il peso di cinque chili, e ne vanno ghiotti i cinghiali.
La loro crescita dipende dalla specie e dalle condizioni climatiche, ma in condizioni ottimali l’espansione orizzontale sarebbe intorno ai dieci metri all’anno. Date queste premesse è evidente l’opportunità di monitorare la diffusione e il grado di invasività del bambù in Piemonte, e anche in Valle d’Aosta.
Per questo è nato il progetto BambApp, finanziato anche dalla Fondazione Crt. Come sempre, la tecnologia più attuale viene incontro alle esigenze degli scienziati, ma la maggior parte del lavoro è fatto dai volontari che si muovono per le strade o per le valli e non si limitano a vedere la natura, ma la osservano con attenzione. E si possono scorgere molte cose interessanti anche nelle aree urbane e forse per questo i più attenti riceveranno in regalo un utilissimo Gps.
Il responsabile scientifico del progetto, Michele Lonati dell’Università di Torino, ci tiene però a ribadire che non è un gioco a premi. “L’obiettivo del progetto è di cartografare le specie di bambù naturalizzate in Piemonte e Valle d’Aosta, mediante il lavoro di volontari coordinati tra loro tramite un’applicazione per smartphone chiamata iNaturalist. Il progetto, realizzato con il contributo della Fondazione Crt, vede come soggetto capofila l’Ente di gestione delle Aree protette del Po torinese e riunisce alcuni Enti deputati alla protezione dell’ambiente, tra cui lo stesso Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, e alcuni operatori e vivaisti del settore. Questi ultimi svolgono un ruolo fondamentale nel progetto, sia per il riconoscimento delle specie, sia per gli aspetti legati alla gestione dei popolamenti, grazie alla loro oramai consolidata esperienza. Chiunque può partecipare al progetto, utilizzando un comunissimo smartphone dotato di macchina fotografica e localizzatore gps, registrandosi sul sito appositamente dedicato (https://bambapp.weebly.com/) e seguendo le istruzioni”.
Ma parliamo di bambù…
In Piemonte sono coltivate diverse specie di bambù, con portamento e aspetto molto differente, dalle specie nane utilizzate per siepi e bordure, alle specie di alta taglia che raggiungono facilmente i 5-7 m di altezza. Queste ultime sono facilmente confondibili con un’altra specie esotica chiamata Arundo donax.
A cosa si deve prestare attenzione per non sbagliare, soprattutto per i profani?
Non sono necessarie specifiche competenze botaniche per partecipare al progetto, anzi, per molti potrebbe essere un’occasione per imparare a conoscere nuove specie e mettere alla prova le proprie conoscenze. Arundo donax è una specie di origine asiatica molto diffusa in Piemonte. Rispetto ai veri bambù presenta però foglie inserite direttamente sul culmo principale, mentre nei bambù le foglie adulte sono sempre inserite sui rami laterali. In ogni caso eventuali errori di attribuzione potranno essere facilmente corretti, perché ogni rilevatore al momento dell’inserimento su iNaturalist deve caricare anche alcune fotografie, che noi visioneremo periodicamente. In questo modo ciascun rilevatore avrà la possibilità di verificare la veridicità delle proprie osservazioni”.
Naturalmente l’osservazione non riguarda i giardini privati o zoologici, ma solo le aree naturali. Oltre a fornire le coordinate dell’avvistamento, finalizzate alla compilazione di una mappa, i volontari devono anche prelevare dei campioni?
Si, ciascun punto rilevato deve essere corredato da due campioni vegetali: il primo è un rametto di 20-30 centimetri, che va semplicemente seccato all’interno di un foglio di giornale. Il secondo è un campione di 15 foglie fatte seccare a temperatura ambiente. I campioni vegetali ci permetteranno di verificare caratteri non visibili nelle fotografie e ci aiuteranno a distinguere tra loro specie di difficile riconoscimento. Il progetto prevede inoltre che per i casi più difficili il riconoscimento della specie avvenga mediante analisi genetica, realizzata estraendo il Dna dei campioni vegetali raccolti”.
La campagna si concluderà a ottobre 2018. Cosa farete con i dati raccolti? Ad esempio, stilerete una “lista nera”delle possibili specie esotiche infestanti?
I dati saranno innanzitutto elaborati per capire quali specie di bambù sono naturalizzate in Piemonte e Valle d’Aosta ed eventualmente se alcune di queste possano essere considerate invasive. Tutti i dati saranno condivisi con i singoli rilevatori e presentati al convegno di chiusura del progetto, previsto a gennaio 2019. I risultati del progetto saranno inoltre discussi anche all’interno del Gruppo di lavoro sulle specie vegetali esotiche della Regione Piemonte, del quale alcuni partner del progetto fanno parte. Il Gruppo di lavoro svolge varie attività, tra le quali quella di aggiornare periodicamente le Black List regionali già esistenti. In tal senso i risultati del progetto potrebbero aiutare a effettuare qualche aggiornamento, se sarà il caso”.
In futuro prevedete delle nuove campagne o avete in mente altri progetti?
Lo studio dei bambù in Piemonte e Valle d’Aosta probabilmente non si concluderà con il progetto BambApp. Per il futuro potrebbe essere interessante impiantare una vera e propria rete di monitoraggio, ad esempio per studiare la velocità di accrescimento di qualche specie, oppure individuare qualche popolamento per valutare l’eventuale effetto dei bambù sul suolo e sulla biodiversità vegetale e animale”.
E per finire, una curiosità. Il bosco di bambù si chiama bambuseto.

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