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Il genio (quasi) dimenticato: Alessandro Cruto – di Francesca Torregiani

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Il genio (quasi) dimenticato
Alessandro Cruto, l’autodidatta di Piossasco

di Francesca Torregiani

18 marzo 1847: a Piossasco, vicino a una Torino in pieno fermento risorgimentale, nasce Alessandro Cruto. Trentasette giorni prima in Ohio nasceva Thomas Alva Edison: un piccolo anticipo anagrafico da colmare per cui a Cruto non basterà una vita intera. Ma quello fu un anno decisivo per la scienza, si potrebbe azzardare, definendolo ironicamente un anno illuminante: il 30 ottobre, infatti, a Livorno Piemonte (oggi Livorno Ferraris), nasce Galileo Ferraris.
Nella storia dell’ormai antica lampadina elettrica a incandescenza c’è un capitolo tutto italiano: figlio di un semplice capomastro, Giacomo, e di Giuseppa Bruno, Alessandro Cruto studia architettura, chimica e fisica da autodidatta e a Piossasco allestisce un laboratorio mentre aiuta il padre nel lavoro in cantiere. Curioso di tutto, quando può si intrufola a seguire qualche lezione di fisica e di chimica all’Università di Torino: è qui che apprende che diamante e carbone hanno la stessa origine chimica, informazione semplice quanto sconvolgente.
A 21 anni, grazie ad alcuni risparmi della madre, acquista qualche strumento e i materiali per i suoi esperimenti sui diamanti artificiali. Lavora nel tempo libero, nelle cantine di casa, cercando di cristallizzare il carbonio seguendo diversi metodi, inventando alcuni macchinari che in parte realizza con le proprie mani. Nemmeno la morte del padre nel 1875, e la necessità di occuparsi dell’impresa di famiglia, lo fanno desistere dal suo obiettivo. Oggi sappiamo che Cruto mai sarebbe riuscito nell’impresa: all’epoca le conoscenze della chimica del carbonio erano imperfette e non si disponeva di macchinari adeguati. Il primo diamante sintetico fu ottenuto solo nel 1953.
Il 24 maggio 1879 Galileo Ferraris, scienziato di fama mondiale, tiene una conferenza e racconta dei progressi americani sull’illuminazione elettrica. Cruto, ormai frustrato, è presente al convegno e le parole di Ferraris lo salvano e lo ispirano. Lo colpisce profondamente la novità del momento: la lampada a incandescenza.
La tecnica di ottenere luce facendo passare la corrente su un filamento posto in un bulbo sottovuoto è già nota da una decina di anni e in molti laboratori erano stati realizzati prototipi efficaci. Ma il filamento giusto ancora manca: deve essere robusto, durare abbastanza da giustificare l’acquisto di una lampadina, emettere una luce soddisfacente e deve soprattutto essere facile da produrre su scala industriale. Lo stesso Edison ci sta provando da anni, testando decine di materiali diversi e investendo ben centomila dollari dell’epoca; sta utilizzando un filamento di fibra di bambù carbonizzata.
Nella testa di Cruto probabilmente scatta, è proprio il caso di dirlo, un cortocircuito: mezzo mondo si arrovella sul filamento più adatto e lui già ha la soluzione in tasca!
Un paio d’anni prima, infatti, aveva realizzato un filamento di carbonio, cavo all’interno, una sorta di tubicino che forse poteva funzionare. Prova nel suo laboratorio, ma i suoi limitati mezzi lo bloccano. Ottiene dal professor Andrea Naccari la possibilità di usare il laboratorio di fisica dell’Università di Torino e il 4 marzo 1880 accende la sua prima lampadina: una luce bianca, gradevole, di intensità stabile e durevole.
Alessandro Cruto diventa un personaggio talmente famoso in Italia che Edmondo de Amicis si propone per scrivergli la biografia, ma da buon piemontese Cruto si schermisce con modestia: “ma non è proprio il caso!”.
Purtroppo quasi nessuno si accorge del successo torinese al di fuori di un’Italia che si sta formando: Edison aveva già trovato i finanziamenti per una fabbrica di lampadine a filamento di bambù e, con la sua tipica aggressività, da ottimo manager e brillante comunicatore qual è aveva convinto il mondo intero della indiscutibile bontà del suo prodotto.
Cruto perfeziona alcuni prototipi e alla fine del 1881 riesce a organizzare un confronto pubblico tra lampadina Cruto e lampadina Edison. Piemonte batte Ohio 3 a 0: la lampadina nata a Piossasco ha una durata ben maggiore (500 ore contro le 40 di quella di Edison); ha una luce bianca e pulita rispetto a quella giallastra e talvolta tremula ottenuta dall’americano; ed è meno complessa da produrre.
Ma il 27 gennaio 1880 Edison aveva già registrato negli Stati Uniti il suo brevetto per la lampada elettrica a incandescenza; questo non fa perdere d’animo Cruto, ma nel futuro si dimostra una svolta poco luminosa per la storia della lampadina made in Italy.
Nel 1882 il laboratorio di Piossasco, grazie ad alcuni finanziatori, diventa una prima officina produttiva e il 16 maggio 1883 le lampadine Cruto illuminano le vie del paese. Nel 1884 buona parte delle sale della Mostra dell’Elettricità dell’Esposizione Generale Italiana di Torino vengono illuminate col sistema Cruto; nell’aprile 1885 parte della nascente borghesia industriale piemontese lo aiuta a fondare un vero e proprio opificio ad Alpignano sulle rive della Dora (che tutt’ora ospita la sede dell’Ecomuseo “Sogno di luce”). In pochissimi anni la fabbrica arriva a 26 dipendenti e producendo mille lampadine al giorno, esportate in tutto il mondo Stati Uniti compresi.
“Grazie a continui miglioramenti, anche del processo industriale, dove Cruto si dimostra abile progettista di nuovi macchinari per rendere più efficiente la produzione, racconta Mario Broglino, una vita passata a occuparsi di tecnologie di illuminazione e che ora, insieme ad altri pensionati, è custode della memoria di Cruto, le lampadine made in Alpignano erano sempre più apprezzate. Per realizzare bulbi migliori Cruto reclutava i soffiatori di Burano e brevettò persino una lampadina dal filamento removibile, un esempio di industria attenta agli sprechi e lontanissima dell’imperante usa e getta di oggi”.
Cruto dirige la sua fabbrica fino al 1889, ma la sua vita non è quella da direttore di azienda, bensì quella dell’inventore e sperimentatore.
Ritiratosi a vita privata, muore il 15 dicembre 1908 e da quel momento il suo nome e la sua impresa scivolano lentamente nell’oblio.
La fabbrica Cruto subisce alcuni passaggi di mano, fondendosi con la Edison Clerici di Milano, unendo le capacità tecniche e producendo diversi tipi di lampade. Questo è stato il periodo di maggior floridità dello stabilimento di Alpignano, periodo che durò fino alla prima guerra mondiale. Viene infine ceduta alla Philips nel 1927, che qui mantiene una linea di produzione di lampadine a incandescenza “Arga” fino alla fine degli anni Sessanta.
“Travolto da una corrente di ricordi”: così Edmondo De Amicis voleva che si sentisse il viaggiatore italiano che approdava a Torino negli anni in cui Cruto portava avanti i suoi studi. Lo scriveva infatti nel 1880, con due decenni di Regno d’Italia alle spalle e le battaglie risorgimentali in archivio, ma ancora vive. Sognava che si potesse vedere Carlo Alberto affacciato alla loggia di Palazzo Reale e che sotto i portici di via Po ancora si incontrasse Cavour che andava al Ministero. E poi D’Azeglio, Balbo, Gioberti. E Vittorio Emanuele che attraversava la città in carrozza. Ma i ricordi sono stati travolti dalla corrente e dalla quotidianità. Si sono fatti panorama, strade, palazzi, facciate, balaustre, lampadine e lampioni dimenticati, ma basta pulire la patina dagli occhi per notarli e per notare quei bulbi luminosi, eredità lontana di un piemontese dimenticato dalla Storia, ma non dalla sua terra.

Questo articolo ha ricevuto una menzione d’onore all’undicesima edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura

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