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Un QR per San Sebastiano: gli affreschi medievali scoperti per caso a Giaveno visibili grazie a una app – di Alberto Tessa

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Un QR per San Sebastiano
Gli affreschi medievali scoperti per caso a Giaveno nel 2007 e la chiesa che li contiene sono visitabili grazie a una app

di Alberto Tessa

Quando, nel 2007, i priori della piccola cappella di San Sebastiano staccarono dal muro posto dietro l’altar maggiore un quadro del ‘700 per mandarlo al restauro, non credettero ai loro occhi: una splendida Madonna con Bambino li guardava con i suoi occhi dolci e delicati da ragazzina. Anche a un occhio non particolarmente addestrato apparve subito chiaro che la pittura in questione, un affresco, era presumibilmente parte di un polittico dipinto (come testimonia la cornice lignea splendidamente disegnata attorno alle due figure), dunque con almeno altre due continuazioni, una per lato, tutte coperte da una mano di calce.
L’affresco non poteva appartenere al contesto ottocentesco della cappella ma a un ambito tardo medievale. In effetti in Ruata Fasella, la strada in cui si trova la cappella di San Sebastiano, c’era stato per un lungo periodo, forse per molti secoli, il cimitero di Giaveno che fu poi spostato qualche centinaio di metri più indietro, cioè, nella collocazione attuale, all’inizio del XX secolo.
È plausibile che San Sebastiano sia stata per centinaia di anni una cappella cimiteriale, dalle origini medievali. Ma come è possibile, se la chiesetta appare decisamente più recente? Una spiegazione c’è e va ricercata nel muro su cui la pittura si trova. È un muro molto irregolare, rigonfio e munito, in alto, di un piccolo rosone cieco, che non trova corrispondenza alcuna sulla parte retrostante esterna della cappella, dove invece il muro (chiaramente ottocentesco e non anteriore) appare decisamente liscio e regolare. È dunque certo che San Sebastiano di Giaveno sia stata rimaneggiata più volte nel corso dei secoli e nell’Ottocento quasi totalmente ricostruita (forse a causa di un crollo parziale), inglobando però quel muro.
La causa della copertura degli affreschi può invece essere rinvenuta nell’epidemia di peste che colpì l’Europa nel 1630 (quella al centro de I Promessi Sposi). Era infatti prassi normale, a quell’epoca, disinfettare tutto con la calce: i cadaveri stessi, prima di venire sepolti in fosse comuni, ne erano cosparsi. È logico pensare che, per disinfettare una cappella cimiteriale che forse aveva ospitato diversi corpi infetti da benedire prima dell’ultimo viaggio, si fosse presa la decisione di dare una o più mani di calce lungo tutto il perimetro interno (e forse pure esterno). Una mano pietosa o intimorita, tuttavia, non se la sentì di nascondere quel volto di giovane Madre e lo risparmiò dalla copertura.
Nel 2007 fu subito allertata la Soprintendenza per il Patrimonio Storico e Artistico del Piemonte. Un anno dopo, nel 2008, grazie all’intervento della ditta Doneux di Torino, gli altri affreschi che circondavano l’immagine della Vergine riemersero lentamente dallo spesso strato sovrapposto in epoca barocca.

Ciclo pittorico di San Sebastiano

La datazione degli affreschi proposta da Claudio Bertolotto, esperto della Soprintendenza, si aggira intorno al 1470, un anno dopo la realizzazione delle Storie di Giuseppe e della Maddalena, affresco ancora oggi ben visibile nella splendida chiesa di San Pietro ad Avigliana e attribuibile allo stesso autore, o quanto meno alla stessa famiglia di pittori, i Serra di Pinerolo. In particolare a Bartolomeo Serra, che pare fosse il migliore e più prolifico della famiglia (oltre che forse il più longevo, visto che la sua attività durò forse non meno di 40 anni, dal 1460 all’inizio del XVI secolo): affrescò la cappella di Sant’Antonio a Jouvenceaux, nei pressi di Oulx; parte della già citata San Pietro di Avigliana; la cappella di San Sebastiano a Pianezza (tema molto ricorrente, quasi ossessivo, nella sua pittura è proprio quello dell’ufficiale romano convertitosi al cristianesimo e morto

San Sebastiano bastonato

martire sotto Diocleziano, tanto che Bartolomeo chiamò suo figlio proprio Sebastiano); l’attuale chiesa cimiteriale di San Maurizio Canavese e la chiesa di Lanslevillard, in Savoia, soltanto per citare lavori a lui certamente attribuibili.
Il ciclo pittorico giavenese, purtroppo soltanto in parte ritrovato (i due terzi circa degli affreschi sono irrimediabilmente perduti insieme alle mura più antiche che li ospitavano), è una testimonianza preziosa che inserisce Giaveno e la sua zona in un prestigioso circuito devozionale e artistico fortemente influenzato dalla vicinanza alla Sacra di San Michele.
Gli affreschi salvati raffigurano il martirio di San Marco e San Marcellino e la decapitazione di San Tiburzio, tre seguaci di San Sebastiano, la consegna del Santo protagonista nelle mani dell’imperatore Diocleziano, la sua uccisione a bastonate e, subito dopo la dolcezza della giovanissima Vergine con in braccio il Bimbo che pare mangiare delle ciliegie, l’apparizione del Martire alla nobile romana Lucina alla quale rivela il luogo in cui si trova il suo corpo, gettato nella Cloaca Maxima. Evidentemente mancano il supplizio (il santo trafitto, ma miracolosamente non ucciso, dalle frecce, immagine cui l’iconografia tradizionale ci ha abituati) e i miracoli del Santo; tutte parti quasi sicuramente perdute. In ogni caso, se non fosse stato per quello splendido volto di Fanciulla con un Bimbo divertito in braccio che, circa quattro secoli fa, qualcuno non ebbe il coraggio di ricoprire con la vernice, il piccolo grande tesoro di Giaveno non sarebbe ancora stato scoperto.
Le novità, tuttavia, non sono finite, perché da venerdì 2 febbraio 2018 è in funzione l’apertura automatizzata della cappella giavenese.
Il servizio funziona bene ed è molto semplice da usare: basta scaricare gratuitamente su un qualsiasi smartphone l’applicazione “Chiese a porte aperte”, registrarsi fornendo i propri dati (compreso il numero di un documento d’identità valido) e prenotare il biglietto virtuale, indicando il giorno e l’ora desiderati. Al momento della visita si dovrà riaprire il biglietto virtuale (tenendo il telefono connesso a internet); in quell’istante l’applicazione avvierà automaticamente la funzione fotocamera con cui si dovrà scannerizzare il codice QR presente sullo stipite della porta. La porta, a quel punto, si aprirà automaticamente. Una volta all’interno, basterà premere il pulsante posto nelle vicinanze dell’ingresso per fare partire le luci e la registrazione nella quale si illustrano per filo e per segno gli affreschi. Al termine della visita (disponibile anche in inglese), che dura una decina di minuti, basterà chiudere bene la porta dietro di sé.
L’iniziativa, denominata “Città e cattedrali”, è stata finanziata dalla Fondazione Crt e dalla Conferenza Episcopale Piemontese. Attualmente, sono soltanto due i gioielli visitabili grazie all’app “Chiese a porte aperte”: la San Sebastiano giavenese e la cappella di San Bernardo d’Aosta a Piozzo (provincia di Cuneo, diocesi di Mondovì).

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