Volpedo, città-museo pellizziano
di Federica Liparoti
Era il 28 luglio 1868 quando a Volpedo, provincia di Alessandria, nasceva Giuseppe Pelizza. Sono passati centocinquant’anni eppure, nello studio del pittore, il tempo sembra essersi fermato ai primi del ‘900.
“Lostudio, continua Pernigotti, è un raro esempio di atélier ottocentesco aperto al pubblico. Non è soltanto un contenitore prezioso delle memorie, bensì è un ambiente vivo, in cui ogni visitatore può entrare profondamente in contatto con la sensibilità, i toni e la cultura del pittore di Volpedo”.
Secondo di tre figli, Giuseppe era nato in un’agiata famiglia di agricoltori. Il padre, convinto garibaldino di idee radicali e anticlericali, partigiano della causa risorgimentale, era molto attivo nella locale Società di Mutuo Soccorso. Nella grande casa di Porta Sottana, alla periferia di Volpedo, circolavano giornali politici e periodici illustrati sulle cui pagine Giuseppe, ancora bambino, si esercitava a copiare vignette e riproduzioni, rivelando un precoce talento per il disegno. Fu così che i genitori decisero di dare al loro unico figlio maschio una formazione artistica.
Alla fine del 1890, l’artista considerò conclusa la propria formazione e decise di tornare a Volpedo. La decisione lo tagliò per certi versi fuori dai circuiti commerciali, ma gli consentì di sviluppare quella sensibilità, quell’empatia per i suoi luoghi e la sua gente che lo contraddistinse sempre.
A Volpedo sposò una giovane contadina, che era già stata sua modella per la figura femminile ritratta in Pensieri. E lìiniziò ad allestire quello studio, accanto alla casa paterna, chevidenascere i suoi capolavori. Tra i primi, i grandi ritratti dei suoigenitori, con i quali nel 1981 partecipò alla I Triennale di Brera, ma che oggi sono tornati tra le mura dell’atélier. Proprio illegame fortissimo coi suoiluoghi spinge Pelizza ad aggiungere “da Volpedo”.
Nei primi anni Novanta iniziò gli studi sul dipinto che sarebbe diventato celebre come Il quarto stato, il suo dipinto più noto, frutto di una decennale elaborazione teorica e concettuale. Per approcciarsi ai temi di quello che provvisoriamente intitolò “Ambasciatori della fame” e poi “Fiumana”, Pellizza si abbonò alla rivista “Critica sociale” e leggendo tutti gli opuscoli della “Biblioteca popolare”.
Ben presto il quadro divenne un’icona rivoluzionaria universale, il manifesto del socialismo umanitario schierato accanto alle lotte dei lavoratori. Al contrario, critici e collezionisti accolsero la grande tela tiepidamente. L’artista aveva sperato inutilmente in un acquisto pubblico o almeno in un riconoscimento, che non ci fu, da parte della giuria dell’Esposizione.
Scoramento e delusione spinsero Pelizza a dedicarsi quasi esclusivamente alla pittura di paesaggio. I suoi lavori ebbero una certa fortuna nelle Esposizioni internazionali d’arte di Monaco, Berlino e Hannover, ma lui stentava a essere riconosciuto in Italia.
Sopraffatto dalla disperazione l’artista pose fine alla propria vita impiccandosi nello studio di Volpedo il 14 giugno 1907.
Oggi quello studio, aperto al pubblico nel 1994, è una realtà museale. L’atélier si presenta come un ambiente nel quale le tele, i disegni, i colori, i libri, le tavolozze, gli oggetti – recuperati e disposti sulla base di fotografie degli anni Trenta – si inseriscono senza alcuna forzatura e in cui il visitatore può rivivere con pienezza, più che in qualsiasi altro luogo, le memorie e le suggestioni del mondo e della sensibilità pelizziana.
I Musei di Pellizza – Studio del pittore (Via Rosano 1/A) e il Museo didattico con installazioni multimediali (Palazzo del Torragio, in Piazza Quarto Stato) sono aperti il sabato, domenica e festivi dalle 16 alle 19 da maggio a settembre; da ottobre ad aprile in orario 15-17
Domenica 3 giugno 2018, in occasione della Giornata Nazionale dei Piccoli Musei, apertura straordinaria ore 10-12, 15-19
Info: www.pellizza.it
Si ringrazia Pierluigi Pernigotti, direttore del Museo, per la concessione delle immagini