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Di qua e di là dal Ticino. Novara: un’identità di confine fra storia e lingua – di Marco Roveglia

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Di qua e di là dal Ticino
Novara: un’identità di confine fra storia e lingua

di Marco Roveglia

Nel nostro tempo sembra farsi sempre più pressante la necessità di ripensare criticamente l’appartenenza di alcuni territori e suddivisioni amministrative ad enti istituzionali più grandi. Anche il Piemonte, la scintilla dello stato italiano, non è esente da questo fenomeno. Nella sua Storia del Piemonte Alessandro Barbero spiega come, lungi dall’essere un concetto ben definito, la nostra regione sia qualcosa che si è costruitonegli anni, modificando di molto i propri confini. Nella storia della repubblica italiana le Regioni sono entità politiche giovani, anzi giovanissime: quelle a statuto ordinario si costituirono soltanto nel 1970.
Le province sono paradossalmente più antiche: la loro origine risale al Regno di Sardegna, erede di quel Ducato di Savoia che già era diviso in dodici province. Fra queste dodici province non compare però quella di Novara: in effetti questo territorio venne annesso aipossedimentisabaudi solamente nel 1734, durante la guerra di successione polacca. Fu soltanto in quell’anno che l’esercito di Carlo Emanuele III riuscì ad espugnare la piazzaforte di Novara, baluardo orientale di quel Ducato di Milano passato agli Asburgo d’Austria dopo secoli di dominazione spagnola. Una statua del primo sovrano sabaudo che governò sulla città venne eretta in Piazza in Puccini nel 1837 e da allora osserva incuriosita la piccola folla che si accalca sotto i portici per un aperitivo o all’entrata del Teatro Coccia.
Se Novara fa parte del Piemonte da quasi trecento anni, come mai allora è ancora così forte per questo territorio l’attrattiva della Lombardia?
Partiamo dalle ragioni storiche: come abbiamo detto, fino al 1734 Novara apparteneva alDucato di Milano, una città importante, rianimata dal riformismo dei sovrani asburgici. Non è difficile comprendere come mai moltissimi nobili novaresi preferirono continuare a frequentare il senato e i palazzi di Milano invece che spingersi fino a Torino, da un sovrano di lingua francese con il quale non avevano nessun legame.
E il popolo, come reagì all’annessione al Regno di Sardegna?
L’iscrizione in latino ai piedi alla statua di Carlo Emanuele III ci dice che il sovrano si conquistò l’amore dei suoi nuovi sudditi bonificando un’ampia zona che correva tutt’intorno alle mura della città: “A Carlo Emanuele III, Re di Sardegna, perché avendo incanalato le acque per tutta la circonferenza del fossato delle mura, ordinò che venisse ripulita e prosciugata la cloaca sottostante, Novara, resa al suo clima e alla salubrità dell’aria, pose memore dell’eterno beneficio”. Questo canale di scolo, detto “Cunetta”, rimase ben visibile fino ai primi anni del Novecento. Sempre a Carlo Emanuele III si devono le prime piantumazioni di quello che diverrà poi il Parco dell’Allea, sorto proprio sulle antiche fortificazioni spagnole conquistate dall’esercito piemontese.
La popolazione amò quindi profondamente Carlo Emanuele III come sembrano suggerirci enfaticamente l’iscrizione e le cronache del tempo? Il nostro giudizio deve essere più mite, perché sembra che a quel tempo le tasse fossero più alte in Piemonte che nel Ducato di Milano e anche perché i novaresi si ritrovarono a dover rispondere a un obbligo nuovo imposto dal re: la leva militare. Gli Asburgo si erano guardati bene dall’armare i sudditi italiani per timore di possibili ribellioni. Lo Stato sabaudo era invece piccolo ma estremamente ambizioso, e i suoi governanti sapevano bene che per resistere alla Francia e all’Austria era necessario un esercito quanto più numeroso e preparato. Molti giovani preferirono oltrepassare il Ticino pur di non prestare servizio nell’esercito. Non va poi dimenticato che i funzionari del re, provenienti direttamente dalla corte di Torino, rimpiazzarono quasi del tutto i patrizi novaresi nel governo della città e del suo circondario.
Eppure, nonostante piccole e grandi difficoltà la storia di Novara e del suo territorio si legò indissolubilmente a quella del Piemonte. I politici piemontesi (non soltanto i re, ma anche i primi ministri, gli statisti, i grandi politici) cercarono negli anni successivi di favorire la crescita di un territorio che consideravano a tutti gli effetti come una parte integrante e molto importante del loro stato. La più grande realizzazione in questo senso è il Canale Cavour, che partendo da Chivasso fa defluire l’acqua del Po fino alle pianure del Novarese, allagando le famose risaie. Novara dal canto sua ha dato al Piemonte e all’Italia un numero impressionante di politici, intellettuali, musicisti, artisti e studiosi di chiara fama.
Un altro elemento apparentemente problematico è la lingua.
È opinione diffusa che il dialetto novarese (così come quello del Verbano e delle valli ossolane) sia un dialetto lombardo, e questo è in parte vero: sia la grammatica che il lessico di questo idioma mostrano una forte affinità con il dialetto lombardo occidentale. Tuttavia il novarese non è un dialetto puramente lombardo: le terre poste fra il Sesia e il Ticino hanno fatto sempre da filtro fra i due idiomi, il piemontese e il lombardo. Le lingue sono sistemi complessi in continua evoluzione, e la loro classificazione risente di questo continuo progresso.
Classificare il dialetto novarese si dimostra molto difficile per due fattori: il primo, lo abbiamo già accennato, è che il novarese è un idioma di confine, sì lombardo, ma anche un po’ piemontese; una lingua “anfibia” insomma, che attinge da due fonti che fanno peraltro parte di un ceppo comune, quello dei dialetti gallo-italici dell’Italia nord-occidentale. Il secondo problema consiste nel fatto che il dialetto novarese è seriamente minacciato: i locutori sono sempre di meno, e le nuove generazioni fanno semmai uso di pochissime espressioni. Negli ultimi anni anni non è mancato l’impegno di alcune associazioni perpreservare questo patrimonio, che fortunatamente gode dell’attenzione di molti studiosi e cultori locali. Oggi la lingua di Novara è sicuramente l’italiano: un italiano spesso infarcito di prestiti dall’inglese, talvolta di espressioni derivate da qualche dialetto, o da qualche altra lingua più esotica.
La cronaca ci informa che alcuni personaggi politici perorano apertamente la causa di una Novara lombarda, quasi a farsene una bandiera. Si tratta di un interessamento sincero o di un bieco interesse politico? Già nel 2012 l’allora presidente della provincia di Novara Diego Sozzani propose un referendum per decidere se il territorio novarese dovesse unirsi o meno alla Lombardia.
Simili proposte si sono susseguite negli anni, rinfocolate di recente dalle spinte autonomiste di alcuni territori europei, come la Scozia o la Catalogna. Per qualcuno il confine fra Lombardia e Piemonte dovrebbe essere spostato dal Ticino al Sesia: ragioni storiche e culturali lo suggerirebbero. Eppure sarebbe una scelta azzardata, considerando che il Novarese è sempre stato una terra di confine, una terra di transizione sempre pronta ad assorbire il meglio dei suoi vicini senza mai perdere qualcosa di peculiare, qualcosa che altre città non hanno. Le risaie, le architetture antonelliane, i portici animati e i verdi baluardi silenziosi non hanno certo bisogno di referendum o nuove annessioni per confermare la loro identità.

Questo articolo ha ricevuto una menzione d’onore alla XI edizione del Premio Piemonte Mese, sezione Cultura

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