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I suonati del rock: trent’anni (più uno) di Powerillusi – di Alberto Tessa

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I suonati del rock
Trent’anni (più uno) di Powerillusi

di Alberto Tessa

Alcuni lo chiamano “rock demenziale”, ma forse quello del gruppo torinese dei Powerillusi (si può leggere sia Poverillusi, all’italiana, sia “Pauerillusi”, all’inglese), è soltanto un rock un po’… “suonato”. Anche perché, se si ascoltano bene i testi delle canzoni, la melodia tutto sembra fuorché demente. A meno che non si considerino idiote pure le commedie di
Aristofane e Plauto, due noti mattacchioni dell’antichità che, con intelligenza, “perculavano”, nelle loro commedie, alcuni atteggiamenti e comportamenti tanto del popolino quanto del potente.
Certo, sono testi leggeri, ma contengono un messaggio di fondo che suscita qualche riflessione e talvolta si ricollega pure, in maniera nemmeno troppo occulta, a topoi trattati da grandi nomi della Letteratura, come, per esempio, Dino Buzzati: “Non siamo così distanti dall’Enzo Jannacci di Vengo anch’io. No, tu no, che sembra una canzone leggera e frizzante e, in effetti, in parte lo è, ma che contiene pure un messaggio contro l’emarginazione sociale”, dice il bassista Vito Vita, “cavourino” dalla solida cultura classica che, insieme al chitarrista Vince Ricotta, ha fondato i Powerillusi nel 1987 e anima ancora il gruppo con le sue note e con la sua voce – nel corso degli anni si sono poi alternati diversi batteristi: il primo fu Filippo Provenzano, mentre quello attuale è Paolo Rigotto.
Nonostante in trent’anni e oltre di storia della formazione si sia passati dal crepitio del vinile alla musicassetta al compact disc, per arrivare, infine, al suono “così così” di youtube, i Powerillusi continuano a sfornare brani, per amore dei loro fan e della musica, quella fatta bene, che richiede passione, tempo e sacrificio.
Per festeggiare degnamente i tre decenni (e un anno) del gruppo, i Powerillusi hanno lanciato di recente Powerillusi&friends, un cd, anzi due, usciti con l’etichetta della casa discografica “Block nota” di Udine, che raccolgono i maggiori successi di trent’anni di carriera, cantati e spesso riarrangiati da artisti e musicisti amici, conosciuti tenendo concerti e spettacoli in giro per l’Italia. Dagli Skiantos al mitico Gerry dei Brutos, da Johnson Righeira a Omar Pedrini e Pino D’Angiò, soltanto per citare qualche nome, tutti hanno aderito con entusiasmo al progetto e hanno reinterpretato canzoni come Il loro primo 45 giri, motivo d’esordio del gruppo torinese. “A questa canzone siamo particolarmente affezionati non soltanto perché, come dice il titolo stesso, fu il nostro primo vinile, ma pure perché, non sapendo cosa diavolo incidere sull’altro lato del disco, il lato B (senza maliziosi significati anatomici, ndr.), avemmo un’intuizione: cantare la cover di un grande successo dei Beatles. Fu così che nacque Lato B, reinterpretazione ironica, e a cappella, di Let it Be dei Fab Four”.
L’idea piacque talmente tanto che Lato B, recensita fra gli altri anche dal noto giornalista Rai Vincenzo Mollica, fu in seguito inclusa, in Inghilterra, in un’antologia che raggruppava le più curiose cover dei Beatles scovate in giro per il mondo ed ebbe persino l’onore di essere presentata da un’introduzione di sir Paul McCartney. “La storia de Il loro primo 45 giriè curiosa anche perché, nel gennaio del 1988, tre mesi prima che il disco uscisse, fummo chiamati a presentarlo su Rai Tre, all’interno del programma Jeans, condotto da un giovanissimo Fabio Fazio”, spiega ancora Vito.Ci dissero che avremmo dovuto cantare in playback, così Vince Ricotta costruì degli strumenti di polistirolo, in modo da sottolineare ancora di più come non stessimo suonando dal vivo. Strumenti che furono distrutti volontariamente alla fine dell’esibizione, a imitazione delle più indiavolate star del rock. Fu un successo, tanto che all’uscita effettiva del disco, ad aprile, ci richiamarono a Jeanse Vince dovette ricostruire da zero gli strumenti farlocchi”.
Fu poi del 1990 la partecipazione dei Powerillusi alla prima edizione del festival torinese di Sanscemo che vide la vittoria di Marco Carena, cantautore che l’anno successivo avrebbe partecipato al festival di Sanremo e non più soltanto alla sua parodia in salsa subalpina. Nel ’91 il trio allora formato da Vita, Ricotta e dal batterista Alberto Albertin (altro nome vero, non d’arte) vinse Sanscemo con la canzone Il bambino povero. Anche in quel caso, la melodia nascondeva un forte messaggio sociale: un ragazzino, cresciuto in un quartiere disagiato di Torino da una famiglia non proprio raccomandabile, lasciato a sé stesso, fa la stessa fine del padre ed entra nel giro della piccola criminalità.
Al primo 45 giri fece seguito, nel 1993, un album completo, intitolatoOmonimo. “Come accade ancora oggi, le canzoni più famose degli autori più affermati danno il titolo all’intero album; così, capitava che in radio, per evitare ripetizioni, i conduttori dicessero: ‘Trasmettiamo ora la canzone tale, tratta dall’album omonimo’. Allora, decidemmo di sfruttare la cosa a nostro vantaggio. Così pareva che anche le canzoni dei più grandi autori fossero tratte dal nostro album”.
Insomma, era una simpatica fregatura basata su giochi di parole e doppi sensi che i Powerillusi, in tutti questi anni, hanno dimostrato di padroneggiare alla perfezione. Ne è un altro esempio il brano inedito, contenuto in Powerillusi&friends, “Olio di Palma”: “Il titolo è stato da noi scelto al solo scopo di poter scrivere sulla copertina che questo album contiene Olio di Palma”, sghignazza Vita che ha saputo cavalcare un tormentone, questa volta in chiave antisalutista.
Ma perché vi siete chiamati proprio Powerillusi?
Partiamo da quello che è sempre stato il nostro motto: è meglio avere un miliardo di idee e nessuna lira in tasca che avere un miliardo di lire in tasca e nessuna idea”, spiega Vita. “Insomma, con questo lavoro non ci siamo mai arricchiti, anche se, nella prima metà degli anni ’90, siamo andati molto vicini a camparci. All’inizio eravamo proprio squattrinati, giovani e illusi, ma ne eravamo consapevoli e questa era la nostra forza, o power, in inglese”.
Progetti futuri? “Certamente ne abbiamo. Stiamo già lavorando a degli inediti e a una raccolta di altri nostri successi. Il 2019 e il 2020 saranno anni frizzanti per il nostro gruppo. Quando ci chiamano, inoltre, facciamo ancora delle serate in alcuni locali in giro per Torino, anche se, purtroppo, non è più come un tempo. Oggi la musica viene data per scontata, la si trova ovunque: nei supermercati come sottofondo, persino allo sportello del bancomat. C’è molta più musica di quanta ce ne fosse ai miei tempi ma penso che, in generale, la qualità sia significativamente calata. Nei ragazzi di oggi, inoltre, non vedo più quell’afflato che spingeva noi, nati negli anni ’60, a creare dal nulla, al liceo, dei complessini, all’interno dei quali si incominciava a strimpellare, da soli e in compagnia, da autodidatti. Inoltre, la cultura musicale che la scuola in Italia, patria indiscussa del melodramma, offre ai suoi allievi è molto limitata e spesso incontro studenti universitari, anche in gamba, che non conoscono neppure Bach o, meno che mai, Duke Ellington”.
La situazione, insomma, non è delle più rosee neppure per il panorama musicale, ma lasciateci fare una doccia cantando a squarciagola Lato B.

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