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“Il don”. Don Aldo Rabino, il suo Toro, la sua missione – di Francesca Torregiani

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Don Aldo Rabino: il suo Toro e la sua missione
di Francesca Torregiani

Vivere non è un fatto fisiologico, non lo è neppure esistere, che è un evidente miracolo di cui possiamo capire davvero poco. Vivere è scegliere, schierarsi, essere coraggiosi, pazienti, impegnandosi con dedizione anche quando le risorse sembrano esaurirsi. La vita di Don Aldo Rabino è stata tutto questo e, di sicuro, anche qualcosa in più. Tre anni e non sentirli da quando il don se ne è andato, eppure se ora prendiamo le distanze e cambiamo prospettiva, è lì che sentiamo la voragine creata da quello spazio non fisico che anno dopo anno si allarga; l’assenza di parole nuove di speranza, di entusiasmo, dentro la progressiva mediocrità del nostro tempo.
Don Aldo Rabino rifuggiva la mediocrità, era capace di annuncio e soprattutto in grado di precorrere i tempi. Diceva sempre: Ad arrivare dopo non c’è merito, sforzatevi di portare novità di vita in tutto ciò che fate”. Sempre in guerra contro la PIgrizia e la PAura: quante volte raccomandava ai suoi ragazzi “non fumate la PI-PA!”, acronimo di questi due difetti tanto comuni quanto comodi.
I suoi ragazzi, i ragazzi di Don Aldonascono nel 1969 e con loro nasce un padre che tutta Torino conosce semplicemente come don; il “suo” gruppo era la grande famiglia di ragazzi, amici, confratelli, compagni di studio e di vita, colleghi con i quali ha messo in pratica ciò che aveva imparato fin da bambino: coniugare i verbi alla prima persona singolare è una possibilità concessa dalla grammatica, ma rare volte dalla vita.
Don Aldo Rabino eranato a Torino il 15 luglio 1939. Tornato dopo lo sfollamento a Montanaro per la guerra, frequentò l’Istituto Salesiano Rebaudengo,meglio conosciuto dai torinesi come ilReba. Il ragazzino Aldo di giorno lavorava alla linotipia Rosso  di Corso Francia, la sera andava a scuola; inseparabile da sempre dalla sua bicicletta con portapacchi, su cui caricava chili di piombo per le tipografie, girava in lungo e in largo per la città col caldo torrido e negli inverni rigidi della Torino del dopoguerra.
Chieri, Pinerolo, Foglizzo, Lombriasco e infine Roma, con l’Università Pontificia Salesiana, sono i luoghi della sua formazione. In quegli anni si radicò profondo nel suo cuore l’amore per il prossimo, specie il più debole: sapeva riconoscere l’ultimo e farne una priorità.
Il 22 dicembre 1968, nella cappella interna del suo Reba, il giovane salesiano Rabino diventa sacerdote, e sposa la sua Chiesa, di cui scrive: “Questa Chiesa è fatta di carne umana, sbagliata, malata, talvolta intruppata dentro regole e istituzioni che logorano lo spirito; è zeppa di “canizie”, ma continua a camminare, ad essere presente in ogni dove; non smette di amare i poveri, di opporsi a padroni potenti e forti, nelle favelas o nei barrios, a Rio o a Bombay; non rinuncia a sfornare papi e vescovi, ma anche piccole suore, fratelli laici disposti a lasciar casa, famiglia, carriera e seppellirsi dentro ospedali e lebbrosari ad alleviare le ferite, a garantire a bambini e orfani un pezzo di pane e non pane soltanto”.
Con la sua agenda, fitta e scarabocchiata, don Aldo è statoprete del popolo, da cui egli stesso proveniva, e per il popolo ha lavoratotutta la vita: dal Piemonte è partito verso l’America Latina, dove comprende e pratica l’esortazione di Don Bosco“prendetevi cura speciale degli ammalati”.ACampo Grande conosce il Sao Juliao, il lebbrosario, il luogo degli ultimi, dell’abbandono e della morte. Nel 1967 in Val Formazza (Ossola) era nato il movimento Operazione Mato Grosso, fondato da un gruppo di giovani partito per il Brasile per costruire una scuola. Tra i fondatori c’era don Franco Delpiano l’amico storico di Rabino. Don Aldo viene ricordato come un severo insegnante, a volte rude e sbrigativo, poco incline alle smancerie, ma disposto ad incantarsi ogni volta di fronte al miracolo della vita e ai bambini, con i quali sapeva relazionarsi con semplice delicatezza e profondità; ed è proprio dall’amore per l’infanzia che sono nate le colonie estive, i camp sportivi, i progetti di accoglienza, l’OASI di Maen in Valtournenche, in Val d’Aosta o quella di Rivalta, oasi in cui lo sport, altra passione del don, è sempre stato mezzo di unione e formazione.
Don Aldo è stato il decano dei cappellani delle squadre di calcio, dopo essere stato lui stesso una promessa del pallone. Dal 1971 ha seguito gli atleti del Torino, celebrando messa ogni anno a Superga, ricordando gli eroi, i campioni e anche le meteore granata, appassionando tutti con singolari aneddoti. Era stato consigliere nazionale della Figc e presidente onorario della Fondazione stadio Filadelfia. Nel mondo granata aveva un rimpianto: Avrei dovuto fare di più per Dante Bertoneri”, quel ragazzo con i baffi che a 16 anni giocava in serie A. Correva ancora tanto, se la schiena glielo permetteva, anzi viveva di maratonine. Dante chiese aiuto a tanti, soprattutto ai giornalisti, ma lo ascoltarono in pochi. Il Toro è come una religione, lo testimoniano l’ex commissario tecnico del volley Mauro Berruto: “ero stato anche un ultras”,rivela en passant“Chicco”. C’è una frase di Berruto che catturava certamente anche don Rabino:Per chiunque la squadra del cuore è speciale. Il Toro è qualcosa di diverso. Chi lo tifa lo sa benissimo, chi non lo tiene non può capirlo e allora rinuncio a spiegarlo”. Insieme all’amico Beppe Gandolfo, don Aldo, ha scritto il libro Il mio Toro, la mia missione; in questo titolo c’è tutto: la forza del possessivo e la serietà del compito; con il coraggio limpido di dire le cose, amico di tutti, slegato da chiunque, operando sempre per il bene del Toro.
Don Aldo è stato una grande figura del volontariato torinese, un manager dell’educazione dei giovani, un prete capace di smuovere e svegliare le risorse umane e professionali, un dirigente intelligente del mondo sportivo: ha lasciato un’eredità grande, le sue parole continuano ad animare il gruppo di ragazzi e giovani un po’ cresciuti che ha lasciato. Un’iniziativa su tutte la Scuola Calcio don Aldo Rabinoa Verzuolo che nasce per idea di Bruno Masenti grandissimo amante di don Bosco e del calcio,Bruno ha per anni iniziato al calcio schiere di saluzzesi all’oratorio cittadino. Dopo la messa del mattino, il buon Bruno insegnava i fondamenti e poi dava vita a epiche partite, interrotte dalle sue grida bonarie. Pioggia e sole, neve e freddo: nessun meteo è stato mai di ostacolo, e questo è il terzo anno di attività della scuola calcio in ricordo del don.
Don Aldo Rabino si muoveva in quell’ambito universale che supera il personale, il suo è stato un contributo civico e sociale, ma anche cristiano e teologico. Le sue iperboli concettuali, contaminate dalla pratica quotidiana e dal suo sguardo sul mondo, rispetto a ciò che l’attualità ci ha messo davanti in questi anni e ci mette davanti ogni giorno; gli spasmi di vitalitàche sapeva diffondere, l’apertura mentale senza pregiudizi, lo spirito di contestazione mai a perdere, le proposte, l’esempio, il peso e il significato di ogni parola pronunciata. Radici forti che lo ancoravano in terra mentre abbracciava il cielo e tutti quelli che incontrava.
Questo articolo ha ricevuto una menzione d’onore alla XII edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura

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