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Sembianze e devianze. Lombroso e la fotografia di una pseudoscienza in mostra alla Mole fino a gennaio 2020 – di Lucilla Cremoni

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Lombroso e la fotografia di una pseudoscienza in mostra alla Mole fino al 6 gennaio 2020

di Lucilla Cremoni

Le teorie lombrosiane sono, e non da oggi, l’esempio più noto delle pseudoscienze che si sviluppano fra Sette e Ottocento parallelamente alle scienze vele e proprie. A differenza di queste ultime, le pseudoscienze – antroposofia, omeopatia, spiritismo, mesmerismo, senza dimenticare le antichissime numerologia e astrologia – applicano un spproccio “scientifico” a presupposti irrazionali, trattando il pregiudizio come dato, la coincidenza come prova, la conclusione arbitraria come dimostrazione inconfutabile.
Particolarmente quotate erano la frenologia e la fisiognomica, che dallo studio dei tratti somatici e dalla misura del cranio traggono conclusioni sulla personalità e inclinazioni del soggetto, partendo dall’assunto che ogni caratteristica o devianza umana (amore, aggressività, lealtà, intelligenza, ottimismo eccetera) abbia una sua precisa collocazione nel cervello. Proprio la rilevazione antropometrica sarà fondamentale strumento di lavoro di Lombroso, che se ne servirà per dimostrare la relazione fra tratti somatici e tendenze criminali, nonostante il fatto che già nei primi anni Quaranta dell’Ottocento (dunque ben prima che Lombroso iniziasse la sua carriera) la comunità scientifica ne avesse dimostrato l’infondatezza. Pur screditate, queste pseudoscienze non solo continuano ad avere seguaci, ma generano una discendenza infame come le teorie eugenetiche, il cosiddetto “razzismo scientifico”.
Lombroso è l’epitome del positivismo ottocentesco: assoluta fiducia nell’esistenza di una Realtà oggettiva e nella capacità umana di misurarla e dominarla; negazione, minimizzazione o condanna di quanto non appare concreto, utile, produttivo. “L’Ordine come base, il Progresso come fine” (la celebre frase di Comte che è anche ripresa sulla bandiera del Brasile) è il motto, e non a caso il positivismo si diffonde particolarmente nei paesi industrializzati e tecnologicamente avanzati. Un approccio laico e scientifico che da un lato produce Darwin, ma dall’altro diventa pretesto e giustificazione di un materialismo gretto e dogmatico che già nella seconda parte del secolo sarà messo in discussione in modo sempre più netto.
Laureatosi nel 1858 dopo studi a Padova, Pavia e Vienna, Ezechia Marco (Cesare) Lombroso è ufficiale della Sanità durante la guerra del 1859; mandato in Calabria con le truppe preposte alla repressione del banditismo, inizia a studiare le popolazioni locali e a raccogliere dati e materiali di ogni genere. Durante la guerra del 1866 approfondisce lo studio della pellagra, malattia allora endemica nell’Italia settentrionale, sulla quale nel 1869 scrive il celebre Trattato Profilattico sulla Pellagra. A soli trent’anni è Professore Straordinario di Malattie Nervose a Pavia, nel 1871 diventa direttore del manicomio di Pesaro e nel ’74 vince il concorso per la cattedra di Medicina Legale a Torino.
In tutti questi anni Lombroso pratica centinaia di autopsie e instancabilmente cerca, raccoglie, cataloga, assemblando una collezione che gradualmente diventa museo: corpi di reato, arnesi usati per le evasioni, parti anatomiche conservate in formaldeide, immagini segnaletiche, calchi e maschere mortuarie di “criminali” e “alienati”, modelli e plastici; e poi scritti, disegni e manufatti realizzati da carcerati e internati nei manicomi.
Lombroso è soprattutto interessato ai crani: se ne procura in grande quantità e col crescere della sua fama e prestigio ne riceve in dono da ogni parte d’Italia e dall’estero, riuscendo anche ad ottenere la collezione craniologica e criminologica di Regina Coeli.
Proprio da un cranio arriva la scoperta della sua vita. Esaminando quello del brigante calabrese Giuseppe Villella, Lombroso scopre la “fossetta occipitale mediana”, cioè l’anomalia che costituirebbe il carattere distintivo dei criminali. In una parola, la prova che delinquenti si nasce. E se delinquenti si nasce, non ci sono possibilità di redenzione o recupero; per questo Lombroso è convinto sostenitore della pena capitale, e della necessità di individuare e catalogare tutti i tratti somatici che possono identificare un delinquente. Atavismo e deviazione sono le parole chiave. Mandibole o arco sopracciliare molto pronunciati, zigomi sporgenti, canini lunghi o incisivi grossi, braccia sproporzionate, piede prensile possono rivelare un delinquente (nelle varietà nato, epilettico, alienato o “pazzo morale”). Poi ci sono fattori aggiuntivi: interni, come l’alcolismo o la malattia mentale; o esterni, come condizioni di estrema povertà, ignoranza o arretratezza. Lombroso non nega il contesto, ma non gli riconosce un’influenza significativa rispetto alle azioni o allo sviluppo dell’istinto criminale, innato.
Quello di Lombroso non è un interesse puramente scientifico e culturale: a muoverlo non è la volontà di allargare i confini della conoscenza ma la convinzione che riconoscere per tempo i potenziali delinquenti sia il modo più efficace di prevenire il crimine. Identificare e catalogare il maggior numero possibile di caratteristiche, misure e parametri significa fornire degli indispensabili strumenti di lavoro ai tutori dell’ordine, ai tribunali e agli alienisti. Di qui nascono le varie edizioni, via via sempre più corpose (dalle 272 pagine di quella del 1876 alle oltre 1900 di quella del 1896) de L’uomo delinquente, che contiene anche un Atlante criminale con tabelle riportanti la distribuzione dei vari tipi di reati nelle regioni italiane.
I molti anni di ricerca instancabile, l’insegnamento, le innumerevoli pubblicazioni portano a Lombroso fama e onori: proprio per lui, che dal 1903 era titolare della cattedra di Psichiatria, viene creata a Torino la cattedra di Antropologia Criminale riconoscendogli così la paternità di una nuova disciplina. Ma non è una gloria durevole, e il pensiero lombrosiano non sopravvive al suo creatore. Già all’indomani della sua morte (in realtà anche da prima) le sue teorie sono confutate e demolite, e lo studioso ridicolizzato e stigmatizzato senza pietà.
Ma quell’indagare fra carni e umori, anatomie e pulsioni, quella narrazione e illustrazione di turbe ed efferatezze (magari esplicitamente sessuali) esercita un’attrazione irresistibile, titilla la curiosità più morbosa, l’eterna fascinazione per i freaks. A metà degli anni Ottanta del Novecento, la mostra La scienza e la colpa allestita alla Mole Antonelliana attirò frotte di visitatori.
E sicuramente sarà così anche per la mostra che di nuovo si occupa di Lombroso, e di nuovo alla Mole, che nel frattempo, da quel contenitore vuoto che era trenta e più anni fa è diventato uno dei più visitati musei italiani.
La mostra I 1000 volti di Lombroso presenta al pubblico, per la prima volta, una selezione di fotografie del Museo di Antropologia Criminale dell’Università di Torino, intitolato proprio a Lombroso. La mostra si collega e integra con #facceemozioni. 1500-2020: dalla fisiognomica agli emoji, in corso da luglio e dedicata alla storia della fisiognomica.
Ospitata nelle teche conservative al quinto piano del Museo Nazionale del Cinema di Torino, la presenta 340 pezzi, di cui 305 fotografie (alcune restaurate per l’occasione), 13 disegni, due manoscritti, un pannello illustrativo, un calco in gesso di un cranio e una maschera mortuaria in cera, due strumenti scientifici, due manufatti realizzati da pazienti psichiatrici, una scultura, undici libri e una rivista per un totale di 340 pezzi.
La fotografia, all’epoca una tecnica innovativa, fu estesamente usata da Lombroso, che raccolse un ricco archivio di immagini acquisite o commissionate.
La mostra si articola in cinque sezioni, che seguono lo svilupparsi cronologico del lavoro di Lombroso a partire dagli studi sui “pazzi” e i briganti, fino alla nascita della Polizia scientifica.
La sezione introduttiva presenta una selezione delle fotografie raccolte da Lombroso, una macchina fotografica, uno stereografo per il disegno del profilo del cranio, una maschera mortuaria in cera di un detenuto, scritti scientifici e divulgativi, un ritratto a disegno.
La prima sezione è dedicata all’immagine del folle e alla nascita dell’antropologia criminale, con ritratti di alienati e immagini di tatuaggi, che Lombroso collegava a quelli dei “popoli primitivi” e considerava, assieme ai tratti fisici, una delle prove del carattere atavico della tendenza criminale. La sezione include anche due pipe, opera di “mattoidi” (alienati co doti artistiche) e il calco del cranio di Alessandro Volta, usato da Lombroso nella sua ricerca sul rapporto dea genio e follia del 864.
La seconda sezione è dedicata a brigantaggio, delitto politico, criminalità minorile, con foto di briganti e di “delinquenti politici” come anarchici e rivoluzionari (inclusa Anna Kuliscioff), di bambini e ragazzi di strada e di “corrigendi”.
La terza sezione si focalizza sulla donna delinquente, con immagini di prostitute, bordelli, crani di prostitute. Lombroso, assieme al genero Guglielmo Ferrero, pubblica nel 1893 un saggio sulla delinquenza di genere in cui proprio la prostituzione è indicata come una forma di delinquenza tipicamente femminile e si teorizza l’inferiorità del genere femminile.
La quarta sezione si occupa di omosessualità e “razzismo scientifico”, con ritratti e foto segnaletiche di “pederasti”, “pervertiti”, “saffiste” e “terzo sesso” accanto a quelle di criminali ebrei, russi, gitani, aborigeni e così via.
La quinta sezione, e ultima, è dedicata alla fotografia segnaletica e alla Polizia scientifica. Nel 1886 Lombroso propone di applicare in Italia i metodi “esattamente governabili” delle scienze alle indagini poliziesche. Il suo invito è accolto da Salvatore Ottolenghi, che a partire dal 1895 introduce tecniche di investigazione scientifica comprendenti l’uso della fotografia accanto al segnalamento descrittivo, antropometrico e dattiloscopico dei delinquenti e dei presunti tali. Nella sezione sono presenti, insieme a un disegno e una tavola statistica, ritratti di criminali e alcuni esempi di schede segnaletiche contenenti fotografie identificative e impronte digitali.
Museo nazionale del cinema Mole AntonellianaVia Montebello 20, Torino
Orario: tutti i giorni ore 2-20; martedì chiuso, sabato apertura prolungata fino alle 23. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Possibilità di salita a piedi alla cupola sabato, domenica e festivi ore 12 e 16,30, altri giorni su prenotazione
Biglietti: Museo Cinema + ascensore panoramico: intero 15 euro, ridotto 12 euro; Museo Cinema: intero 11 euro, ridotto 9 euro; Ascensore panoramico: intero 8 euro, ridotto 6 euro; Salita a piedi: tariffa unica 10 euro
Per tutta la durata della mostra con il biglietto del Museo Nazionale del Cinema sarà possibile accedere al Museo Lombroso alla tariffa ridotta di 3 euro. In reciprocità, presentando il biglietto del Museo Lombroso al Museo Nazionale del Cinema, ingresso ridotto a 9 euro.
Sono previste una serie di visite guidate gratuite, ma con prenotazione obbligatoria, con i curatori nelle giornate di sabato 5 ottobre, 16 novembre e 7 dicembre alle ore 10,30 e 11,30. Durata 50 minuti.
Info e prenotazioni gruppi e visite guidate: tel. 011 8138563 / 564 / 565 / 566, info@museocinema.it, www.museocinema.it

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