CAPPELLA DELLA SINDONE
CONCLUSO IL RESTAURO DELL’ALTARE DI ANTONIO BERTOLA
Nel primo decennio del Seicento, il duca di Savoia Carlo Emanuele I commissiona la Cappella della Sindone all’architetto Carlo di Castellamonte per dare seguito alla volontà testamentaria del padre, il duca Emanuele Filiberto e per dare una sede definitiva alla Sindone posseduta e custodita dai duchi di Savoia dal 1453 e trasferita da Chambéry a Torino nel 1578.
Nel 1667 il cantiere è affidato alla direzione di Guarino Guarini che, sul volume già costruito dell’aula, imposta una geniale struttura formata da tre archi alternati a pennacchi, capace di alleggerire la massa muraria e sviluppare in altezza la cupola, una immaginifica struttura diafana, costituita da un reticolo di archi sovrapposti e sfalsati, proteso verso il cielo e permeato dalla luce.
Nella notte tra l’11 e il 12 aprile 1997, mentre è attivo un cantiere di restauro, la Cappella della Sindone viene devastata da un incendio che ne comprette la struttura stessa, oltre che l’apparato decorativo: lo shock termico provocato dal calore delle fiamme e dall’acqua di spegnimento causa la fratturazione in profondità dei conci di marmo e la rottura della cerchiatura metallica situata in corrispondenza del tamburo. Al piano dell’altare si trova uno strato di detriti alto circa un metro, perché le impalcature utilizzate per i lavori sono adagiate e contorte a terra. Molte colonne esplodono, oltre l’80% della superficie marmorea è perduto e il sistema degli incatenamenti metallici gravemente compromesso. I marmi Nero e Bigio di Frabosa Soprana (Cuneo) hanno perso il colore e il calore ne ha provocato la calcinazione per spessori anche rilevanti. Tutti gli apparati decorativi lignei sono completamente distrutti.
La Cappella della Sindone è stata riaperta al pubblico il 27 settembre 2018. Rimaneva l’altare, che alla fine di marzo 2021 è stato restituito alla comunità grazie al completamento del restauro cofinanziato dal Ministero della cultura – progetti Art Bonus 2018, dalla Fondazione Compagnia di San Paolo e dalla raccolta 1997 della Fondazione La Stampa-Specchio dei Tempi.
L’altare della Cappella della Sindone è stato progettato dall’ingegnere e matematico Antonio Bertola (Muzzano, Biella 1647-1719) tra il 1688 e il 1694 per accogliere la Sindone, conservata nell’urna centrale dal 1694 al 1993. Bertola ha impostato il monumentale altare conformandolo alla forma circolare della Cappella e realizzando due fronti, uno rivolto verso la cattedrale e l’altro verso il Palazzo Reale, con al centro la grande urna. L’altare è stato realizzato in marmo nero di Frabosa e arricchito da decorazioni e sculture in legno dorato per farlo risplendere nella penombra dell’aula centrale della Cappella. La platea marmorea è sopraelevata di alcuni scalini rispetto al pavimento della Cappella e il basamento dell’altare si imposta a sua volta su una predella ornata con 162 elementi a punta di diamante.
Proseguendo verso l’alto la struttura di base della “Custodia” è ornata con otto modiglioni doppi e dodici semplici intagliati a “scaglie e lacrime”; attorno alla “Custodia” sono quindi disposte quattro lesene su cui si imposta un fregio riccamente intagliato e scanalato. Al di sopra sono collocati quattro cartelloni intagliati su tre lati, che presentano in sommità e alla base una voluta, quest’ultima con un intaglio di foglie. Infine nel coronamento sopra i cartelloni si ritrova una decorazione che riprende i motivi di quella del fregio sottostante, arricchendola con foglie in risalto.
colonna della flagellazione, custodita a Roma in S. Prassede, e un secondo con la spugna dell’aceto si sono conservati, mentre i due recanti la croce e la lancia di Longino sono andati distrutti.
L’alzato era inoltre decorato con applicazioni lignee dorate a motivi vegetali e parti figurate in forma di putti; sulla sommità era collocato un alto fastigio ligneo dorato, costituito da una grande raggiera luminosa con angeli, cherubini e nuvole, anticipazione dei motivi caratteristici delle decorazioni d’altare settecentesche, in particolare di Juvarra e Vittone, andato distrutto durante l’incendio.
Tutti gli apparati scultorei sono stati eseguiti tra il 1692 e il 1694 da Francesco Borello e Cesare Neurone, scultori di corte a lungo impegnati nei cantieri ducali, e risaltano fra le più belle sculture lignee dorate dell’epoca – specialmente i putti della balaustra che paiono anticipare le aggraziate movenze settecentesche.
I restanti apparati decorativi lignei sommitali sono bruciati durante l’incendio, mentre si sono conservate le quattro appliques a girali che, poste sulla trabeazione, reggevano ognuna una lampada d’argento, opera di Innocente Gaya e
Carlo Balbino (1824-1828) su commissione del re Carlo Felice, che fece destinare alla Cappella due esemplari già destinati alla Basilica di Superga e ne ordinò altrettanti. Quella serie – ornata da stemmi sabaudi e ancora una volta da simboli della Passione come la Veronica e la Sindone stessa – è stata allestita dagli anni Venti dell’Ottocento fino al cantiere di restauro precedente l’incendio e ha ritrovato la propria collocazione nell’attuale allestimento.
Sul fronte verso la cattedrale è esposto il tabernacolo, costituito da un tempietto in legno, rivestito da lamine in argento
sono presenti quattro angeli con i simboli della Passione, già riscontrabili nelle opere di Borello e Neurone, mentre in basso si possono osservare ulteriori ornamenti con i simboli della Passione (lancia, calice, chiodi, martello). Al tema eucaristico sono invece riferite le spighe e i grappoli d’uva.
Una serie di ricchi apparati di suppellettili sacre adornavano infine l’altare: cartegloria, reliquiari a cassa o ad ostensorio, candelieri a fusto, a piramide o a gradino, in legno o argento, databili tra XVII e XIX secolo, e altri preziosi oggetti eseguiti dalla bottega di Giuseppe Maria Bonzanigo alla fine del Settecento e dall’entourage di Pelagio Palagi in età carloalbertina.
Negli anni Quaranta dell’Ottocento vennero infine inserite due sculture in marmo bianco allestite sui pilastrini centrali della balaustra verso la Cattedrale, in sostituzione dei due putti di Francesco Borello e Cesare Neurone. Realizzate da Luigi Bienaimé (Carrara 1795 – Roma 1878), le due sculture, firmate e datate, si ispiravano alle opere del danese Bertel Thorvaldsen, in particolare all’Angelo custoderealizzato per il conte Filiberto Avogadro di Collobiano (1828). Alla casa d’aste Sotheby’s London (luglio 2004) fu presentata una versione dell’Amor Divino (firmata e datata 1833), simile per impostazione ad una delle due sculture un tempo presenti sull’altare del Bertola e gravemente danneggiate dall’incendio. Il modello in gesso è conservato alla Carlsberg Glyptotek in Danimarca (1832). L’angelo dalle braccia incrociate sul petto è una rielaborazione di una scultura simile, già scolpita da Bienaimè nel 1831, quindi ripresa per la scultura nella Cappella della Sindone.
Hanno infine ritrovato posto nella loro collocazione originaria gli otto putti alati realizzati tra il 1692 e il 1694 dagli “Intagliatori di S.A.R.” Francesco Borello e Cesare Neurone scampati all’incendio del 1997 nonché i due angeli superstiti posti ai lati della cassa. Sono state ricollocate le quattro lampade pensili volute dal re Carlo Felice in sostituzione delle quattro lampade pensili di inizio Settecento, fuse per motivi economici alla fine del secolo. In ultimo sono stati riposizionati il tabernacolo in argento sbalzato e cesellato, realizzato nel 1790-91 da Carlo Genova detto Lacchetta e i paliotti lato Palazzo Reale e lato Cattedrale.
A completamento del restauro sono state infine ricostruite le balaustre lignee dorate dei tre coretti della Cappella, anch’esse completamente distrutte dall’incendio.