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Lo spazzino delle Alpi – di Michela Damasco

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Il ritorno del gipeto

di Michela Damasco


gipeto-2Negli ultimi anni, a qualche fortunato sarà certamente capitato di vederlo volare in montagna, con quelle ali strette e appuntite, anche se l’apertura alare, compresa tra i 265 e i 285 cm, non passa inosservata, quella coda lunga e cuneiforme e quel corpo leggermente tozzo. Ali e coda grigio-scuro, parti inferiori, testa e collo chiari, da bianco a rossastro: piumaggio adulto, che viene acquisito nell’arco di 6-7 anni. E una particolarità, quasi un vezzo: i “baffi” neri e rigidi che scendono ai lati del becco. Forse è anche per questo che Linneo catalogò il gipeto come Gypaetus Barbatus. Il nome del genere deriva dal greco gyps (avvoltoio) e aetos (aquila). Il gipeto è infatti un avvoltoio particolare, che, per le sue forme slanciate e agili si differenzia sia dal grifone, sia dall’avvoltoio monaco. Con la sua capacità di volo, poi, supera di gran lunga l’aquila reale.
Negli ultimi anni, a sempre più fortunati sarà capitato di vederlo librarsi nell’aria, con un volo leggero, lunghe virate per sfruttare le termiche montane, evoluzioni in grado di mantenere a distanza anche aquile adulte. Perché oggi ci sono circa 160 gipeti in tutte le Alpi e circa 15 tra Piemonte e Valle d’Aosta. Merito del programma di reintroduzione del gipeto in corso sulle Alpi europee, avviato nel 1986 e coordinato VCF – Vulture Conservation Foundation (Fondazione per la Conservazione degli Avvoltoi). Gli uccelli rilasciati sulle Alpi hanno iniziato a riprodursi nel 1996, con i primi involi documentati l’anno successivo.
Circa 20 milioni di anni fa, infatti, c’erano varie specie di avvoltoi. Da questi si è evoluto anche il gipeto, che si nutre di carcasse di ungulati selvatici e/o domestici. L’alimentazione si basa soprattutto sulle ossa. Consumando le carogne rimaste sul terreno, il gipeto dà di fatto un contributo importante contro la diffusione di malattie. La perdita di risorse, con la diminuzione degli ungulati selvatici e l’atteggiamento ostile dell’uomo, fa però sì che nell’800 la specie avvii una fase di declino, fino alla totale scomparsa dalle Alpi ai primi del 900.

Poi, dopo decenni, l’avvio di tentativi di rimescolamento genetico, trasferendo i vari riproduttori da uno zoo all’altro, fra i 39 coinvolti, fino a raggiungere un numero di pulcini ritenuto sufficiente al rilascio in natura con il metodo dell’hacking, ossia la liberazione in siti idonei di giovani non ancora in grado di volare, ma già abbastanza cresciuti per essere pronti al primo volo. In Italia, il primo rilascio avviene nel 1994 nel Parco delle Alpi Marittime, a Valdieri: ad anni alterni, a partire dal 93, ne avviene uno nel Parco del Mercantour e uno qui. Luca Giraudo, del servizio conservazione e gestione naturalistica del Parco, spiega: “Nel 94 è nata la Rete Osservatori Alpi Occidentali, di cui il Parco è ente capofila, perché è uno dei due centri di raccolta dati, assieme alla Valle d’Aosta per il Gran Paradiso. I dati vengono poi inviati a una banca dati internazionale”. La rete comprende oggi 17 enti, tra parchi, comunità montane, gruppi e associazioni di tutta Italia, oltre alla Provincia di Verbania e alla Regione autonoma della Valle d’Aosta: di questi, 13 hanno sede in Piemonte.
Oltre ai rilasci, il progetto opera anche un’azione di monitoraggio, che si basa sulle segnalazioni, che hanno permesso di avere un quadro più preciso della situazione. Inoltre, i gipeti reintrodotti sono “contrassegnati” con marcature alari e talvolta caudali realizzate con la tintura di alcune penne, che li rende temporaneamente visibili
in volo; anche la dotazione di anelli colorati, che presenta il vantaggio della lunga durata, è utile all’identificazione individuale, anche con i gipeti a distanze non elevate. Nel 2010, invece, otto giovani sono stati marcati con radio satellitari, in tre parchi in Francia, Svizzera e Austria.
Tornando nei nostri confini, il 23 maggio scorso ha avuto luogo il 18esimo rilascio nell’area Marittime-Mercantour, il 9° in territorio italiano. Come ogni gipeto rilasciato, anche le due femmine protagoniste questa volta hanno un
nome, che spesso ha un significato a livello locale: un monte, un paese, una persona scomparsa, un amico, uno sponsor. Elena, in onore di una ragazza scomparsa di recente, e Spelogue, antico nome di Monaco, scelto come ringraziamento alla Fondazione Alberto II di Monaco che ha finanziato le operazioni di rilascio, sono stati costantemente monitorati fino al mese di agosto e hanno ricevuto un grande aiuto da Paolo Peila, adulto territoriale, rilasciato nel 2002, che ritorna più volte sul sito del proprio rilascio. Un comportamento di adozione in natura osservato per la prima volta in natura.
Le ragioni, come spiega una tesi di laurea di Laura Molinaro, corso di Biologia dell’Università di Parma, possono essere diverse, anche perché, tendenzialmente una coppia, verso i giovani, è da indifferente e aggressiva. “Al rilascio, che è pubblico, hanno partecipato circa 300 persone, spiega ancora Luca Giraudo, perché la specie ormai è conosciuta: nel corso di questi eventi, spesso si organizzano pranzi e cene. Dopo il rilascio dei primi gipeti, era importante avere un riscontro sul territorio e sono state organizzate anche campagne nelle scuole”.
Non va male nemmeno in altri siti piemontesi. Ad esempio, nella zona alta Val Chisone-Val Troncea-Val Ripa (alta Val Susa), per il secondo anno consecutivo si è confermata al presenza stabile di un gipeto adulto, mai visto volare con altri, battezzato “Neve” perché di colore bianco. Ancora, le segnalazioni sono aumentate nelle Valli di Lanzo e in Val Pellice.
Un grande lavoro, che ha dato i suoi frutti: “In assenza di mortalità aggiuntiva, prosegue Giraudo, al momento la popolazione si autosostiene con la nascita in natura: ogni anno, nascono 8 o 10 gipeti”. Il problema, semmai, può essere rappresentato dall’uomo: “I gipeti si nutrono di carogne, quindi potrebbero avvelenarsi con il piombo delle munizioni: i bocconi avvelenati potrebbero creare problemi se aumentassero. Un altro problema potrebbe essere rappresentato dall’aumento di impianti eolici industriali nelle Alpi, nei prossimi anni”.
Ora come ora, però, il progetto dimostra di funzionare, anche perché “è impostato bene: gli animali non hanno bisogno di risorse aggiuntive e le Alpi possono supportare la popolazione di gipeti senza interventi ulteriori”.
Uno dei prossimi obiettivi è la formalizzazione delle Rete Osservatori Alpi Occidentali a livello regionale. La Regione Piemonte ha infatti una piattaforma ufficiale d’informazione per gli ornitologi e gli osservatori di uccelli (Aves.Piemonte), che raccoglie le informazioni ornitologiche concernenti la regione: vi si può accedere registrandosi gratuitamente. Però, non ha mai stabilito una formalizzazione della Rete, che è stata finora un’iniziativa di enti e parchi: “Si tratta di una questione anche politica, perché si tratta di cambiare le abitudini dei cacciatori. Al Parco dello Stelvio, ad esempio, stanno iniziando a evitare l’uso di piombo nelle munizioni”.
Ancora una volta, l’uomo ha il potere di aiutare o mettere in difficoltà l’elegante gipeto. Per ora, l’avvoltoio “barbuto” può ancora librarsi con leggerezza e lunghe virate, permettendo a sempre più fortunati di dire, con la naso all’insù: “Ho visto un gipeto!”.
Info: www.parcoalpimarittime.it
Immagini fornite dall’Ente Parco

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