I fratelli Margaro e la fotografia astronomica
di Andrea Di Salvo
Vivere in una città come Torino garantisce una certa comodità, ma gli svantaggi non mancano. Uno tra questi è
All’inizio erano reticenti a rilasciare un’intervista davanti a una telecamera perché preferiscono il contatto con le persone, specie con i bambini delle scuole dove vanno spesso a tenere delle lezioni di astronomia. “Tu non hai idea di quanto siano intelligenti i bambini, afferma Mauro nella sala riunioni dell’Osservatorio Astronomico di Torino, dove siamo stati ospitati per un primo incontro, sono persino più svegli di certi ragazzi delle scuole superiori”.
I fratelli abitano vicino a Scarmagno. Nel cortile di casa c’è uno dei loro siti osservativi: una casetta in legno con accanto una piccola roulotte. Ci spiegano che – quando non vanno in Valle d’Aosta, dove hanno una postazione fissa all’interno di un campeggio di appassionati come loro, a 1500 metri d’altezza – fanno le loro osservazioni da quella roulotte con il telescopio remotizzato e cioè comandabile a distanza, lasciando così la strumentazione al freddo della notte. Ci dicono subito che questo comporta due grandi vantaggi: loro stanno al caldo e la strumentazione, lavorando a basse temperature, non soffre di alcuni disturbi che ci spiegheranno dopo.
Per entrare in casa passiamo dal garage, dove ci mostrano vari oculari e lenti raccolti in una sorta di laboratorio-magazzino. Carlo tira fuori da un cassetto un foglio di carta. È uno dei progetti fatti da lui: un anello di giunzione tra l’oculare e il corpo della camera CCD, che è quella che usano per fare le fotografie. Ne ha fatti molti altri, dice, perché se vuoi realizzare delle buone fotografie non puoi fare altrimenti: devi costruirti ciò di cui hai bisogno. Penso che li si possa definire artigiani del cielo.
In casa, sistemata la videocamera, siamo pronti a girare. Sul tavolo c’è un foglio con la traccia per l’intervista. Mauro cerca di seguirla, l’occhio cade spesso sulla pagina. “È una passione che ci arriva da un po’ di anni fa, quando avevamo un negozio di fotografia ad Ivrea. Veniva sempre a trovarci un nostro amico che era già appassionato di cielo e di stelle molto prima di noi e ci diceva sempre: ma voi con la passione che avete, perché
Hanno così pensato di comprare un vero telescopi. Ma se non sai dove guardare, non riesci a vedere. Per questo hanno iniziato a fare foto al cielo. Chiariscono subito che una fotografia astronomica non è come quella tradizionale che siamo abituati a fare. “Non basta un clic!”, precisa Mauro. Ci vogliono ore e ore di posa, inseguendo l’oggetto con l’otturatore aperto. Carlo racconta: “Abbiamo iniziato con la pellicola e c’erano dei problemi. Quello più grande era chiaramente trovare gli oggetti. Si andava all’addiaccio in alta montagna, -20° C tutta la notte, si dava via alla posa – anche 7 ore di posa! – smontavamo tutto, si tornava a casa, si sviluppava il rullino e l’oggetto non c’era. Perché è difficile a volte individuare il punto esatto: gli oggetti sono talmente piccoli che bastava essere mezzo grado più spostati che l’oggetto non c’era”.
Un altro punto importante è che “le camere CCD per astronomia sono in bianco e nero”. Quindi bisogna fare una posa per avere la luminanza, cioè il dettaglio, la forma dell’oggetto perfetto (e sono 4-5 ore) e poi altrettante pose con i filtri rosso, verde e blu (a voi i conti). In quadricromia, insomma.
“La difficoltà più grande però sta tutta nell’inseguimento dell’oggetto”. In un’ora infatti percorriamo ben 15 gradi, per via della rotazione terrestre, perciò bisogna seguire bene ciò che vogliamo fotografare altrimenti vedremo l’oggetto mosso e le stelle formeranno delle lunghe linee di luce. I Margaro usano una guida fuori asse, lavorando con due telescopi: uno guida l’altro. Mentre il primo punta l’oggetto l’altro, che è ancorato sopra in parallelo, tiene come riferimento una stella e attraverso una complicata calibratura di cui tralasciano i dettagli, riesce a vedere lo spostamento, comandando la montatura che così corregge l’inseguimento.
Questo articolo ha ricevuto una menzione alla V edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura e Ambiente