L’aglio di Caraglio
di Oscar Borgogno
“A Caraj l’an piantà j aj, j an nen bagnaj, j aj sun seccaj”(“A Caraglio han piantato l’aglio, non l’hanno bagnato, l’aglio è seccato”): recita cos
Fino a non più di dieci anni fa questa pareva essere nient’altro che una bonaria filastrocca senza pretese, fondata sulla rima tra il nome della popolare erba aromatica e il piccolo paese di Caraglio, all’imbocco della valle Grana. Un’assonanza, va detto, puramente casuale: la denominazione della cittadina risale infatti al periodo Romano (dal latino Quadralium o Quadratulum). Se fosse davvero tutto qui non si riuscirebbe a spiegare il discreto successo che sta riscuotendo negli ultimi anni una particolare tipologia di aglio bianco, quello, per l’appunto, proveniente dal Comune di Caraglio: “l’Aj ‘d Caraj”. Il percorso che ha permesso il recupero e la valorizzazione di questa particolare coltura è merito del caragliese Lucio Alciati, leva 1962, di professione ispettore veterinario dell’Asl: “Un giorno, conversando con Emanuele Borgogno, un agricoltore locale – racconta Alciati, riferendosi alla primavera del 2003 – venni a sapere delle particolari doti di delicatezza, aromaticità e dolcezza dell’aglio di Caraglio”.
Da quel primo, casuale accenno durante una chiacchierata, comincia la storia di quello che oggi può essere considerato uno dei fiori all’occhiello della produzione agricola caragliese. “Questa particolarità, così apprezzata oggi dalla nostra cucina che ricerca sapori delicati – commenta l’ispettore – fino ad una ventina di anni fa, quando si prediligevano ancora i sapori intensi e speziati, era considerata un autentico difetto”, tanto da farla finire nel dimenticatoio. Dopo pochi mesi, grazie alla collaborazione dell’associazione di promozione del territorio “Insieme per Caraglio”, partirono i primi studi per accertare se sussistesse davvero una concreta differenza tra il cosiddetto “Aj ‘d Caraj” e il comune aglio bianco che possiamo trovare in ogni super-mercato d’Italia“.
I risultati delle analisi – prosegue Alciati – permisero di chiarire che è il terreno da cui l’aglio trae il proprio nutrimento ad essere la discriminante del suo sapore”. “In particolare l’associazione di suoli calcarei, dolomitici e argillosi – precisa il caragliese – con presenza di micascisti cristallini e quarziti tipici della zona alpina sud occidentale. L’ambiente climatico è poi condizionato favorevolmente dalle vicine Alpi Marittime: inverni freddi e nevosi, primavera fresca e relativamente piovosa, estate fresca, ventilata e con un autunno temperato.
Nel frattempo Lucio Alciati e gli altri che hanno deciso di condividere la sua passione, si sono concentrati sulla promozione di questo particolare aglio partecipando a fiere tematiche e incontri con produttori di altre realtà “aglicole” (il Vessalico d’Imperia, il Govone, il siciliano Nubia, il Piacentino, etc). “Soprattutto nei primi anni – ammette l’ispiratore di quest’impegno, ora giustamente riconosciuto – le difficoltà da affrontare, dovute soprattutto alle resistenze di una parte della cittadinanza piuttosto scettica e mal informata, sono state molte e ostinate”. Alciati però non ha desistito e con caparbietà ha continuato per il proprio cammino di promozione e valorizzazione dell’Aj ‘d Caraj, fino ad arrivare alla fondazione, nel luglio 2008, del “Consorzio per la valorizzazione, promozione e tutela dell’aj ‘d Caraj”. “All’inizio eravamo soltanto sette soci – racconta Alciati, che tuttora ne è presidente – di cui cinque produttori effettivi, i quali hanno avuto il merito d’impegnarsi, collaborare fianco a fianco e rischiare in un progetto ambizioso che richiedeva una certa dose di lungimiranza”. Il Consorzio ha subito fissato un regolamento, modellato sui principi dell’agricoltura biologica, per garantire la qualità e la genuinità dell’aglio prodotto dai propri soci. Vi è stabilito innanzitutto che l’area di produzione dell’Aj ‘d Caraj comprende il territorio del comune di Caraglio e parte di quelli confinanti di Bernezzo, Cervasca, Cuneo, Valgrana, Montemale, Dronero e Busca “per non oltre 200 metri dal confine caragliese”.
La disciplinare regolamenta anche, e con paletti piuttosto rigidi, le modalità di selezione dei semi e la gestione delle colture: “per evitare problemi di produzione e di qualità legati ad inquinamento parassitario e virotico del terreno, deve avere obbligatoriamente una rotazione quadriennale” (avvicendandosi con coltivazioni graminacee, brassicacee, solanacee, leguminose). “Non è ammessa – si legge all’articolo sette – la concimazione chimica o con liquami”, ma solo con letame organico maturo e anche con cenere di legna in piccole quantità. Per quanto possibile e disponibile, come spiegano alcuni produttori, ci si rifornisce di letame bovino presso gli allevatori e produttori del rinomato formaggio Castelmagno (impiegando così un concime “di eccellenza” e aiutando le aziende montane nello smaltimento).
L‘aglio, poi, una volta estirpato e opportunamente essiccato al sole, “viene selezionato in base al calibro e poi confezionato attraverso la realizzazione manuale delle tipiche trecce o lavorato senza foglie e radici”. Il regolamento stabilisce anche i prezzi a cui deve essere commercializzato l’Aj ‘d Caraj: sette euro al kilo per l’ingrosso (rivenditori, trasformatori e ristorazione) e dieci per la vendita al pubblico.
A partire da quel lontano 2003 se n’è fatta di strada, tanto che la festa annuale dedicata alla pianta aromatica (Aj a Caraj – l’unica festa che sa di aglio), giunta lo scorso novembre alla sua nona edizione, ha riscosso uno straordinario successo di pubblico, attratto nella centrale via Roma dagli oltre 60 espositori presenti. La domanda di questa particolare pianta bulbosa è andata al di là di ogni aspettativa, tanto che nello scorso dicembre, il Consorzio ha diramato un comunicato in cui si dichiarava, a tutela dei consumatori e degli stessi soci “che il raccolto dell’Aj ‘d Caraj, prodotto nell’annata agraria 2011, è totalmente esaurito”.
Dunque fino al 24 giugno 2012 (giorno di san Giovanni Battista, da tradizione dedicato all’estirpazione della pianta aromatica) “non sarà più possibile acquistare, presso negozi o mercati, aglio di Caraglio prodotto secondo la rigida disciplina adottata dal Consorzio stesso e segnalata con apposito logo registrato”. Tutta questa premura è giustificata infatti dai numerosi casi di uso illegittimo del marchio “Aj ‘d Caraj” che si sono ripetuti negli ultimi anni: “C’è chi produce aglio effettivamente caragliese – commenta Alciati – ai prezzi stabiliti dal Consorzio, ma senza far parte dello stesso o chi dichiara di vendere Aj ‘d Caraj, ma non presenta le opportune etichette che ne accertino la provenienza”. Tuttavia, per poter ottenere anche una protezione giuridica del marchio “Aj ‘d Caraj” occorre avere le prove che i soci rispettino effettivamente la disciplina stabilita dal regolamento. “Abbiamo quindi affidato ad un agronomo – continua Alciati – il compito di eseguire controlli a sorpresa presso i produttori per verificare il rispetto della disciplina del Consorzio”. Nel caso di irregolarità, l’assemblea dei soci potrà comminare sanzioni (fino all’espulsione) ai produttori inadempienti o perseguire chi si fregia illegittimamente del marchio “Aj ‘d Caraj”.
E ora, non ci resta che aspettare il prossimo raccolto.