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Ameno e la sfida dell’arte – di Floriana Rullo

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Un paese ritrova la propria identità

di Floriana Rullo

C’è un paese, là dove il Piemonte si stringe e si affusola verso nord, incuneandosi tra Valle d’Aosta e Lombardia, che riposa sonnecchiante a metà altezza. La montagna inizia poco lontano, a una manciata di minuti d’auto, mentre a sud, lungo la statale 229 imboccata all’estremità del lago d’Orta, la pianura si srotola in un concerto di risaie fino a Novara. Ameno, che non ha la ‘r’ della vicina Armeno e non sempre la grazia a cui il suo nome allude, sbuca tra gli alberi con le sue ante serrate: un tempo abitato da oltre duemila anime, ora più che dimezzato rispetto a quella cifra, il paese procede al ticchettio dei suoi tanti bastoni. E saluta il turista che arriva in piazza Marconi: spesso qualcuno dalla vicina Burbané (Borgomanero), altre volte una comitiva da Milàn o più lontano ancora, che ha letto della Fondazione Calderara o della rassegna d’arte “Studi aperti”.
ameno-1 Ad Ameno l’arte è arrivata poco alla volta. Prima – negli anni Trenta e di nuovo dagli anni Cinquanta – l’opera astratta del pittore Antonio Calderara; poi il lavoro solitario di forestieri alla ricerca di un’isola sulla terraferma; quindi l’associazione culturale “Asilo Bianco”, che la cultura contemporanea la porta dritta nel cuore del paese: una statua in materiale di scarto accanto a opere in vecchio legno, un quadro dai colori forti su una parete antica dai toni pastello, un’istallazione che si lascia toccare e attraversare. E Ameno, in tutto ciò? Ameno guarda avanti, sospettosa com’è nel carattere dei suoi abitanti, ma non meno compiaciuta per il flusso di visitatori che talvolta arriva e dà colore alle strade. E magari, se è rimasto un po’ di tempo, si ferma a sorseggiare un bicchiere all’Hostaria dei Santi Numi di via Cotta.
C’è chi paragona Ameno a un libro aperto. Sbirciando nei suoi cortili si intravedono giardini ottocenteschi, frammenti di un passato intatto che si affaccia qua e là indisturbato. Procedendo da piazza Marconi lungo via Zanoni, il muro scolorito restituisce al viaggiatore la scritta “La giustizia senza forza è come la parola senza significato”: il fascismo è esistito anche ad Ameno. Poco distante, la chiesa barocca di san Giovanni Battista conserva una grossa tela raffigurante il Concilio di Trento è una delle quattro versioni dell’opera (due sono a Trento e una Mantova), ma come è arrivata ad Ameno, molti lo ignorano: “È lì”, rispondono, e questo dovrebbe bastare. Però accade anche che dietro uno di quei portoni spessi che ad Ameno sono comuni si apra inaspettatamente la pittura, il colore, la luce. Si apra l’arte di Calderara o la spinta contemporanea, in altre parole.
Scrive in una nota autobiografica Calderara, nato ad Abbiategrasso (“preferisco in Europa”, avrebbe aggiunto lui) nel 1903: “Bisogna dire che Vacciago, frazione di Ameno, è un paese di circa duecento anime, ricco di case padronali datate tra il Sei e il Settecento e deliziato anche da alcune case contadine del Seicento, veramente nobili nella loro architettura povera, spontanea, semplice, armonica”. E sulla casa, poi diventata Fondazione: “Questa casa, tutta aperta sul sottostante lago, un lago verdissimo d’estate, delimitato dalle Prealpi, l’isola di San Giulio al centro e sul cielo, saldamente disegnato e luminoso nei suoi bianchi rosati e nei suoi grigi argentei, il massiccio del Monte Rosa”. Vacciago, piccola frazione della già piccola Ameno, accanto all’ancor più piccola Corconio (quella Corconio che fu nel cuore di Mario Soldati, ma questa è un’altra storia), sarebbe stata eletta da Calderara a dimora-rifugio, poi allestita in forma di museo così da rendere visibili le oltre trecento opere raccolte e conservate. Ancora oggi la Fondazione costituitasi nel 1979, un anno dopo la morte del pittore, è una delle maggiori attrazioni artistiche dell’area. 
L’esperienza astrattista di Calderara ha segnato indissolubilmente Ameno e dintorni. Non solo il pittore ha lasciato agli abitanti un patrimonio di inestimabile valore, ma ne ha votato l’apertura stessa: nella Casa degli Archi Ameno ci è entrata, ha curiosato tra le sale, si è portata via tanto o poco di quel messaggio fatto di luce, di “quel dono di un uomo agli uomini” a cui Calderara ha dedicato la vita. Ameno non ha sempre capito, a dire il vero: davanti alle linee rette, in quelle tele oltre il figurativo, lo sguardo del visitatore si è piegato spesso in una smorfia. Ma col tempo Ameno, che con il pur silenzioso Calderara era entrata negli orecchi di galleristi e intenditori, era tornata a essere un nome in piccolo sulla cartina: troppo forte l’attrazione per le città negli anni Ottanta e Novanta, troppo silenziosa piazza Marconi e le sue vie accanto. I giovani amenesi, sempre di più, sognavano un futuro altrove.
Un tentativo di invertire rotta arriva verso la metà degli anni zero con la sfida dell’associazione Asilo Bianco: an open space for contemporary culture che riporta Ameno nel mezzo del dibattito artistico. Lo spazio museale di palazzo Tornielli, nel cuore del paese, è spolverato dei suoi anni di sonno; le strade accolgono la creatività; la gente, un po’ sospettosa inizialmente, comincia a rispondere. Di coò la rassegna estiva “Studi aperti” è l’esempio più riuscito: per un fine settimana all’anno i cancelli del paese si schiudono cigolando e l’arte fluisce davanti a un pubblico curioso, non di rado sorpreso dalle espressioni multiformi che Ameno regala; gli artisti aprono gli atélier e li condividono; Ameno, anche solo per poche ore, rivela la sua unicità.  

Questo articolo ha ricevuto una menzione speciale alla V edizione del Premio Piemonte Mese, sezione Cultura e Ambiente

 

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