Chi sogna il Medioevo delle favole lo trova negli affreschi della Sala Baronale. E non mancano i fantasmi d’ordinanza…
Testo e foto di Lucilla Cremoni
Dall’esterno può sembrare uno dei tanti castelli su uno dei tanti bricchi piemontesi, e non si fa particolarmente
Ma per il castello della Manta vale più che mai il consiglio a non farsi ingannare dalle apparenze, perché se si vogliono sognare le atmosfere raffinate di una corte signorile di inizio Quattrocento, le suggestioni letterarie dei poemi cavallereschi diventate modelli di comportamento e di stile di vita, allora bisogna entrare e lasciarsi trasportare dalle lusinghe degli affreschi nella Sala baronale. Il castello di Manta infatti custodisce uno dei più insigni e affascinanti documenti pittorici del periodo tardo-gotico piemontese: non a caso D’Andrade ne volle fare una replica (in scala assai ridotta) nella Rocca di quel Bignami del Medio Evo piemontese che è il Borgo Medievale del Valentino.
Il profilo del castello è ancora dominato da una snella torre rotonda e fra le parti che compongono la struttura si possono facilmente riconoscere il mastio più antico ed elementi superstiti della costruzione militare. Ma è ben poco rispetto alle dimensioni e alle caratteristiche del castello più antico, costruito quasi sicuramente fra XII e XIII secolo. Era di impianto quadrilatero, con torri quadrate agli angoli, e occupava probabilmente tutta la spianata, oggi ridotta a giardino, sul lato sud-ovest della attuale costruzione.
Valerano fu capostipite di un ramo cadetto della dinastia, i marchesi di Saluzzo della Manta, e in data imprecisata, ma sicuramente fra il 1416 e il 1426, commissionò la decorazione della nuova “Sala baronale”, un grande locale rettangolare che si affaccia sul lato a mezzogiorno del castello. Nella committenza del ciclo di affreschi, Valerano intendeva rendere omaggio alla memoria del padre, Tommaso III, autore del poema cavalleresco Le chevalier errant, composto fra il 1395 e il 1404, scritto in francese antico, parte in prosa e parte in versi, per raccontare in chiave allegorica il viaggio di un uomo dalle gioie mondane ed effimere alla vera grandezza d’animo. In questo viaggio, il cavaliere errante incontra eroi ed eroine della tradizione greca e romana, biblica, e pure i cavalieri della Tavola rotonda, e tutti sono prodighi di consigli per portarlo al ravvedimento.
Ma sul lato sinistro del camino e lungo la parete contigua la musica cambia: tanto è solenne e cristallino il ciclo degli Eroi ed Eroine quanto è sbracatamente allegro, vivacissimo, divertente, di fresca vena popolare e maliziosamente ammiccante il secondo ciclo, dedicato al mito tardomedioevale della Fontana della giovinezza. Va letto da sinistra a destra: per strade diverse, in carri trainati da cavalli (notare l’atteggiamento dell’uomo che sprona il cavallo), su carrettini o carriole (impareggiabile la figura del vecchio che minaccia con un bastone la donna che si attarda a bere da una borraccia), oppure a piedi. Una folla di re e regine, popolani e donne, e tutti vecchi e cascanti, oppure deformi e sciancati, si affretta e affanna per raggiungere il centro della parete, dove potranno tuffarsi nella Fontana della giovinezza e riacquistare la bellezza, la salute, il desiderio della gioventù; nella vasca i rinvigoriti mortali non perdono tempo e si dedicano allegramente ai piaceri della carne. La storia prosegue sulla destra con i miracolati che, rivestiti, praticano gli altri piaceri della giovinezza: la caccia, le sfilate a cavallo, i tornei, e ancora la seduzione.
Se non ci sono dubbi sulla committenza di questi dipiniti, da assegnare sicuramente a Valerano, resta un mistero il nome dell’autore. Un tempo, gli affreschi erano interamente attribuiti a Jacopo Jacquerio (1375 circa- 1453), maestro della pittora targotica in Piemonte, molto attivo in chiese e castelli della regione, e a maestranze della sua bottega. Oggi gli storici dell’arte tendono ad escludere un suo intervento diretto nel castello di Manta e sono più propensi ad assegnare la paternità degli affreschi a uno o, più probabilmente, due altri artisti, ignoti ma in qualche modo collegati alla scuola di Jacquerio. Ed è sconosciuto anche il nome di un altro artista che, verso il 1560, affrescò la Sala delle grottesche nell’appartamento di rappresentanza. È una bella testimonianza della cultura manierista, soprattutto nella decorazione della grande volta a padiglione.
Un’ultima e utile informazione. Se, visitando il castello, vi par di sentire un delicato ma percettibile profumo di gelsomino, non state sognando: è lo spettro della Dama bianca che torna a frequentare le sue stanze al terzo piano. Ma fate finta di niente, dicono che sia un po’ dispettosa. Nella Sala baronale invece potreste incontrare il fantasma di un giovane, elegante e cortesissimo saraceno che danza con le Eroine degli affreschi, mentre i singhiozzi disperati che escono dalle cantine provengono dallo spettro di una bellissima contadina che piange la morte del suo promesso sposo…
Il castello della Manta di raggiunge facilmente con l’autostrada Torino-Savona, uscita Marene. Proseguire per Savigliano e Saluzzo e seguire le indicazioni
Orario
Ore 10-18 da marzo a settembre, ore 10-17 in ottobre, novembre e seconda metà di febbraio. Ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura
Il castello è chiuso tutti i lunedì non festivi e chiude per ferie dalla fine di novembre a metà febbraio. È aperto 25 aprile, 1° maggio e Ferragosto
Info
Castello della Manta – Via Al Castello, 14, Manta (CN)
Tel: 0175 87822, www.fondoambiente.it