Enter your email Address

Il Medioevo delle favole: la Manta di Saluzzo – di Lucilla Cremoni

0

Chi sogna il Medioevo delle favole lo trova negli affreschi della Sala Baronale. E non mancano i fantasmi d’ordinanza…

Testo e foto di Lucilla Cremoni


Dall’esterno può sembrare uno dei tanti castelli su uno dei tanti bricchi piemontesi, e non si fa particolarmente cover-ottobre12notare per dimensioni o bellezza. Una costruzione abbastanza anonima sulla prima dorsale di colline che si affacciano sulla pianura saluzzese, una delle strutture fortificate che assieme a Revello, Verzuolo, Costigliole, Busca ed altri insediamenti minori tra pianura e montagna dovevano difendere il marchesato di Saluzzo e poi, esaurita la loro funzione, andarono in rovina o furono trasformate in dimore gentilizie. 

Ma per il castello della Manta vale più che mai il consiglio a non farsi ingannare dalle apparenze, perché se si vogliono sognare le atmosfere raffinate di una corte signorile di 
inizio Quattrocento, le suggestioni letterarie dei poemi cavallereschi diventate modelli di comportamento e di stile di vita, allora bisogna entrare e lasciarsi trasportare dalle lusinghe degli affreschi nella Sala baronale. Il castello di Manta infatti custodisce uno dei più insigni e affascinanti documenti pittorici del periodo tardo-gotico piemontese: non a caso D’Andrade ne volle fare una replica (in scala assai ridotta) nella Rocca di quel Bignami del Medio Evo piemontese che è il Borgo Medievale del Valentino.
Il profilo del castello è ancora dominato da una snella torre rotonda e fra le parti che compongono la struttura si possono facilmente riconoscere il mastio più antico ed elementi superstiti della costruzione militare. Ma è ben poco rispetto alle dimensioni e alle caratteristiche del castello più antico, costruito quasi sicuramente fra XII e XIII secolo. Era di impianto quadrilatero, con torri quadrate agli angoli, e occupava probabilmente tutta la spianata, oggi ridotta a giardino, sul lato sud-ovest della attuale costruzione. 
Distante pochi chilometri da Saluzzo, la proprietà di Manta era passata ai marchesi verso la metà del Trecento e nel 1370 Tommaso III di Saluzzo, ne aveva ulteriormente ingrandito e potenziato il castello. Era colto, raffinato e grande mecenate, ma anche politico e uomo d’arme, come lo erano stati altri esponenti della casata prima di lui e come lo furono diversi tra i suoi discendenti, costretti a barcamenarsi tra potenti vicini (la Francia, da un lato, e le mire espansionistiche dei Savoia dall’altro) e lasciò il castello in eredità a Valerano, suo figlio naturale. E proprio Valerano detto “il Burdo” (da Burdello, oggi Brondello, un castello vicino di cui era già signore) dal 1416 fece di Manta la sua residenza prediletta e la trasformò da edificio militare in splendida dimora signorile, una delle più alte espressioni della cultura gotico-cortese di quegli anni. 
Valerano fu capostipite di un ramo cadetto della dinastia, i marchesi di Saluzzo della Manta, e in data imprecisata, ma sicuramente fra il 1416 e il 1426, commissionò la decorazione della nuova “Sala baronale”, un grande locale rettangolare che si affaccia sul lato a mezzogiorno del castello. Nella committenza del ciclo di affreschi, Valerano intendeva rendere omaggio alla memoria del padre, Tommaso III, autore del poema cavalleresco Le chevalier errant, composto fra il 1395 e il 1404, scritto in francese antico, parte in prosa e parte in versi, per raccontare in chiave allegorica il viaggio di un uomo dalle gioie mondane ed effimere alla vera grandezza d’animo. In questo viaggio, il cavaliere errante incontra eroi ed eroine della tradizione greca e romana, biblica, e pure i cavalieri della Tavola rotonda, e tutti sono prodighi di consigli per portarlo al ravvedimento. 
Proprio ad alcuni dei personaggi del poema paterno Valerano volle dedicare il ciclo di affreschi che occupa una parte della parete di testa (a destra del poderoso camino in pietra sul quale spiccano gli stemmi e il motto della casata Leit leit, “adagio adagio”) e tutta la lunga parete contigua. In tutto, nove figure di “Eroi” e altrettante di “Eroine”, in piedi, e gli abiti sontuosi che indossano sono insuperabile testimonianza della moda d’inizio Quattrocento tra la nobiltà piemontese). Le figure sono intercalate da alberi, ciascuno dei quali porta appeso uno stemma nobiliare e contribuisce a formare una galleria di foglie, fiori e frutta. Sotto ciascuna figura sono riportati gruppi di versi del poema di Tommaso III. Un omaggio al padre, questo ciclo di affreschi, ma anche un messaggio sociale e politico, autocelebrativo per Valerano, rivolto a chi entrava nel salone.
Ma sul lato sinistro del camino e lungo la parete contigua la musica cambia: tanto è solenne e cristallino il ciclo degli Eroi ed Eroine quanto è sbracatamente allegro, vivacissimo, divertente, di fresca vena popolare e maliziosamente ammiccante il secondo ciclo, dedicato al mito tardomedioevale della Fontana della giovinezza. Va letto da sinistra a destra: per strade diverse, in carri trainati da cavalli (notare l’atteggiamento dell’uomo che sprona il cavallo), su carrettini o carriole (impareggiabile la figura del vecchio che minaccia con un bastone la donna che si attarda a bere da una borraccia), oppure a piedi. Una folla di re e regine, popolani e donne, e tutti vecchi e cascanti, oppure deformi e sciancati, si affretta e affanna per raggiungere il centro della parete, dove potranno tuffarsi nella Fontana della giovinezza e riacquistare la bellezza, la salute, il desiderio della gioventù; nella vasca i rinvigoriti mortali non perdono tempo e si dedicano allegramente ai piaceri della carne. La storia prosegue sulla destra con i miracolati che, rivestiti, praticano gli altri piaceri della giovinezza: la caccia, le sfilate a cavallo, i tornei, e ancora la seduzione.
Ma non è trascurato neppure l’aspetto devozionale. Sulla parete corta al capo opposto del salone, in una nicchia centinata, c’è un ultim affresco: è una struggente, drammatica Crocifissione, che segue il canone classico col Cristo in croce al centro, la Vergine a sinistra e San Giovanni a destra.
Se non ci sono dubbi sulla committenza di questi dipiniti, da assegnare sicuramente a Valerano, resta un mistero il nome dell’autore. Un tempo, gli affreschi erano interamente attribuiti a Jacopo Jacquerio (1375 circa- 1453), maestro della pittora targotica in Piemonte, molto attivo in chiese e castelli della regione, e a maestranze della sua bottega. Oggi gli storici dell’arte tendono ad escludere un suo intervento diretto nel castello di Manta e sono più propensi ad assegnare la paternità degli affreschi a uno o, più probabilmente, due altri artisti, ignoti ma in qualche modo collegati alla scuola di Jacquerio. Ed è sconosciuto anche il nome di un altro artista che, verso il 1560, affrescò la Sala delle grottesche nell’appartamento di rappresentanza. È una bella testimonianza della cultura manierista, soprattutto nella decorazione della grande volta a padiglione.
Rimasto per quattro secoli di proprietà dei discendenti di Valerano, il castello di Manta ebbe un lungo periodo di abbandono sino al 1860 quando venne acquistato dai conti Radicati di Marmorito, astigiani. Il complesso era in grave stato di degrado e larga parte di fabbricati, minaccianti rovina, venne abbattuta. L’ultima discendente dei Radicati, Elisabetta Provana De Regge, nel 1984 ha donato il castello e il suo splendido parco, che si estende soprattutto sul lato occidentale della collina, al Fondo per l’Ambiente Italiano, che ha promosso il restauro e l’apertura al pubblico del complesso. 
Un’ultima e utile informazione. Se, visitando il castello, vi par di sentire un delicato ma percettibile profumo di gelsomino, non state sognando: è lo spettro della Dama bianca che torna a frequentare le sue stanze al terzo piano. Ma fate finta di niente, dicono che sia un po’ dispettosa. Nella Sala baronale invece potreste incontrare il fantasma di un giovane, elegante e cortesissimo saraceno che danza con le Eroine degli affreschi, mentre i singhiozzi disperati che escono dalle cantine provengono dallo spettro di una bellissima contadina che piange la morte del suo promesso sposo…

Come arrivare al Castello
Il castello della Manta di raggiunge facilmente con l’autostrada Torino-Savona, uscita Marene. Proseguire per Savigliano e Saluzzo e seguire le indicazioni
Orario
Ore 10-18 da marzo a settembre, ore 10-17 in ottobre, novembre e seconda metà di febbraio. Ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura
Il castello è chiuso tutti i lunedì non festivi e chiude per ferie dalla fine di novembre a metà febbraio. È aperto 25 aprile, 1° maggio e Ferragosto
Info
Castello della Manta – Via Al Castello, 14, Manta (CN)
Tel: 0175 87822, 
www.fondoambiente.it

Comments are closed.

Exit mobile version