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Vecchie glorie e memorie civiche – di Gabriella Bernardi

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Passeggiando fra le statue del Valentino

di Gabriella Bernardi

Forse ai torinesi pare scontato passeggiare nelle belle giornate nel parco più conosciuto della città, il Valentino. Dal ponte Umberto I costeggiando le rive del Po fino al ponte Balbis si incontrano varietà paesaggistiche differenti, dal Giardino Roccioso, sempre curatissimo in ogni stagione al poco distante roseto. Per non parlare dell’Orto Botanico riaperto al pubblico nel 1856 e considerato tra i più ricchi d’Italia per i suoi erbari raccolti in Italia e in Paesi esotici, fino al Borgo Medioevale, passando dal Castello del Valentino.
Ma passeggiando per i bei viali di tigli, quelli costruiti sopra gli antichi bastioni che Napoleone voleva eliminare, si possono vedere statue, alle volte anche di notevoli dimensioni, disseminate nei cinquecentomila metri quadri del parco e in buona parte di carattere commemorativo e celebrativo di personaggi insigni.
La prima che s’incontra, in realtà, è poco più che un busto di marmo bianco che raffigura Guglielmo Marconi. Guardando il Castello del Valentino, la si scorge sulla sinistra, a ridosso di un dancing. Non molti anni fa è stata ben bene ripulita, e senza la patina di smog si vedono meglio le sembianze dello scienziato italiano al quale è intitolato il corso che collega il castello del Valentino al convento delle suore di San Vincenzo de’ Paoli in Largo Marconi.
Avendo di fronte il Castello del Valentino e spostandosi verso destra, quasi dietro alla pensilina del tram fa capolino una grande statua dedicata a Quintino Sella, (1827-1884) come docente di mineralogia – infatti è raffigurato in veste di geologo, una specie di Mario Tozzi ante litteram: nella mano destra tiene l’immancabile piccozza, nella sinistra qualche minerale che sta osservando con particolare attenzione. Ma poco distante si trova pure, sotto i portici del Castello del Valentino oggi sede della Facoltà di Architettura, una lapide che ricorda la fondazione nel 1863 del Cai, voluta dallo stesso Sella.
Una passeggiata sotto i tigli in direzione di Torino Esposizioni vi porterà a una casetta in stile liberty, già sede del comando dei Vigili urbani e ora a ridosso di una panineria. Lì si scorge una scultura particolare, quasi nascosta dal verde: diversi massi e un uomo intento con la sola forza bruta a spostarli, mentre sulla sommità vigila il busto di Ascanio Sobrero, il chimico piemontese dell’Ottocento scopritore della nitroglicerina, usata anche in campo medico. Nel 1847, dopo essere riuscito a sintetizzare il potentissimo esplosivo, notò che gli operai addetti alla fabbricazione della nuova sostanza erano affetti da arrossamenti alle mani e al collo e presentavano un’accelerazione del battito cardiaco che in alcuni casi provocava svenimenti e collassi. Sobrero, esperto anche in medicina, si rese subito conto che l’esplosivo possedeva proprietà vasodilatatrici, cosa che lo portò a studiarne le applicazioni in campo medico, dove ancora oggi, con le dovute evoluzioni, è utilizzata per la cura dell’angina pectoris. Ignota la ragione delle lettere e numeri scritti sulle singole pietre: forse per distinguere le diverse provenienze geologiche o per futuri restauri?
Sul lato opposto del viale dei tigli che costeggia Corso Massimo D’azeglio in corrispondenza di Corso Vittorio Emanuele II, vi accoglie a braccia conserte un pensoso Massimo D’Azeglio (1789-1866), opera in marmo e bronzo dello scultore Alfonso Balzico. A differenza dei precedenti non fu uno scienziato, ma oltre alla carriera politica fu più votato alle arti, come le lettere e la pittura: infatti, sul basamento compaiono vari oggetti come una tavolozza e pennelli e si ricordano le sue opere, alcune delle quali sono esposte alla GAM, la Galleria Civica di Arte Moderna e Contemporanea.
Nei prati antistanti al Club di scherma si trova un busto di Cesare Battisti (che è anche dotato di codice QR), il medagliere dei decorati al valor militare nati nel comune di Torino e il più recente monumento ai paracadutisti d’Italia.
Ritornando verso l’ingresso del Giardino roccioso si incontra una lapide commemorativa di Giuseppe Ratti (1890-1965) a memoria del suo interesse per i giardini e per il Valentino, ma pochi sanno che fu un pioniere della fotografia e un imprenditore dell’industria ottica – nel 1917 aveva fondato il marchio Persol (oggi confluito in Luxottica). Era anche un grande appassionato di floricultura e nel 1952 promosse la fondazione di una scuola per giardinieri che oggi porta il suo nome. Fu lui a creare il Giardino roccioso in occasione dell’Esposizione internazionale del 1961; per suo impulso, nello stesso anno si tenne anche la mostra floreale Flor61.
Andando verso Corso Raffaello non possiamo non notare, vicino a Torino Esposizioni, il monumento equestre in bronzo dedicato ad Amedeo di Savoia Duca d’Aosta, opera di Davide Calandra. Per le sue notevoli dimensioni, nel giugno del 1900 ci vollero più di sei ore per percorrere i soli tre chilometri che separavano la sua collocazione dalle fonderie Sparati di Corso Regio Parco. Dato che recentemente si è parlato anche di spostarlo per far spazio ad una ruota panoramica, con un po’ di fantasia si può immaginare la statua animarsi, e il duca estrarre la spada dal fodero a difesa della sua attuale postazione.
E a proposito di dimensioni notevoli non possiamo trascurare l’arco monumentale dedicato all’Arma di Artiglieria, opera del 1930 dello scultore Pietro Canonica, che aveva anche l’intento di fungere da scenografico ingresso al Parco presso il Po e su Corso Vittorio Emanuele II.
Tornando a dimensioni più contenute ma a elementi forse più interessanti, vicino al ponte levatoio che immette al Borgo Medievale una semplice pietra con incisioni lineari ricorda i livelli raggiunti dall’acqua del Po durante le alluvioni.
E per non scordare l’importanza storica del fiume, in prossimità del Parco c’è una stele commemorativa del primo volo aereo civile italiano: il servizio con idroplano Torino-Trieste, che fu inaugurato nel 1926 e terminò nel 1934. Il biglietto costava circa trecento lire, l’equivalente di uno stpendio medio-alto; l’hangar e l’imbarco passeggeri si trovavano tra il ponte Umberto I e il ponte Isabella.
Ma le statue, i monumenti o i cippi commemorativi non sono solo verticali e svettanti verso il cielo così terminiamo questo tour particolare nel parco con qualche cosa di ancora più inusuale: in prossimità dell’ingresso del Castello del Valentino, o meglio, della Facoltà di Architettura, tanti piedi calpestano ogni giorno una scritta sull’asfalto, composta da un nome e un numero: Alberto Ascari n° 6. Così viene ricordato il settimoGran Premio del Valentino, disputatosi il 27 marzo del 1955. Si trattava di una gara extra campionato di Formula 1, vinta appunto dal leggendario Ascari, che correva con il numero 6 su una Lancia D50. I trascorsi automobilistici del Parco del Valentino saranno rinverditi, fra l’11 e il 14 giugno 2015 con una rievocazione del Gran Premio e un’esposizione di auto da sogno del passato e del presente.

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