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Bramafam – di Gabriella Bernardi

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Un forte e i volontari che l’hanno salvato dal degrado trasformandolo in luogo di memoria e storia

di Gabriella Bernardi

bramafam1180 manichini che indossano uniformi militari originali, 35 pezzi di artiglieria, i più grandi dei quali trovano posto all’interno del cortile, 35 sale da visitare all’interno del blocco delle caserme e in cui sono esposti oltre duemila reperti di vita militare, dai fucili alle lettere indirizzate ai familiari.
Così dal 1995 il Forte del Bramafam che domina la conca di Bardonecchia e continua ad osservare l’ingresso della galleria ferroviaria del Fréjus verso il confine francese, ha cessato il degrado e il saccheggio iniziato nel 1947 e si va affermando come zona museale. Arrivare qui oggi significa una bella e tranquilla passeggiata fra i boschi che hanno riconquistato questo avamposto strategico, ma varcare il cancello d’ingresso significa immergersi in una gita a ritroso nel tempo che inizia con l’accoglienza nella biglietteria.
Questo luogo già nel passato più remoto ha avuto una vocazione strategica: dal 1330 con un castello per il controllo del territorio alla fortificazione di fine ‘800 con otto cannoni per il controllo della nuova ferrovia che collegava l’accesso alla Francia, ha una lunga storia da raccontarci. E proprio questo è uno degli obiettivi dell’Associazione per gli Studi di Storia ed Architettura Militare che gestisce il forte.
Abbiamo domandato al presidente Pier Giorgio Corino quando nasce e com’è stata compiuta questa impresa e chi ha avuto l’idea di ripristinare una struttura che esternamente non si direbbe così grande ed articolata.
Chi ha colpa del mal pianga se stesso. Tutto nasce da tre amici – Piero Gastaldo, Massimo Sibour e il sottoscritto – che, accomunati dall’interesse per l’architettura militare, fondarono nel 1990 l’Associazione per gli Studi di Storia e Architettura Militare. I primi anni, dedicati essenzialmente alla ricerca storico archivistica, portarono alla pubblicazione di La montagna fortificata, che in quegli anni era definita la “bibbia della fortificazione” e fu il catalizzatore per riunire un gruppo di appassionati che poterono confrontarsi, discutere e, soprattutto, collaborare alla realizzazione di obiettivi e progetti comuni, inerenti il “bene storico” militare. Col volgere degli anni spinsi perché l’Associazione da semplice punto di ritrovo si trasformasse in realtà per dare impulso ad attività di ricerca storica e archivistica e partecipare a importanti progetti di recupero e salvaguardia di opere fortificate. Nel 1994 lanciai l’idea di passare da una fase puramente culturale a una operativa, impegnandoci in prima persona per salvare una fortificazione. Il 18 maggio 1995, dopo lunga trafila burocratica, l’Associazione ottenne il Forte Bramafam di Bardonecchia in affidamento dal Demanio. La scelta non era stata casuale: si trattava, infatti, di uno dei pochi esempi superstiti di opera di transizione che univa l’utilizzo della pietra e del calcestruzzo, con l’installazione d’impianti d’artiglieria per quegli anni avveniristici”.
In questi venti anni grazie ai contribuiti di enti pubblici e privati, oltre a quanto reinvestito dalla nostra Associazione, e con l’impegno di oltre 75.000 ore di volontariato, il progetto di recupero di Forte Bramafam ha avuto una notevole evoluzione. Dal recupero strutturale si è passati agli allestimenti ambientali, con acquisizione di una notevole quantità di materiale storico che ha permesso di realizzare una struttura museale unica nel suo genere. “Quello che non ero riuscito a realizzare negli incarichi avuti per gli allestimenti dei forti di Exilles e di Bard, prosegue Corino, in quanto vincolato alle linee guida imposte da chi aveva in gestione le fortificazioni, lo realizzai pienamente al Bramafam, mettendo al centro della narrazione il bene storico in tutti suoi aspetti”.
75.000 ore di volontariato in questi vent’anni hanno prodotto un risultato notevole, da vedere e rivedere anno dopo anno perché in continua evoluzione; chi sono i volontari e quali competenze hanno? Cosa spinge una persona a impegnarsi in tutti i suoi momenti liberi a salire a proprie spese a Bardonecchia per lavorare al recupero di una fortificazione?
Per alcuni l’amore per la storia non è solo sprofondarsi in una poltrona con un buon libro, ma realizzare qualcosa di fattivo per la salvaguardia del nostro patrimonio storico, che si va sfaldando sotto i nostri occhi. Quando il buon senso consiglierebbe di starsene a casa si sale al forte, magari in pieno inverno, per entrare e perdere la cognizione del tempo, lavorare ad allestimenti, restaurare materiali cercare di salvare la memoria storica. Ognuno si impegna con la propria esperienza personale e culturale per un progetto comune, che se all’inizio era di avere un forte e cercare di salvarlo, adesso è quello di trasformare il forte in un museo. Se all’inizio potevamo sembrare dei sognatori, abbiamo dimostrato in vent’anni di lavoro che i sogni, anche quelli più assurdi, si possono realizzare. Dimenticavo, noi paghiamo un affitto allo Stato per restaurare un bene dello Stato: in vent’anni abbiamo impegnato sul forte 1.700.000 euro, non male per dei volontari”.
Oltre alle conferenze e mostre temporanee, ci saranno altre sorprese per i prossimi anni?
Sulla base del filo conduttore che è l’amore per la storia, abbiamo dato vita ad un museo unico nel suo genere, costantemente rimodellato e in continua evoluzione, ad esempio negli allestimenti. E da un anno siamo impegnati a progettare il completamento del recupero del Magazzino artiglieria, l’unico di tutti i fabbricati che si affacciano sulla Piazza d’armi ancora da completare come restauro – ne abbiamo recuperato circa un terzo. D’altro canto è emblematico della storia del forte: realizzato nel 1891, era destinato a ospitare i magazzini del forte. Dopo la seconda guerra mondiale si salvò dalle devastazioni perché fu riutilizzato come colonia estiva dei Salesiani. Ma attorno al 1970, cessato questo riuso, fu pesantemente depredato con rimozione della copertura in lose e delle travature, asportazione di tutti gli infissi, delle parti in pietra da taglio, lastricati, abbeveratoi, fontane, riducendolo ai soli muri perimetrali. Il recupero darà altri 500 metri quadri di area espositiva oltre ad un vasto spazio per la conservazione della documentazione storica. E il Magazzino d’artiglieria è già virtualmente pieno di materiale storico, una nuova mostra unica nel suo genere, ma non anticipiamo i tempi. Ma non finirà qui: abbiamo ancora tutta la parte superiore del forte con le installazioni d’artiglieria da recuperare. Se Dio ci assiste, e finanziamenti permettendo, noi continueremo a sognare e a realizzare”.
La visita è di quelle libere. Con i propri tempi e mappa alla mano si segue il percorso che spazia sia in luoghi all’aperto molto panoramici, sia in quelli al chiuso ricchi di vissuto. Se si hanno domande o curiosità si più sempre rivolgersi ai volontari discretamente presenti per scoprire aneddoti o curiosità non riportati nelle didascalie.
Intanto la ragazza sorridente che accoglie alla cassa illustra ad ogni visitatore il percorso da seguire, le mostre temporanee da non perdere e le particolarità della struttura. Chi meglio di lei che da un po’ di anni è presente in questo Forte può testimoniare questa realtà in piena evoluzione? Lei è Maria Teresa Vivino: laureata, giornalista, scrittrice e con una grande passione per la poesia. I visitatori di anno in anno sembrano crescere: ma è vero che ci sono degli affezionati che tornano sempre?
In questi tre anni ho visto ritornare più volte gli stessi visitatori”, conferma. “Sempre più entusiasti, sempre più curiosi di vedere le novità del Forte; ma tornano anche per rivedere dei pezzi a cui sono particolarmente affezionati. La cosa più curiosa è che anche nel corso della stessa estate alcuni ritornano più volte, con parenti, amici, ma molto spesso anche da soli, per gustare la visita con calma”.
Nonostante il tema apparentemente “maschile”, la folta presenza femminile smentisce lo stereotipo. Ma chi sono i più entusiasti?
Senz’altro mi sembra di percepire che le persone più interessate, generalmente, sono i bambini, gli anziani che hanno ricordi diretti della guerra, discendenti di militari che hanno preso parte alle guerre, poi storici, architetti, ingegneri… insomma, per motivi differenti, le categorie professionali e di affezionati che giungono ogni anno al Forte sono davvero differenti tra loro”.
E le critiche, se ci sono?
I punti dolenti sono la strada per raggiungere il Bramafam e, per quanto concerne l’allestimento, la mancanza di cartellonistica e didascalie in altre lingue oltre all’italiano. Molti chiedono soprattutto inglese e francese. In realtà, si tratta di un falso problema, in quanto del materiale viene fornito all’ingresso in lingua francese, tedesca e inglese, secondo le esigenze, per cui il museo e l’intera struttura sono visitabili senza particolari supporti aggiuntivi. L’idea è quella comunque, in un futuro vicino, di tradurre tutto ma ricordiamo sempre che il Forte Bramafam è tenuto in piedi da volontari, che già sacrificano molto del tempo personale per far sì che la struttura e la mostra siano ogni anno più suggestive e complete possibile; ma si arriverà anche a fornire questo servizio”.
Armi, divise, bandiere, strumenti tecnici, giornali e la ricostruzione della mensa ufficiali o l’acquerello del Forte realizzato da un prigioniero austriaco della prima guerra mondiale, e naturalmente le lettere che arrivavano da e per il fronte, alle volte cartoline postali dove si condensava una vita in una minuta calligrafia. Quali sono gli oggetti che colpiscono o emozionano di più i visitatori?
Le lettere dal fronte sicuramente colpiscono il cuore di tutti, ma in realtà ogni cimelio racconta una storia perché sono pezzi veri, inseriti in una ricostruzione di vita all’interno e al di fuori del forte, che si raccontano da soli. Per svariati motivi, ognuno viene catturato da qualcosa di diverso. La cosa che più mi ha colpita, questa estate, è stato vedere arrivare un tedesco che, in un inglese approssimativo, mi ha raccontato di essere venuto al Bramafam perché il padre c’era stato durante la seconda guerra mondiale: ‘Mio padre mi parlava sempre del Forte Bramafam e mi diceva che qui si è riposato, perché non ha mai dovuto sparare da qua. Vi ha soggiornato solo pochissimi mesi, poi è stato inviato al fronte russo; lì è stata davvero dura, ma è tornato e ha potuto ancora raccontarlo’. Infatti, al di là delle credenze popolari o false informazioni, dal Forte, da fine Ottocento alla fine della Seconda Guerra Mondiale, non è mai partito un colpo (anzi uno sì, di prova), quindi in un periodo storico terribile, il Bramafam, ha collezionato i ricordi migliori”.
Per approfondimenti sulla storia del Forte, gli orari di visita o altre informazioni si può consultare il sito www.fortebramafam.it o la pagina Facebook dedicata.

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