Il Piemontese che profuma di mare
di Danilo Poggio
Dalle colline del Basso Piemonte alla tavola dei potenti della Terra riuniti a San Pietroburgo. A settembre il Gavi Docg è stato scelto come unico vino bianco per il pranzo ufficiale del G20, servito ai leader dei Paesi più ricchi chiamati a decidere il futuro economico del pianeta. Un’ulteriore conferma per un vino che rappresenta il fascino di una terra di confine.
Gavi si trova in provincia di Alessandria, nell’estremo angolo sud orientale del Piemonte, in linea d’aria il punto più vicino alla Liguria. Protetta da una poderosa fortezza, si adagia a 233 metri di altitudine su quegli Appennini che da sempre sono luogo di passaggio e di scambio tra la costa e l’entroterra. Avamposto militare, ristoro per i viandanti, località di villeggiatura per potenti banchieri, rivela ancora oggi il secolare legame con l’antica Repubblica di Genova nei toponimi, nel dialetto e nella cadenza della parlata locale.
Un antico documento, datato 3 giugno 972 e tuttora perfettamente conservato, parla della cessione in affitto di vigne e castagneti da parte del vescovo di Genova a due cittadini gaviesi ed è certo che nel 1373 le castellanie di Parodi e Tagliolo generavano introiti con la coltivazione di vigneti.
Da oltre un millennio, quindi, a Gavi si produce vino, sfruttando una posizione e un terreno di natura calcarea-marnosa dalle caratteristiche peculiari.
La costa si trova a trenta chilometri di distanza e la brezza marina arriva tutto l’anno, respingendo l’umidità della pianura. D’estate il caldo si fa sentire durante il giorno ma di notte la frescura è assicurata, creando quell’escursione termica indispensabile per favorire l’acidità dell’uva e produrre vini bianchi di grande qualità.
C’è poi il vitigno, il Cortese. È stata l’aristocrazia ligure a diffonderne la coltura specializzata in zona, a partire dall’Ottocento. Solo un bianco poteva ben sposarsi, infatti, con la tradizione gastronomica ligure, ricca soprattutto di pesce e verdure, e solo con un terroir specifico il Cortese diventa Gavi. Un vino che fino a qualche anno fa era considerato fresco e leggero, da bere esclusivamente giovane, ma che ha saputo dimostrare la capacità di assumere struttura e personalità, nobilitato dagli aromi terziari legati all’affinamento.
Alcuni, e non pochi, lo chiamano il Barolo bianco. Certo è che il particolare microclima di confine regala al vino eleganti profumi di frutta fresca, di fiori bianchi e di agrumi e il tipico aroma di mandorla amara, che con l’invecchiamento lascia spazio ai toni minerali.
“Freschezza e longevità, spiega il tecnico agronomo Davide Ferrarese, rendono il Gavi di facile beva ma per palati esigenti, in quanto non esageratamente strutturato ma comunque complesso. È apprezzato perché particolarmente flessibile e perché ben si abbina a ogni tipo di piatto, da quelli di mare o di terra sino al finger food tanto di moda recentemente. Una caratteristica ammirata e molto richiesta dal mercato internazionale”.
Nel 1974 il Gavi ottiene la Denominazione di Origine Controllata e nel 1998 viene riconosciuto dal Ministero delle Politiche agricole tra i pochi vini bianchi non aromatici a Denominazione di Origine Controllata e Garantita, una vera rarità a livello nazionale.
Il severo disciplinare di produzione, ridefinito nel 2010, prevede che il Gavi sia ottenuto in purezza esclusivamente da vitigno Cortese, con basse rese per garantirne la qualità. L’uva può essere coltivata soltanto in quella piccola zona che comprende undici comuni, da Capriata d’Orba a Parodi Ligure, da Carrosio a Pasturana.
“Un vino, continua Ferrarese, estremamente generoso, che sa declinarsi in cinque tipologie di prodotto, come prevede il disciplinare della Docg: tranquillo, frizzante, spumante, Riserva e Riserva Spumante metodo classico. Lavoriamo per garantire una produzione del tutto Ogm free, ovvero non modificata geneticamente, per preservare l’unicità del vitigno autoctono e tutelare il consumatore e il nostro territorio”.
A difendere e a promuovere un prodotto piemontese caro anche ai genovesi, nel 1993 è nato il Consorzio di Tutela del Gavi, che ora rappresenta circa il 75% della produzione di Gavi e conta centonovanta produttori associati. Nel 2004 il Consorzio è stato il primo in Italia ad aver compiuto la revisione dell’albo dei vigneti. Con le visite degli ispettori e le ricognizioni aeree è stata fotografata esattamente l’area del Gavi Docg, sotto il profilo catastale e ampelografico.
La tutela del territorio e del vino è rigorosa e necessaria, anche perché il Gavi rappresenta una risorsa economica e occupazionale rilevante per il basso Piemonte. Sono circa cinquemila le persone impiegate nella filiera per arrivare a un fatturato complessivo annuo di oltre 50 milioni di euro. In un decennio, la superficie vitata è aumentata del 37%, la produzione di bottiglie del 47% e ora la crescita si aggira ogni anno intorno al 10%.
Insomma, malgrado la drammatica crisi economica internazionale, il Gavi continua a dare risultati positivi e per il 2013 si punta a produrre 12 milioni di bottiglie, destinate soprattutto all’export: “I nostri mercati di riferimento, spiega il direttore del Consorzio, Francesco Bergaglio, sono soprattutto all’estero, anche dove ci sono abitudini alimentari differenti. Gli inglesi, ad esempio, amano il Gavi perché privilegiano i vini freschi da bere fuori pasto, mentre in Giappone si abbina perfettamente alla cucina tradizionale, dominata dal pesce fresco, con il famoso sushi. Negli ultimi anni, poi, stanno crescendo in modo esponenziale le vendite nell’Est Europa”.
All’inizio dell’estate i rappresentanti del Consorzio hanno visitato la Cina, partecipando alla prestigiosa fiera di vini a Guangzhou e organizzando seminari e degustazioni a Chengdu e Shangai, in collaborazione con il “consorzio di consorzi” Piemonte Land of Perfection ed Enoteca Italiana. Un’opportunità preziosa, visto che la Cina, con oltre trecento milioni di consumatori, rappresenta per il vino un mercato che vale un miliardo di euro all’anno. Una piazza sino ad ora dominata dalla Francia e nella quale l’Italia ha ottenuto solo il cinque per cento. Il Gavi prosegue intanto la sua scalata alla celebrità, portando il nome del Piemonte in giro per il mondo. Una fama che non deve favorire inutili campanilismi, ma anzi deve promuovere una cultura territoriale ben più ampia: “Ci piacerebbe esportare non solo il vino, aggiunge ancora Bergaglio, ma anche il nostro modello di territorio, una sorta di Gavi way of life. Per fare tutto ciò è necessario un reciproco sostegno con gli altri vini piemontesi. La zona del Gavi comprende undici comuni, come quella del Barolo. La chiave del successo sta nel riuscire a fare sistema, proponendo insieme la tradizione spumantistica, i grandi rossi e i bianchi regionali. Solo il Piemonte può vantare un patrimonio tanto vasto, diversificato e variopinto”.
E infatti i ben noti ravioli prodotti in questa terra di confine, farciti con carni bovine e suine, legati con uova, formaggio, borragine e scarola, si possono innaffiare sia col Gavi Docg sia un vino rosso. Purché sia piemontese, ovviamente.
Foto di Maurizio Ravera
Pubblicato su Piemonte Mese anno X n. 1, Febbraio 2014