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Il poeta ottimista – intervista di Nico Ivaldi

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L’Angelico Certame di Max Ponte, poeta contemporaneo

intervista di Nico Ivaldi

Eccolo qui, un poeta contemporaneo, un vero poeta contemporaneo. Un poeta ottimista, che organizza letture pubbliche, che declama ad alta voce, che mescola i linguaggi, che ti sorprende con le sue trovate funamboliche.
Max Ponte Trentanove anni, alto, magrissimo, ascetico, capelli lunghi e barba da rockstar maledetta, Massimiliano Ponte (per tutti Max) nasce filosofo, con prima laurea a Torino e seconda a Parigi. Nella Ville Lumière è di casa: svolge attività di ricerca in ambito letterario e partecipa, come italianista, a conferenze nelle quali tiene bene in alto il vessillo della nostra cultura. E poi mette in scena la poesia, convinto che oggi il poeta debba uscire in strada e autopromuoversi, non restare più chiuso nel proprio studio a piangersi addosso perché la gente non compra i suoi libri.
Dopo essersi occupato per anni di poetry slam, gare pubbliche che prevedono la lettura di brevi poesie votate dai presenti, l’ultimo show di Max Ponte si chiama “L’Angelico Certame”, andato in scena al polo culturale Lombroso 16 con un buon successo di pubblico e la vittoria di Nadia Sponzilli detta Nanà, una veterana del settore.
Perché questo richiamo all’antichità?
Perché trovo giusto riappropriarsi delle nostre radici, della nostra identità anche se in una maniera fresca, giovane, dinamica. E naturalmente per ridare prestigio alle competizioni poetiche. Il nome riprende il volgare ‘certame’ dal latino ‘certamen’, sostantivo neutro che significa appunto gara o lotta derivato dal verbo ‘certare’”.
Si tratta di una gara molto particolare…
Infatti i concorrenti si sono cimentati in tre prove: una di improvvisazione, una performativa e una teatrale. Nella prima prova hanno creato una poesia in cinque minuti in base ad un tema sorteggiato. Nella seconda hanno performato un loro lavoro a piacere. Nella terza hanno usato oggetti di scena o maschere o costumi per rappresentare la loro creazione. Considerato il successo, ci riproveremo sabato 21 gennaio 2017, sempre al Lombroso 16 di Torino”.
Max, chi è un poeta oggi?
Secondo me la sua funzione sociale dovrebbe essere sempre quella di dare agli altri una coscienza che non hanno su determinate realtà della vita che li circonda. In altri termini, il poeta deve usare l’arte della parola per rappresentare la vita del singolo, ma anche di tutti, perché poi il caso singolo diventa un particolare che riflette l’universale, la condizione umana è la nostra, è quella che appartiene a tutti”.
Qual è la visuale del mondo di un poeta?
Il poeta non osserva tutto, ma ci sono cose, momenti o persone che attirano la sua attenzione e quel qualcosa lo spinge a scrivere. Sono apparizioni di una realtà che lui non si aspetta e che diventano materia per la sua poesia. Non è un lavoro fatto a tavolino come la narrativa. O perlomeno non è il mio. Non me lo impongo, è un iter che viene naturale; è il prolungamento della mia vita”.
Da ragazzo anche tu eri uno dei tanti giovani in perenne crisi esistenziale che buttavano giù versi per piangere l’amore perduto o per contestare il mondo intero?Non era il mio caso, io ho iniziato prestissimo a comporre, addirittura alle elementari, ma non per la delusione di qualcosa, quella è una forma di poesia
che ritengo malata. Ho cominciato a scrivere per gioco, per il piacere di usare la parola e per il fascino che da questa si potessero ricavare magie, effetti incredibili. Poi al liceo e all’università ho approfittato dei laboratori di scrittura, finché questa attività è diventata sempre più intensa e anche impegnativa”.
Esistono parole-chiave o concetti predominanti nella tua poesia?
Parole non te lo saprei dire, ma concetti sì. L’amore, per esempio, è una dimensione fondamentale, lo dimostra la mia ultima raccolta, 56 poesie d’amore. Credo che dalla mia produzione emerga anche la vitalità, l’azione, il desiderio di esplorare il nuovo; io mi sento un po’ erede dello spirito del futurismo (Marinetti parlava di ottimismo artificiale) anche se rivisto alla mia maniera.”
In quale modo ti senti erede dello spirito dei futuristi?
La mia visione della vita è decisamente ottimista. Non accetto posizioni di inutile pessimismo o di nichilismo. Non mi piacciono le persone che si piangono addosso senza fare niente. Diventa una scusa per farsi promozione senza fare nulla ed è una cosa vile”.
Ritieni sia un atteggiamento comune anche nel mondo dell’arte?
Soprattutto in quello, direi. Molti autori hanno la tendenza, compresi giovani poeti o scrittori, ad apparire come persone sfortunate e giocare sulla chiave della commiserazione. Non che non sia esistito questo filone, per esempio nella letteratura crepuscolare, ma quegli artisti avevano rielaborato in maniera sublime il proprio male di vivere”.
Il tuo iper-attivismo non può sfuggire a chi segue, anche se distrattamente, le tue iniziative…
Ma non è sempre così. Adesso mi cogli in un periodo particolarmente fertile, frutto di tanto lavoro ma anche di crisi esistenziali”.
Com’è la vita di un poeta, a Torino?
C’è molta concorrenza fra di noi, gli scontri tra poeti sono fortissimi, le confraternite sono tante e varie. Esiste confronto, rivalità, ma io questa competizione la vedo come una cosa positiva. La frammentazione c’è in tutti i campi della nostra società, anche in quello letterario. A fare la differenza è la visibilità, la presenza negli eventi. Conta sapere comunicare la poesia, saperla rendere viva”.
È sempre vero che la poesia non si vende in libreria?
È vero, ma anche se non vende niente crea piccoli gruppi di interesse, e questo dimostra la sua vitalità a prescindere dai riscontri di vendita.”
È così anche negli altri Paesi?
Durante una conferenza a cui ho partecipato, dedicata ai giovani poeti italiani alla Sorbona, un editore francese sosteneva che ormai nel proprio paese la poesia è assimilata alla cultura e non crea più dibattito. Ecco, sicuramente l’ambiente poetico italiano è molto più stimolante e vivo. L’Italia è un Paese sottovalutato, anche sotto questo aspetto. La nostra lingua è una delle più studiate all’estero, pur non essendoci alcuna politica che la promuova. Agli stranieri piace la nostra letteratura, il nostro ruolo culturale oltre i confini è più importante di quanto non immaginiamo”.
Pensi di essere un punto di riferimento per i giovani poeti che ti seguono nelle tue scorribande letterarie?
Forse sì, ma sono anche certo che mi vedono soprattutto come un sollievo perché do loro la possibilità di esprimersi. Certo non basta scendere in strada per leggere le proprie poesie, se si partecipa a un progetto più compiuto e organico è più facile avere visibilità reale”.
Leggendo le tue poesie non si può non venire colpiti dal linguaggio che utilizzi. Un esempio è la poesia “Che ne sai tu dell’idrovolante?” tratto da 56 poesie d’amore. Che ne diresti di declamarmela?
Max non si fa pregare due volte. Si schiarisce la bella voce e parte, nonostante la musica in sottofondo di questo bar all’interno della stazione di Porta Nuova e il viavai di viaggiatori in partenza:

Che ne sai tu dell’idrovolante
che planava davanti a casa
negli anni ’30 quando
mi affacciavo sul Po
e pensavo a noi sulla
Linea Torino-Pavia-Trieste?
che ne sai tu del mio idrovolante?
tu che te ne vai in giro
con un suonatore di ukulele
mentre io con tutti i miei
pensieri a filo d’acqua
sono il principe
dell’idroscalo

Al tavolo vicino al nostro, una donna araba col velo alza gli occhi dal suo smartphone per ascoltare i versi di Max.
Utilizzo più di un linguaggio” spiega Max, sorseggiando la sua tazzona di caffè d’orzo e soddisfatto dall’interesse della donna. “Quello della quotidianità, della pubblicità, della scienza, della tecnologia, parole derivate dal latino, ormai abbandonate dalla lingua italiana, dei neologismi. È tutto miscelato e reso omogeneo in qualche modo”.
Il mix in effetti piace, la prova è che il libro è prossimo alla ristampa, e dunque in qualche modo viene smentita la regola per cui “la poesia non vende”.
Anche a prezzo di grandi sbattimenti” precisa Max Ponte.
Immagino che tu abbia già in testa qualche nuovo evento per il bene della poesia italiana, o mi sbaglio?
Lavoro sempre anche perché sono una persona che si annoia spesso, anche di sè. Se mi ritrovo in una consuetudine, la mia autostima viene meno. Per cui anche se le cose funzionano, come nello slam o nell’’Angelico Certame’, ma non si modificano o non si evolvono, io non sono contento. Vale anche per la mia vita, ovviamente. Anche se trascorro momenti di ozio, ho sempre bisogno di novità, di dialogare con altre persone, di condividere aspetti della propria vita. D’altro canto l’arte e la letteratura, per come li intendo io, sono anche questo”.
Aspettiamoci dunque qualche nuova sorpresa, ma a tempi brevi, ché Max Ponte è uomo d’azione.

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