Le origini nostrane del “secondo inno” francese
di Marco Doddis
Carmagnola è una di quelle cittadine con cui la Storia ha un conto aperto. Situata in una posizione strategica, è stata per secoli oggetto di un tira e molla politico-militare tra Marchesi di Saluzzo, Duca di Savoia e Re di Francia. A partire dal Settecento, con la definitiva entrata in orbita sabauda, si crearono le condizioni per un forte sviluppo agricolo e commerciale. Oggi, per antonomasia, Carmagnola è la città del peperone, in omaggio al suo prodotto tipico. Ma il suo peso specifico, nella storia italiana, e addirittura europea, non può limitarsi alle venature del buonissimo ortaggio.
Carmagnola, infatti, ha lasciato in dono alla Storia anche una canzone-danza che meriterebbe una riscoperta.
In un periodo in cui spuntano come funghi – o come peperoni – numerosi corsi sui balli tradizionali, non stupirebbe che qualche associazione proponesse ai suoi iscritti, dopo le ormai inflazionate danze occitane, i passi della Carmagnole.
Si chiama proprio così: Carmagnole, con la -e finale. Ciò si deve al fatto che la canzone è ben più nota in Francia che dalle nostre parti. Perché? Beh, per esempio perché è stata “solo” un canto simbolo della Rivoluzione Francese.
Ma andiamo con ordine: ripercorriamo gli sviluppi di una vicenda che, con ogni probabilità, è ignota anche a molti carmagnolesi dei nostri tempi. Una vicenda che, se la Storia fosse stata un po’ meno meschina, oggi sarebbe conosciuta alle masse per due naturali e incredibili assiomi:
1: i blue jeans non sono nati in America, ma proprio a Carmagnola;
2: l’inno della Francia è la Marsigliese, ma poteva benissimo chiamarsi la Carmagnolese.
Il punto di partenza di questa storia è la canapa: la preziosa materia prima veniva coltivata e lavorata nel territorio di Carmagnola sin dai tempi del Marchesato di Saluzzo (antico stato di origine medievale, annesso nel 1601 al Ducato di Savoia). Si trattava di una produzione di livello internazionale, per l’epoca, tanto che si stima fosse proprio questo il mercato più importante d’Italia. Oltre che per tele, corde, vele e tende, la canapa era usata per produrre dei particolari pantaloni da lavoro, che erano utilizzati in tutta la zona del Basso Piemonte fino alla Liguria. Ovviamente, per essere esportata oltremare, questa particolare tela doveva passare dal porto di Genova (è accreditata l’ipotesi che il termine inglese blue-jeans, già esistente alla fine del XVI secolo, derivi dalla locuzione francese bleu de Gênes, cioè blu di Genova). Insomma, per farla breve: quasi trecento anni prima di Levi Strauss, i jeans furono “brevettati” vicino Torino e battezzati dalle parti di Genova. Ma la Storia, sui suoi libri, non riporta troppo spesso la notizia.
Proseguiamo, compiendo un salto fino alla metà del Settecento. È stato appurato che in quel periodo si verificava un costante spostamento di operai stagionali dalla zona di Carmagnola a Marsiglia, il cui porto richiedeva manodopera necessaria per la fabbricazione di corde. Le corde, che dovevano essere fatte di canapa, venivano trasportate proprio nei carri degli operai, il cui abbigliamento divenne presto distintivo: una giacca corta o una blusa di color turchino abbottonata su un lato. L’indumento, proprio per l’origine di chi lo indossava, diventò usuale da quelle parti (molti operai si stabilivano a Marsiglia in modo permanente) e si meritò il nome di Carmagnole.
Il cerchio si chiude poco tempo dopo, nel 1792 a Parigi. In Francia, fu un anno un “tantino” caldo: dichiarazione di guerra all’Austria, primo uso della ghigliottina, presa delle Tuileries e, soprattutto, arresto di Luigi XVI e caduta della monarchia.
Tra i convenuti nella capitale, i marsigliesi si distinsero come accesi latori dello spirito rivoluzionario. Furono loro i primi patrioti presso cui si diffuse l’appena composto Chante de guerre pour l’armée du Rhin, canto che divenne popolare per le vie di Parigi con il nome di Marsigliese. Insieme al futuro inno della République, i federati di Marsiglia, spesso vestiti con la Carmagnole, intonavano anche un altro canto; una danza-canzone, per essere precisi, perché le strofe erano accompagnate da un girotondo.
Faceva così:
Madame Veto avait promis
De faire égorger tout Paris
Mais son coup a manqué
Grâce à nos canonniers.
Monsieur Veto avait promis
D’être fidèle à sa patrie
Mais il y a manqué
Ne faisons plus quartier
Dansons la Carmagnole
Vive le son, vive le son.
Dansons la Carmagnole
Vive le son du canon!
Ecco la prima versione della popolare (in Francia) Carmagnole, di autore anonimo. Ed è solo una combinazione, un altro capriccio della Storia a determinare il fatto che questa composizione di origine provenzale e di lontana origine piemontese non sia diventata l’inno della Francia al posto della Marsigliese, che, tra le altre cose, all’inizio godette di minore popolarità.
Il successo della Carmagnole fu clamoroso: era talmente diffusa che ne nacquero versioni che apportavano modifiche all’originale; vennero alla luce pièces teatrali e novelle con quel titolo; soprattutto, divenne l’inno dei sanculotti. E cosa indossavano i sanculotti, insieme alla coccarda, al fazzoletto e al berretto frigio? La blusa chiamata Carmagnola, naturalmente, divisa “operaia” e quindi perfetta per esprimere l’identità giacobina.
Da quel momento, il testo del canto venne adattato agli avvenimenti politici e sociali, conferendogli il suo reale carattere di opera popolare capace di riflettere le emozioni collettive.
Soprattutto – riecco la Storia malandrina – la Carmagnole tornò in Italia. E riscosse un grande successo. Per esempio, ispirò un violinista tredicenne di Genova, che, dopo averla ascoltata, compose ed eseguì delle Variazioni sul tema durante un concerto al teatro di Sant’Agostino nel 1795. Si chiamava Nicolò Paganini.
La cantavano i soldati di Napoleone, che, proprio negli ultimi anni del secolo dilagarono in Italia (significativo il fatto che Napoleone, una volta divenuto imperatore, abolisse sia La Carmagnole sia La Marsigliese). Quando, nel 1799, venne proclamata la Repubblica giacobina di Napoli, appoggiata dai francesi, il canto divenne popolare anche in ambiente partenopeo. E, ironia della sorte, fu riscritto in chiave anti-francese e anti-giacobina dai Sanfedisti seguaci dei Borboni.
L’aspetto veramente suggestivo della storia, però, è che la Carmagnole si diffuse con estrema facilità pure a Torino e dintorni, il che sembra suffragare l’ipotesi che gli elementi originari della danza provenissero da quelle parti e che, da quelle parti, non se ne fossero mai andati.
Nel capoluogo piemontese, ma non solo, era il periodo in cui venivano piantati gli alberi della libertà: si trattava raramente di veri e propri alberi; più spesso erano dei semplici pali coronati dal berretto frigio rosso, emblemi della libertà repubblicana made in France.
Così accadeva che, mentre magari il boia azionava la ghigliottina (a Torino fu sistemata nell’attuale Piazza Carlina, dove ora sorge il monumento a Cavour), il popolo danzava la Carmagnola intorno al palo della libertà.
Nella versione piemontese, il ballo prevedeva la disposizione a cerchio con un’alternanza di maschi e femmine. I partecipanti si muovevano con dei saltelli a sinistra e a destra, mantenendo inizialmente le mani unite. Poi, ciascuno si muoveva verso il centro per prendere uno dei nastri che penzolavano attaccati al palo, e tornando alla posizione originaria, eseguiva un’altra sequenza di saltelli. La procedura prevedeva poi che ogni uomo si spostasse di due posizioni nel cerchio, facendo passare sotto il proprio nastro la donna alla destra e passando, a sua volta, sotto il nastro della donna successiva. La danza si concludeva con la deposizione dei nastri vicino al palo e la ricostituzione del girotondo.
Naturalmente, sono state raccolte testimonianze che parlavano di versioni diverse del ballo; alcune di queste non prevedevano nemmeno il girotondo.
Dopo il periodo bonapartiano, la Carmagnole rimase ben viva nella memoria popolare: si ballò, ad esempio, durante i moti del 1848, durante la Comune di Parigi del 1870 e, addirittura, nel 1898, dopo le sommosse di Milano represse da Bava Beccaris, in Lombardia si danzarono Carmagnoles rivoluzionarie.
Il Ventesimo secolo registrò il tramonto di questo canto nel panorama italiano; o meglio, la Carmagnola rimase ancora viva nella memoria popolare di alcune campagne del Nord-Ovest, ma perse completamente quel carattere sovversivo che l’aveva accompagnata nel periodo precedente. Si deve a Milva la più significativa, se non l’unica, riscoperta della canzone: la popolare cantante, infatti, ne interpretò una versione.
Anche in Francia, alcuni cantautori, tra cui Johnny Hallyday nel 1967, hanno voluto imprimere la loro voce sui versi di Dansons la Carmagnole. Tuttavia, in terra transalpina, la nostra danza-canzone ha conosciuto una sorte ben più fortunata, fino ai giorni nostri.
Vale la pena ricordare, in un periodo di commemorazioni per il centenario della Prima Guerra Mondiale, che, nelle file dell’esercito francese, la Carmagnole era nota e cantata; inoltre, proprio durante la Grande Guerra, sull’onda della riscoperta di vecchie canzoni patriottiche, anche il canto di origine piemontese fu riadattato allo spirito dell’epoca: il compositore Jean Parigot realizzò una specie di cover della versione giacobina, sostituendo, nel testo, Luigi XVI (colui che era definito Monsieur Veto) con il Monsieur l’Kaiser. Ecco, dunque, La Carmagnole du Kaiser.
Ma c’è di più: la Carmagnole ha inciso così tanto nella sensibilità dei francesi, da essere addirittura divenuta oggetto di un modo di dire comune: faire danser la carmagnole significa infatti liberarsi di qualcuno (estensione di ghigliottinare qualcuno, liberarsi di un nemico).
Ancora nel Ventunesimo secolo, seppur impolverata, la danza spunta nelle piazze di Parigi in momenti collettivamente significativi: nel 2005, quando la Francia scelse il “no” al referendum che doveva ratificare la proposta di Costituzione Europea, si raccontarono scene di crocchi che improvvisavano una Carmagnole. Quest’anno, dopo i tragici fatti di Charlie Hebdò, qualcuno ha detto di aver visto ballare la Carmagnole nell’oceanico corteo che ha sfilato a Parigi contro il terrorismo.
Insomma, fino ai nostri giorni, questa danza-canzone dal passato glorioso non ne vuole sapere di evaporare dal mare della memoria collettiva. È una fortuna, naturalmente. Così come sarebbe una fortuna se la Storia avesse fatto conoscere internazionalmente la città che ha prestato il suo nome al ballo.
Non solo tragedie manzoniane, non solo peperoni. Carmagnola è anche rivoluzione.
Fonti:
– http://ontanomagico.altervista.org/carmagnola.htm
– Alberto Bersani, Il bicentenario della Carmagnole. In ‘Ltò almanach (1993)
Video della canzone: https://www.youtube.com/watch?v=ueA-q4zMEMg
Video di ricostruzione della danza da parte di una compagnia teatrale:
https://www.youtube.com/watch?v=6dgJdPBeXRg