The Masche e prodigi naturali
di Giovanni Andriolo
La versione piemontese dei Camini delle Fate della Cappadocia viene dalla Val Maira. Più precisamente, da Costa Pragamonti, località nei pressi del comune di Villar San Costanzo.
Si tratta della Riserva naturale dei Ciciu del Villar, che deve il nome alla sua attrattiva principale: le “colonne di erosione” chiamate appunto Ciciu.
Un appellativo affettuoso – che in piemontese significa pupazzo, fantoccio – per queste sculture morfologiche naturali a forma di fungo, il cui cappello è costituito da un grosso masso e il cui gambo è un ammasso di terra e pietrisco sopravvissuti all’erosione degli agenti atmosferici.
I Ciciu sono un fenomeno geologico ai piedi del Monte San Bernardo, analogo ai Camini delle Fate turchi, alle Meteore greche o ad altri che si possono ammirare in Italia e in diversi paesi del mondo.
Un fenomeno, tuttavia, che nei secoli ha alimentato la fantasia popolare, diventando oggetto di suggestive leggende. E così, i Ciciu sarebbero opera delle Masche, la versione della strega nel folclore piemontese, che di notte farebbero comparire questi grossi funghi di pietra.
Oppure, essi stessi sarebbero Masche pietrificate in seguito a un Sabba interrotto da un temporale. Una versione, quest’ultima, che poco concorda con la tradizione secondo cui le Masche, a differenza delle streghe, non comunicavano con il Demonio e non si dedicavano a Sabba. D’altra parte, le leggende non hanno bisogno di verisimiglianza per destare interesse. Così come avviene in Cappadocia, dove le grandi formazioni coniche sormontate da un masso nella Valle di Göreme diventano opera di creature sovrannaturali, e assumono la denominazione di Camini delle Fate.
La seconda parte del nome del comune che ospita la riserva, tuttavia, introduce una terza leggenda creata nei secoli, che allontana i pupazzi piemontesi dai Camini turchi.
I Ciciu, infatti, sarebbero opera di un miracolo di San Costanzo, legionario romano di religione cristiana che, durante la fuga da alcuni male intenzionati soldati romani , avrebbe maledetto gli inseguitori alle pendici del San Bernardo e li avrebbe trasformati in pietre.
Secondo l’agiografia, infatti, San Costanzo faceva parte della leggendaria Legione Tebea dell’esercito romano, inviata nell’anno 286 dall’Imperatore d’Oriente Diocleziano nel territorio tra Colonia e il versante settentrionale delle Alpi. Cristiani di orgine egiziana, i soldati della Legione si sarebbero rifiutati di uccidere alcuni abitanti dell’attuale Canton Vallese svizzero convertiti al Cristianesimo, scatenando così le ire dell’imperatore d’Occidente Massimiano, che ne avrebbe ordinato la decimazione. Tra i pochi scampati al massacro, Costanzo sarebbe fuggito con alcuni compagni fino alla Val Maira, dove appunto avrebbe pietrificato i suoi inseguitori.
San Costanzo, però, sarebbe stato ucciso qualche anno dopo da altri legionari sul monte San Bernardo, che dal XII secolo ospita l’omonimo santuario, ancora oggi visitabile.
In epoca più recente, tuttavia, gli apporti delle conoscenze scientifiche sono andati integrando le spiegazioni fantastiche sull’origine dei Ciciu.
E così, i geologi spiegano che si tratta di “piramidi di terra” o “colonne di erosione”, ossìa ammassi di detriti alla cui sommità si trova un blocco di gneiss, una roccia compatta. Le teorie sulla loro formazione rendono l’idea dell’eccezionalità di un simile fenomeno. Tra i 15.000 e i 12.000 anni fa, al termine dell’ultima era glaciale, i massi di gneiss si sono staccati dal vicino Monte San Bernardo a seguito di terremoti. Queste pietre sono quindi cadute sugli ammassi di detriti che il Faussimagna, affluente del fiume Maira, stava nel frattempo costruendo alimentato dallo scioglimento dei ghiacciai. In un secondo momento, lo stesso fiume ha eroso gli ammassi di detriti che aveva precedentemente creato. L’azione della pioggia, poi, ha ulteriormente affinato queste piramidi, fino a far loro assumere la forma caratteristica di colonna. A questo punto, le rocce compatte sovrastanti, lo gneiss caduto dal San Bernardo, hanno protetto il corpo dei Ciciu dall’azione erosiva della pioggia, evitandone il disfacimento totale.
Una storia, quella dei Ciciu, che li rende unici al mondo, e li allontana ulteriormente, anche dal punto di vista scientifico, dai Camini delle Fate. Che sono formati da una pietra diversa, il tufo lavico, e sono stati modellati dall’azione erosiva del vento.
Sebbene i cappelli di gneiss abbiano svolto un compito difensivo fondamentale per la sopravvivenza dei Ciciu, ulteriore protezione è giunta in epoche più recenti da parte dell’uomo, quando una legge regionale ha istituito nel 1989 una riserva naturale di 42 ettari, che li racchiude e ancora oggi ne permette la visita.
Nel 2000, il ricercatore dell’Università di Torino Alberto Costamagna ha effettuato una ricognizione dei Ciciu, trovandone 479, isolati o in gruppo, con dimensioni variabili tra il mezzo metro e i dieci metri di altezza, con diametri del gambo tra uno e sette metri, e diametro del cappello che raggiunge gli otto metri. Inoltre, lo studio ha identificato diverse generazioni di colonne di erosione, che si sarebbero pertanto formate in almeno due epoche distinte.
Un vero e proprio patrimonio geologico, che appare oggi adeguatamente tutelato e accessibile al pubblico. I Ciciu, infatti, si possono visitare tutto l’anno attraverso tre percorsi distinti: quello turistico, della durata di 45 minuti, quello escursionistico, che dura due ore e va in direzione del Colle Liretta, e quello sportivo, che permette di utilizzare diversi attezzi ginnici in legno all’interno della Riserva.
L’importanza di proteggere questo tratto di territorio, tuttavia, va oltre la conservazione dei Ciciu. La Riserva infatti è ricca di vegetazione e ospita circa 300 specie floristiche diverse. Sono diffusi nella sua area quercia, castagno, pioppo tremolo, betulla e acero montano. Anche una variegata fauna abita la zona: volpi, cinghiali, caprioli, faine, tassi e scoiattoli, oltre a uccelli come picchio, cincia, falco pellegrino, civetta, allocco e barbagianni.
Piante e alberi non svolgono tuttavia un mero ruolo ornamentale: essi infatti forniscono, con la loro massa e le loro foglie, un’ulteriore protezione ai pupazzi di pietra dall’erosione degli agenti atmosferici.
Un vero e proprio sistema, quello della Riserva dei Ciciu; che malgrado l’età e gli acciacchi svettano ancora oggi ai piedi del Monte San Bernardo e testimoniano, assieme alle leggende che sono andati alimentando, un interessante connubio tra natura, storia e cultura.
Foto di Alberto Costamagna
Articolo pubblicato su Piemonte Mese anno XI n. 7, settembre 2015