Le vignette antisemite sulla “Gazzetta del Popolo”
L’umorismo secondo le leggi razziali
di Vanessa Righettoni
In una vignetta di Amerigo Bartoli sulla “Gazzetta del Popolo” dell’11 settembre 1938, il protagonista, seduto in riva al mare, fissava l’orizzonte chiedendosi: “Per essere rosso è rosso, ma chi sa se questa volta si aprirà?”. Come chiariva il titolo, Avanti al Mar Rosso, si trattava di un ebreo al cospetto di un nuovo e imminente esodo biblico; l’interrogativo, piuttosto disilluso, non lasciava presagire però alcun intervento salvifico in favore dei perseguitati: la svolta razzista dell’Italia fascista era ormai avviata.
Quella di Bartoli fu solo la prima di una serie di immagini antisemite pubblicate sul noto quotidiano torinese tra il settembre 1938 e il gennaio 1939, in perfetta coincidenza con l’emanazione delle leggi razziali. Fu infatti in quei mesi, successivi alla pubblicazione del Manifesto della razza, che si concentrò la violenta campagna antiebraica che coinvolse l’intera stampa italiana, sottoposta al ferreo controllo del Ministero della Cultura Popolare. Fiumi di vignette, racconti e articoli si riversarono sui giornali, restituendo un’immagine degli ebrei carica di stereotipi negativi e infamanti relativi all’usura e all’affarismo o, ancora, alla secolare colpa del deicidio a loro imputata. Ne è un esempio la vignetta di Bartoli “Il sangue suo su noi e su i nostri figli”, che prende il titolo da un versetto del vangelo di Matteo e allude, senza mezzi termini, alle responsabilità ebraiche nell’uccisione di Cristo.
Ma non si sottrassero ai consueti stereotipi antisemiti neppure gli altri disegnatori della “Gazzetta del Popolo”, tutti già attivi nelle principali testate satiriche nazionali: da Augusto Camerini a Livio Apolloni, da Umberto Onorato a Paolo Garretto. In ogni immagine i messaggi razzisti erano infatti veicolati attraverso una rappresentazione dell’ebreo di immediata riconoscibilità, affidata alla puntuale accentuazione di alcuni tipici tratti fisionomici – in particolar modo il naso adunco – riscontrabili nella consolidata tradizione figurativa che va dal Medioevo alle caricature francesi dell’affaire Dreyfus, sino alle illustrazioni di Fips sul settimanale “Der Stürmer” in epoca nazista.
Non doveva dunque stupire vedere l’ebreo Samuele, disegnato da Camerini, spostarsi di vignetta in vignetta intento ad arraffare oggetti usati da rimettere prontamente sul mercato: che fossero gli scarponcini vecchi ripescati in un fiume, i vestiti di uno spaventapasseri o gli ombrelli di alcuni passanti che, impietositi, gli avevano offerto un riparo dalla pioggia. Un umorismo apparentemente più leggero, ma non meno insidioso, che lasciava emergere un’immagine dell’ebreo avido di beni materiali, se pur di scarso valore.
Dalle umili attività di rigatteria si passava poi al ben più redditizio ambito bancario e borsistico, a forte presenza ebraica anche nella città di Torino. Come scriveva la “Gazzetta del Popolo” di agosto: “ci sono nella nostra città 4 banche esclusivamente ebraiche, ma la maggior parte degli Istituti bancari sono costituiti in grandi società anonime, in cui molti sono gli ebrei che hanno funzioni direttive […]”. L’efficacia dell’illustrazione di Apolloni, Nostalgie, stava nell’immediata relazione che si andava a creare tra le figure degli ebrei e l’attività del pastore intento a tosare una pecora, chiara metafora del prestito a interesse e allusione all’usura; era uno dei protagonisti della scena a esclamare infatti: “Ah Salomone, come tutto mi fa ricordare il bel tempo in cui ero consigliere delegato dell’Anonima Operazioni Finanziarie…!”.
Non era un caso che, sulla stessa pagina, fossero ospitate le invettive di Gino Cornabò rivolte agli usurai ebrei. Il personaggio umoristico, nato dalla fantasia di Achille Campanile, si rammaricava dell’introduzione fin troppo tardiva delle leggi razziali in Italia che, per quanto meritevoli, non sarebbero riuscite a impedire la sua rovina; per questo, afflitto, affermava: “Quando arriva un Governo che manda al confino gli strozzini? Quando a me avevano già finito di succhiare il sangue”. Ecco perché gli ebrei non meritavano alcuna pietà: “Poveretti? Un accidente che li spacchi! Mi hanno rovinato l’esistenza […] Io non mi commuovo”.
Gli ebrei sono presentati come persone senza scrupoli che, pur di far quattrini, non esitano ad imbrogliare; basti pensare al protagonista di Samuele fa l’elemosina, sorpreso da Camerini ad elemosinare fingendosi cieco; oppure al caso, ben più grave, dell’oratore ebreo nella vignetta di Bartoli Al congresso degli atei. Al grido di “Testamenti vecchiiii…!”, l’ebreo provava infatti a vendere, anzi svendere, addirittura il libro sacro, in un estremo e disonorevole tentativo di fingersi ateo: il Vecchio Testamento diventava dunque un “testamento vecchio”, una merce di poco valore, al pari di qualsiasi altra mercanzia trattata dai rigattieri ebrei.
L’unico vero culto per gli ebrei, dunque, era il denaro. Persino in un’aula scolastica disegnata da Apolloni risaltava, sulla parete, una grande banconota da mille lire incorniciata; era poi il naso degli scolari ebrei, a forma di numero sei, a chiarire il titolo – Aritmetica a naso – e il senso dell’intera immagine, nella quale lo stereotipo dell’ebreo era legato, oltre che al suo aspetto, alla sua innata abilità nel fare calcoli a fini economici.
In altri casi invece le vignette mostrarono un legame stringente con le vicende di attualità, connesse all’applicazione delle leggi razziali. In particolare nei disegni di Onorato, pubblicati nell’ottobre 1938, si fece sempre più palpabile la preoccupazione per le conseguenze che sarebbero derivate dai provvedimenti: tra gli ebrei ritratti c’era chi ammetteva, tra le lacrime, che stava ormai finendo “la cuccagna”; chi si ossigenava i capelli nel tentativo, certamente ridicolo, di mimetizzarsi; infine, chi, conscio della gravità della situazione, esclamava sconsolato “se il Messia non viene questa volta, ho paura che non verrà più”.
L’impressione era che gli ebrei fossero destinati a scomparire dalla vita attiva all’interno della società italiana tanto che, nelle settimane successive, più di un’illustrazione li vide relegati in spazi differenti: dai carcerati con la divisa a righe disegnati da Apolloni in Samuele ovvero la forza dell’abitudine, a Il Fantasma giudeo di Camerini, confinato nella dimensione del sogno (o meglio dell’incubo). In entrambi i casi l’accusa mossa agli ebrei era sempre la stessa: anche in galera essi non rinunciavano a praticare l’attività finanziaria e, per perseguire i loro obiettivi commerciali, arrivavano a tormentare i possibili clienti finanche nel sonno.
Nel novembre 1938 tutti i giornali nazionali annunciarono ufficialmente la legislazione antiebraica e anche la “Gazzetta del Popolo” pubblicò il testo di legge nel quale si stabiliva il divieto di matrimoni misti tra ariani e persone di altre razze, il divieto per gli ebrei di prestare servizio militare, le limitazioni nella proprietà terriera ed edilizia e le norme sulla scuola: tutti provvedimenti accolti con grande entusiasmo poiché, si spiegava, “il regime, senza adottare provvedimenti vessatori e persecutori, ha saputo con la necessaria energia proteggere la purità biologica e spirituale della razza italiana e insieme tutelare la politica e l’economia dall’influenza ebraica”.
Nella successiva vignetta di Garretto l’ebreo, espulso da un camerata in camicia nera, portava infatti un abito elegante e un cilindro, tipici dell’iconografia dell’ebreo banchiere riscontrabile in molte illustrazioni francesi dell’Ottocento. Il messaggio – “… e salutami tanto i tuoi cari amici delle ‘grandi democrazie’!” – si rivolgeva però, maliziosamente, agli Stati democratici, i quali, a causa delle leggi razziali italiane e tedesche, erano costretti a incaricarsi del problema ebraico: tra essi spiccavano gli Stati Uniti, indicati da Camerini come principali protettori degli ebrei nel suo disegno Dietro l’usbergo.
Era la vignetta All’agguato, firmata da Garretto, a chiudere il ciclo con un riferimento al presunto “complotto giudaico-massonico-comunista” ordito dagli ebrei e dall’Unione Sovietica ai danni del regime fascista. Poco importava se la comunità ebraica italiana era in realtà perfettamente integrata e aveva sostenuto l’Unità d’Italia nel 1861: se l’allineamento alle posizioni naziste non era di facile comprensione, andava comunque sostenuto con ogni mezzo, pagina umoristica compresa.
Per l’analisi dettagliata del ciclo si rimanda a: Vanessa Righettoni, Le vignette antisemite sulla “Gazzetta del Popolo”. 1938-1939, in “L’uomo nero. Materiali per una storia delle arti della modernità”, a. XII, n. 11-12, maggio 2015, pp. 320-339.
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