Di rappresentanza, orti condominiali o luoghi d’arte, i cortili sono importante chiave di lettura della città
di Gloria Guerinoni
Torino è una città barocca. L’evoluzione architettonica e urbanistica voluta dalla dinastia regnante, assecondata da
architetti quali Guarini, Vittozzi, Plantéry, Amedeo di Castellamonte, per terminare con Juvarra e i suoi seguaci, come Martinez, ha creato una struttura unica e in un certo qual senso irripetibile. Da noi, si sa, vige ildecor de la mesure, il lusso non ostentato, così diverso dall’esuberanza barocca degli edifici dell’Italia meridionale. Ciononostante, l’interno di questi palazzi a volte può riservare autentiche sorprese. I cortili che si sono osservati insieme a Elisa Campra, architetto del paesaggio che proprio a Torino si occupa di progettazione di spazi esterni, con un passato dedicato al restauro e al recupero dei giardini storici, ne sono esempio.
Il cortile di Palazzo Saluzzo Paesana, architetto Plantery, movimenta il rigore degli spazi con due imponenti scaloni d’onore che portano al loggiato superiore lasciando presagire l’opulenza degli interni del piano nobile. Così anche la corte di Palazzo Barolo, già Provana di Druent, che dall’ingresso principale situato nell’attuale via delle Orfane raggiunge
Piazza Savoia. È interessante notare che a differenza di residenze aristocratiche situate in altra parte d’Italia, a Torino furono previsti, al piano terra e a volte anche all’interno dei cortili, spazi da reddito. Questo si spiega con la cronica carenza di denaro dell’aristocrazia sabauda costretta a supportare in solido il costo delle continue guerre. In altre città, come Milano o Roma, solo in tempi recentissimi gli spazi esterni dei palazzi aristocratici sono stati affittati a prestigiose boutique della moda o del lusso (via Montenapoleone o via della Spiga a Milano, via Condotti a Roma).
Altro fabbricato squisitamente barocco è palazzo Borsarelli di Settime, ora conosciuto come Palazzo Carpano, in via Maria Vittoria 4 dinnanzi alla chiesa di San Filippo, il cui androne sorretto da quattro leggiadre colonne tortili si affaccia su un delizioso cortile alla cui sommità fu in seguito aggiunta una bassa costruzione destinata alla servitù e alle scuderie. E come non parlare di Palazzo Graneri, già Circolo degli Artisti e ora Circolo dei Lettori, sede durante l’assedio di Torino del
comando delle truppe austro-piemontesi, il cui cortile in acciottolato termina con quattro obelischi? Nel retro del cortile vi era l’albergo Feder da cui partiva il velocifero, la diligenza a cavalli trainata da un tiro a sei che congiungeva con tappe intermedie attraverso il colle del Moncenisio Torino con Chambery. Altro palazzo, Birago di Vische, poi dei marchesi della valle di Pomaro, poi Calvi di Bergolo, possiede un cortile acciottolato scandito da un passa carraio che porta a un’area semicircolare al cui centro si erge un delizioso ninfeo.
Unicocaso torinesedi corte rinascimentale è quella di Palazzo Scaglia di Verrua, affrescata all’interno ed all’esterno, i cui loggiati si affacciano su uno spazio essenzialmente spoglio. In seguito fu creato dai nuovi proprietari un secondo cortile nascosto, un giardino segreto, caratterizzato dall’imponente ippocastano centrale, quasi una citazione dell’albero della vita che sorge in mezzo alla fontana dell’eterna giovinezza del Castello di Fénis.
Argomento a parte sono i cortili del vecchio ghetto situato nel quadrilatero composto tra via Maria Vittoria, Piazza Carlina, via Bogino e via Principe Amedeo, riconoscibili dai portoni di ferro che lo chiudevano ogni sera. I cortili erano affollati di piccole botteghe dove gli abitanti esercitavano le loro attività. In seguito all’editto di Chanforan, voluto da Carlo Alberto nel 1848, che diede libertà di culto ai valdesi e alle atre religioni e permise, tra l’altro, ai cittadini di religione ebraica di possedere proprietà immobiliari, fu edificato con case di
proprietà quello che è impropriamente definito il ghetto nuovo. Un tipico cortile è quello che da via Legnano a via Montevecchio attraversava, quasi fosse una piccola via costellata di botteghe artigiane di ogni genere (ora trasformatesi in elegantissimi loft), i fabbricati situati tra via Lamarmora e Corso Re Umberto.
Con il ritorno della dinastia dall’esilio sardo, monumento esemplare è la Gran Madre sul cui timpano campeggia l’iscrizione Ordo populusque taurinus ob adventum regis. A quell’epoca, siamo nel 1814, ci fu una seconda urbanizzazione che vide la creazione dell’odierna Piazza Vittorio Veneto e del borgo attiguo. Gli edifici di architettura neoclassica erano per lo più destinati ad ambasciate e i cortili echeggiavano il nuovo gusto all’inglese, con prati e giardini.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, con l’industrializzazione, Torino iniziò a diventare una città anche operaia. Fu riqualificato il famigerato Moschino, quartiere malfamato che si estendeva da via Buniva alle rive del Po, e adibito alla nascente industria pesante. Non a caso il quartiere Vanchiglia era nominato Borg del Fumper la presenza di fucine, magli, battilastra e forgiatori. I cortili erano fulcrodi attività, come avvenne anche per il borgo Campidoglio, formatosi attorno alla chiesa di Sant’Alfonso, architetto Verna, e tuttora sede di numerose attività
artigianali, e atélier di artisti. Agli inizi del Novecento ci fu anche una prima iniziativa di edilizia popolare (via Arquata, Corso Rosselli) destinata per lo più a impiegati delle ferrovie. Furono costruiti interi isolati di case con cortili interni spesso tenuti a giardino che davano a bambini e ragazzi luoghi di svago e d’incontro, alternativi alla strada.
E poi c’è l’arte. I cortili potranno essere, adottando un gusto più internazionale, sede d’installazioni floreali e d’arte contemporanea? In tal senso si ricorda come precedente storico il giardino della casa di campagna a Canale di Sandro Dorna, in cui tra sculture di Penone, Mainolfi e altri artisti contemporanei svettava un’opera di Paolini intitolata “I volatili del Beato Angelico”, dono dell’artista all’amico e collezionista.E oggi ilcortile del NumberSix, in via Alfieri 6, è uno spazio tipico dell’architettura settecentesca trasformato inuna sorta di galleria d’artea cielo aperto, con installazioni e led luminosi.