Van Dyck. Pittore di corte
16 novembre 2018 – 17 marzo 2019
Torino, Sale Palatine della Galleria Sabauda
a cura di Lucilla Cremoni
Antoon van Dyck, uno dei maggiori artisti del Seicento, è il protagonista di una delle tre mostre più importanti attualmente in corso a Torino – le altre sono quella sui Macchiaioli alla Gam e quella dedicata ad Armando Testa a Palazzo Chiablese.
Van Dyck è una vera superstar della pittura: il suo nome suona in qualche modo familiare anche a chi non è ferrato in storia dell’arte e magari non saprebbe associarne il nome a qualche quadro preciso o non sarebbe in grado di distinguere i suoi dipinti da quelli di qualche altro grande fiammingo – Rubens, Rembrandt, o uno dei Brueghel, per dire. In questo caso, ci permettiamo un consiglio: avete presente quei magnifici ritratti seicenteschi di re, aristocratici o alti prelati, con sete e broccati, trine e ricami di assoluta perfezione, personaggi pieni di contegno ed eleganza? Ecco, ci sono buone probabilità che siano suoi, visto che Van Dyck non solo fu il pittore di corte per eccellenza, ma fu anche straordinariamente prolifico, autore di centinaia di lavori tra quadri di ogni dimensione, tavole, disegni, incisioni. I suoi lavori si trovano in musei e collezioni di ogni parte del mondo.
Era nato ad Anversa nel 1599 in una prospera famiglia di mercanti fiamminghi, anche se il nonno era stato pittore prima di dedicarsi al commercio della seta. Settimo di dodici figli, fin da bambino mostrò talento per i disegno, così fu mandato a bottega, quella di Hendrik van Balen, dove si fece apprezzare, tanto che cominciò a firmare lavori fin dall’adolescenza e presto si mise in proprio assieme all’amico Jan Brueghel il Giovane. A diciotto anni tornò a fare l’apprendista: la bottega era quella di Pieter Paul Rubens col quale collaborò anche dopo aver acquisito la qualifica di Maestro ed essere entrato nella Gilda di San Luca, cioè la corporazione degli artisti e artigiani di Anversa.
Grazie a Rubens, ma anche alle sue capacità relazionali, si fece un nome e molte conoscenze negli ambienti dell’alta borghesia, dell’aristocrazia e del clero. Fra le conoscenze c’erano il duca di Buckingham (proprio quello che ne I Tre Moschettieri è innamorato della regina di Francia) e Thomas Howard, conte di Arundel, uno dei maggiori collezionisti britannici. Furono proprio loro a convincerlo a trasferirsi alla corte di Giacomo I Stuart dove, oltre a ricevere un vitalizio di cento sterline annue, trovò una libertà creativa decisamente maggiore rispetto a quella di cui disponeva nella (neo)cattolica Anversa, in cui doveva limitarsi ai ritratti convenzionali e ai soggetti sacri. Nonostante fosse legato alla corte, non stentò a ottenere il permesso di compiere un viaggio di alcuni mesi, che diventarono undici anni.
La destinazione ovviamente era l’Italia, dove Antoon ebbe modo di ammirare le opere dei Grandi del XV e XVI secolo, in particolare quelle di Tiziano, per il quale nutriva sconfinata ammirazione. Le lettere di presentazione e la sua fama di “nuovo Rubens” gli aprirono le porte delle grandi casate, a partire da quelle genovesi; a Roma ricevette la medesima accoglienza e molte commissioni di ritratti da parte di alti prelati e aristocratici; analoga fortuna lo accolse a Firenze, Mantova, Parma, Bologna, Venezia, Torino.
Van Dyck non era solo un artista, ma anche un frequentatore dell’alta società, amante della mondanità e delle feste, che oltretutto favorivano e allargavano la rete di contatti e conoscenze. Andò anche a Palermo, dove ritrasse Emanuele Filiberto di Savoia, vicerè per conto di Filippo IV di Spagna, ed eseguì grandi tele a soggetto religioso.
Dopo la lunga parentesi italiana Van Dyck tornò a nord, prima nella città natale e infine a Londra, dove trovò in Carlo Stuart – che aveva già conosciuto all’epoca del primo soggiorno inglese, e nel frattempo era salito al trono come Carlo I – il mecenate perfetto. Il sovrano era un grande appassionato e collezionista (fu lui ad acquistare la collezione dei
Gonzaga), ed era grande ammiratore di Van Dick, che definiva “gloria del mondo”. Gli conferì onorificenze e ricchezze, e lo nominò primo pittore di corte, facendogli eseguire diversi ritratti di sé e della famiglia reale in contesti solenni, come il celebre ritratto equestre in cui Carlo è raffigurato come sovrano, guerriero e cavaliere; oppure di serena vita familiare, come l’altrettanto famoso The Great Peece.
Il risultato è una straordinaria galleria di sovrani e aristocratici: tutti proiettano un’aura di potere, serenità e suprema imperturbabile eleganza che non lascia trasparire nulla delle tempeste sociali e politiche che stavano dilaniando la Gran Bretagna e sarebbero sfociate nella guerra civile con il rovesciamento della monarchia, l’ascesa di Cromwell e la decapitazione del re nel 1649.
Nel 1640 Rubens morì e Van Dyck accettò l’offerta di succedergli nella direzione della bottega di Anversa; ma ricevette
anche la proposta di affrescare le stanze reali del Louvre, e fece un viaggio nelle due città. Il progetto francese non si realizzò, ma nel frattempo Van Dyck si ammalò e tornò a Londra dove morì nonostante il re gli avesse messo a disposizione il suo medico personale al quale promise compensi astronomici per guarire il suo artista preferito. Il ritrattista dei re morì a soli 42 anni e fu sepolto con tutti gli onori nella vecchia cattedrale di St. Paul, che andò completamente distrutta nel grande incendio del 1666.
La mostra torinese propone 45 dipinti e 21 incisioni provenienti da musei italiani ed esteri: National Gallery di Washington, Metropolitan Museum di New York, National Gallery di Londra e Collezione Reale inglese, Scottish National Gallery di Edimburgo, Museo Thyssen-Bornemiza di Madrid, Kunsthistorishes Museum di Vienna, Alte Pinakotek di Monaco, Castello Arcivescovile di Kromeriz presso Praga, Gallerie degli Uffizi, Musei Capitolini di Roma, Ca’ d’Oro di Venezia, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, Palazzo Reale e Musei di Strada Nuova di Genova.
A questi si aggiungono i lavori presenti a Torino. Come scrive la direttrice dei Musei reali di Torino Enrica Pagella, “la mostra dedicata ad Antoon van Dyck punta a valorizzare, attraverso la definizione di un ampio contesto storico e geografico, il nucleo di opere dell’artista presenti nella Galleria Sabauda e illustra i rapporti che legano il pittore alle aristocrazie europee, dalle grandi famiglie genovesi ai duchi di Torino, dalla corte dell’arciduchessa Isabella a Bruxelles a quella di Giacomo I e poi di Carlo I d’Inghilterra. Per loro, e per i personaggi che gravitavano nella loro orbita, Van Dyck dipinse un numero impressionante di ritratti che interpretavano con sensibilità e virtuosismo le esigenze di rappresentanza delle classi regnanti. Alla metà del Settecento, prima di confluire nella Galleria Sabauda, i capolavori torinesi, come il Ritratto equestre di Tommaso di Savoia e I figli di Carlo I d’Inghilterra, dominavano nelle gallerie e nelle sale del Palazzo Reale. L’omaggio al pittore di Anversa diviene così non solo lo strumento per far meglio conoscere le collezioni dei Musei Reali, ma anche l’occasione per riannodare il filo della storia intorno alle trasformazioni della residenza, alle diverse funzioni svolte dai suoi arredi nel corso dei secoli, oltre che ai secolari rapporti politici, economici e culturali che legavano Torino ai Paesi Bassi e alle principali corti d’Europa”.
Scopo della mostra è evidenziare il legame di Van Dyck con le corti del suo tempo, per le quali creò capolavori “unici per elaborazione formale, qualità cromatica, eleganza e dovizia nella resa dei particolari”. Perfetti strumenti per rappresentare il prestigio e lo sfarzo delle élite economiche, le casate aristocratiche, l’alto clero e i regnanti – Savoia, Borbone o Stuart – i quali proprio per questo se lo contendevano. Opere celebrative, perfette nella raffigurazione del dettaglio – gioielli, merletti, tessuti preziosi – e del gesto che diventa vivo e spontaneo, ma sempre di estrema eleganza e compostezza, come nei ritratti della Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo, del Cardinale Guido Bentivoglio,Emanuele Filiberto Principe di Savoia, l’Arciduchessa Isabella Clara Eugenia in abito monastico, Il Principe Tomaso di Savoia Carignano, Carlo I e la Regina Enrichetta Maria.
Grandi e importanti sono i lavori di soggetto mitologico – e i ritratti dei committenti in veste di antichi eroi, ninfe e divinità –
come Giove e Antiope, Amarilli e Mirtillo, Vertumno e Pomona e Venere nella fucina di Vulcano.
La mostra si articola in quattro sezioni, che seguono un andamento cronologico. Quando segue riprende in buona parte i comunicati degli organizzatori della mostra
La prima sezione è dedicata alla formazione del giovane artista e al suo rapporto con Rubens. Dopo l’apprendistato presso l’attivissima bottega di Van Balen, Van Dyck inizia a collaborare con Pieter Paul Rubens, che lo definirà il migliore dei suoi allievi e che ha sulla sua opera una influenza decisiva nell’elaborazione dei suoi modi stilistici. Ma fin dalle prime opere, molto legate allo stile di Rubens, emerge un linguaggio originale e innovativo, caratterizzato da una vena poetica, lirica, che si differenzierà dallo stile epico del maestro.
La seconda sezione riguarda l’attività di Van Dyck in Italia. Il pittore vive e lavora in Italia per sei anni, dal 1621 al 1627. Nelle “regge repubblicane” genovesi si afferma il suo nuovo modo di ritrarre: superbo, raffinato, maestoso e al contempo vivo e fortemente emotivo, confacendosi alle esigenze di celebrazione e ostentazione del ceto aristocratico. Proprio in Italia l’artista crea il suo impalpabile ed elegante linguaggio grazie allo studio dell’arte italiana, in particolare dell’arte veneta e di Tiziano, come provano gli schizzi raccolti nel noto Sketchbook, conservato al British Museum e riprodotto in mostra. Presenti in mostra sono i primi ritratti realizzati in Italia da Van Dyck, capolavori straordinari: il Cardinale Bentivoglio (Firenze, Gallerie degli Uffizi) e la Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo (Washington, National Gallery of Art). Negli anni successivi, l’artista esegue un numero cospicuo di ritratti e affina l’attenzione verso la resa pittorica delle stoffe dai ricami preziosi, l’ambientazione atmosferica e lo studio psicologico dell’effigiato.
La terza sezione è dedicata gli anni anversesi, presso la corte di Isabella Clara Eugenia. Tornato ad Anversa nel 1627, Van Dyck diventa pittore di corte dell’arciduchessa Isabella Clara Eugenia, sostituendo Rubens. Lavora anche per lo stadholderFrederik Hendrik, principe d’Orange, che colleziona molti suoi dipinti tra cui opere a soggetto mitologico come Amarilli e Mirtillo e Teti nella fucina di Vulcano. In questo periodo Van Dyck ritrae molti personaggi dell’ambiente vicino a Isabella, una galleria eccezionale di dipinti e incisioni, queste ultime raccolte nel volume Iconographia. La mostra
ne presentatredici,provenienti dall’Istituto Centrale della Grafica, accanto ad altre otto incisioni da collezione privata. Sono presenti anche i ritratti dell’arciduchessa Isabella in veste monacale, in un confronto tra Van Dyck e Rubens.
La quarta sezione illustra l’attività di Van Dyck presso la corte di Carlo I. Nel 1632 torna definitivamente a Londra – a parte i viaggi a Parigi e Anversa – e in questi anni raggiunge il culmine della fama. Dipinge molti ritratti del re, della regina e dei loro figli (come le due versioni de I tre figli maggiori di Carlo I in mostra) e ritrae anche una quantità di alti personaggi della corte.
La mostra è organizzata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Musei Reali di Torino e dal Gruppo Arthemisia, con il patrocinio di Regione Piemonte e Città di Torino. La cura dell’esposizione è affidata ad Anna Maria Bava e Maria Grazia Bernardini e a un prestigioso comitato scientifico, composto da alcuni tra i più noti studiosi di Van Dyck quali Susan J. Barnes, Piero Boccardo e Christopher Brown.
Sede: Musei Reali – Galleria Sabauda Piazzetta Reale, Torino
Orario: tutti i giorni ore 9-19, ultimo ingresso ore 18. Il lunedì ingresso da via XX Settembre 86, gli altri giorni ingresso da Piazzetta Reale, 1
Biglietti: intero 14 euro, ridotto 12 euro (15-26 anni e maggiori di 65 con documento, portatori di handicap, militari, forze dell’ordine non in servizio, insegnanti, giornalisti non accreditati con regolare tessera, clienti, agenti e dipendenti Generali)
Ridotto Speciale 7 euro (bambini 6-14 anni, volontari Servizio Civile muniti di tesserino)
Gratuito: bambini fino ai 6 anni non compiuti, un accompagnatore per disabile che presenti necessità, giornalisti con tesserino ODG per servizio (previo accredito)
Biglietto combinato Mostra Van Dyck + Musei Reali (da martedì a domenica): intero 20 euro, ridotto 18-25 anni 16 euro, 15-18 anni 12 euro, bambini 6-14 anni 7 euro. Le riduzioni non sono cumulabili
Possibilità di visite guidate, tariffe sul sito
Info e prenotazioni: www.mostravandyck.it