Viaggio nel sottosuolo della Valsesia tra leggende e sorprese zoologiche
di Lorenzo Maria Colombo
Al viaggiatore che, lasciatosi alle spalle la moderna cittadina di Varallo Sesia, percorre la via che dal bivio della Madonna
di Loreto conduce in direzione del Passo della Colma, la zona carsica di Falconera appare come una vertiginosa parete verticale che incombe per un’altezza di oltre trecento metri sulla strada provinciale; ma la roccia apparentemente compatta, sulla quale la luce del sole al tramonto nel discendere verso le lontane cime ghiacciate del Monte Rosa sembra scolpire profili di giganti deformi ed animali mitologici, è in realtà crivellata da un labirinto di grotte, spelonche e cunicoli scavati nel calcare primordiale, sorto milioni di anni fa dal fondale di un oceano perduto.
Meno conosciute rispetto a quelle del vicino monte Fenera, meta abituale di turisti e ragazzini in gita scolastica, le grotte di Falconera sono immerse nel segreto dei boschi sui quali echeggia talvolta il grido del falco pellegrino e mantengono forse di più quell’aura impalpabile e quasi soprannaturale che dona agli avventurosi speleologi la sensazione di inoltrarsi in un regno proibito.
Molte delle aperture sono ben conosciute dai locali, che le hanno battezzate con nomi fantasiosi: la più famosa è la cosiddetta Tana dal Partusac, dove durante l’ultima guerra mondiale si rifugiò un ricercato colpevole di avere ucciso, per questioni di donne, un membro del partito fascista. Eppure, come affermano gli esperti della sezione varallese del Club alpino italiano, è del tutto possibile che esistano ancora numerose spelonche nascoste e mai esplorate. Del resto le mappe qui segnalano spesso, anche nelle grotte più familiari, la presenza di cunicoli troppo stretti per introdurvicisi, o bloccati da smottamenti del terreno, che sprofondano chissà dove nelle profondità inviolate.
L’itinerario più comodo per raggiungere le grotte passa da Civiasco (altitudine 716 metri), antico paese in cui,accanto ai cortili assolati e alle tipiche case di montagna, sorgono eleganti ville in stile moresco, erette dagli emigrati in Spagna esui cui muri si può ancora di tanto in tanto scorgere il raffinato profilo di una dama d’altri tempi affacciata ad una finestra in trompe-l’œil.
Dalla frazione Pian della Valle di Civiasco, nei pressi della cappelletta degli Alpini, parte il sentiero Cai 636b, che tocca punti panoramici tra i più suggestivi della zona: da una parte Varallo col suo Sacro Monte, l’alta Valsesia, il monte Capio e la Massa del Turlo; dall’altra le alture digradanti di Roccapietra coronate da castelli medievali, le propaggini della Val Sessera, la pianura del vercellese e in lontananza, nelle giornate più serene, il Monferrato e le vette remotissime dell’Appennino ligure.
Ma è solo lasciando il sentiero principale e scendendo (con molta prudenza!) a meridione lungo il percorso 652, quasi perpendicolare tra una vegetazione rigogliosissima aggrappata alla roccia scoscesa, che si possono raggiungere alcune delle grotte di Falconera: regni di stillante silenzio dove il fascio di una torcia elettrica illumina d’improvviso il frullare di un
pipistrello o rivela la folle architettura di una concrezione calcarea. Qui ci si addentra in punta di piedi, intimiditi dall’eco, quasi come in una chiesa non costruita da mani umane; è un mondo diverso, inspiegabilmente lontano dal luminoso cielo alpino che pure è là fuori, a pochissimi passi. E si ricordano le innumerevoli leggende che, inevitabilmente, sono fiorite attorno a questi luoghi di grande suggestione: parlano dell’om salvaigu (uomo selvatico) che secondo i montanari di Civiasco abitava un tempo da queste parti e terrorizzava le persone con strane grida; o di una presenza misteriosa che in certe punti delle grotte sembrava portarti via il respiro.
Vi è poi chi sostiene che nel cuore della montagna, raggiungibile solo attraverso un passaggio tenuto gelosamente segreto, si trovino una spelonca molto più grande delle altre ed un enorme lago sotterraneo. Una favola? Forse; eppure, dicono ancora dal Cai di Varallo, forse anche in questa leggenda un fondo di realtà deve esserci, se è vero che l’acqua che gorgoglia dalla famosa Fontana di Mezzo sulla strada provinciale arriva proprio da una mai scoperta sorgente che si trova al di sotto delle grotte esplorate di Falconera, dove di acqua ce n’è stranamente pochissima.
C’è poi la sorprendente storia della “Voragine dei Tre Amici”, e questa non è affatto una leggenda ma pura verità, documentata da abbondanti prove fotografiche: nel 2014 tre persone, durante un sopralluogo per la costruzione della nuova ferrata di Falconera, trovano un albero sradicato dagli abbondanti temporali che quell’estate si sono abbattuti sulla zona. Fra le radici divelte si scorge un buco che scende per diversi metri: è l’entrata di una grotta fino ad allora sconosciuta. Presi dall’entusiasmo della scoperta, i tre non perdono tempo e, muniti delle apposite attrezzature, si calano dentro e iniziano ad esplorare le camere scavate nella roccia. Alla luce delle torce l’antro si rivela non solo un vero e proprio scrigno di interessanti formazioni geologiche, ma anche habitat di una variegatissima microfauna (soprattutto ragni ed insetti) che osserva sorpresa quei grossi bipedi invadere il loro regno segreto. Poi, la vera sorpresa: dal fango si fa lentamente strada in superficie una creatura stranissima, che i tre uomini non hanno assolutamente mai vistoprima. Si tratta di una lumaca, ma di dimensioni straordinarie (approssimativamente venti-venticinque centimetri); e soprattutto, non marrone come le normali limacce da giardino ma di una strana tinta azzurro cielo vagamente traslucida. Uno dei tre si affretta a scattare alcune fotografie al misterioso animale, che poi verranno ampiamente fatte circolare e compariranno anche su una testata giornalistica locale suscitando notevole interesse.
Ad anni di distanza dal ritrovamento il mistero della lumaca blu, lungi dal risolversi, non ha fatto che infittirsi. Animali di quel tipo, asseriscono gli studiosi, non abitano normalmente sulle nostre montagne bensì nella remota regione dei Carpazi; per di più non si tratta di una creatura sotterranea, ma di un invertebrato che vive nel sottobosco di foreste di sempreverdi, mentrela vegetazione di Falconera è composta prevalentemente di alberi a foglie decidue. In una parola: quella lumaca non si sarebbe dovuta trovare lì, eppure c’era. Il mistero attizza la curiosità di molti e non manca chi, con un bel po’ di fantasia, ama citare certe vecchie leggende di passaggi sotterranei che si perdono verso lontananze mai misurate…
il museo di storia naturale “Pietro Calderini” di Varallo, che si è fatto carico dell’onere di sbrogliare l’intricata matassa (fino ad oggi, bisogna dirlo, senza troppo successo), preferisce non sbilanciarsi e attendere i risultati di ulteriori ricerche in merito.
Ma, in fondo, i veri amanti della natura forse preferiscono che il mistero rimanga; preferiscono credere che le grotte di Falconera manterranno per sempre i loro segreti inviolati, muta testimonianza di un Piemonte “altro” che, sotto i nostri piedi, affonda nella vita segreta del pianeta e negli eterni sogni dell’uomo.
Questo articolo ha ricevuto una menzione d’onore alla XII edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Economia, Turismo, Ambiente
Si ringrazia Ferruccio Baravelli per le immagini