Chiara Bergaglio, da Torino agli Emirati Arabi
di Michela Damasco
Expat si nasce, non si diventa. È un piccolo worm (verme, ndr) che ti infetta e non ti molla”.
Lo scrive sul proprio blog (www.labiropenna.it) Chiara Bergaglio, torinese di nascita, expat (espatriata) che “sguazza in un calderone multietnico esplosivo”.
Ha capito che expat si nasce quando ha messo piede a Dubai e si è sentita subito a casa. Tre anni fa, con tre figli, ha seguito il marito ingegnere negli Emirati Arabi, prima a Dubai e poi, dal luglio scorso, ad Abu Dhabi, da dove è corrispondente per la trasmissione di Radio 2 Caterpillar. Da come parla si capisce quanto star ferma nello stesso posto non facesse per lei: “Mi piace scoprire, sapere, conoscere, fare, disfare, ragionare, inventare”. Per questo ha cambiato più volte lavoro, sempre nell’ambito della comunicazione e della cultura, lavorando nel campo della moda (Invicta, KristinaTi, Kappa), poi in quello dei grandi eventi e dello spettacolo (Kinéma), fino a fondare una scuola di circo contemporaneo.
Comunicatrice per scelta, giornalista per caso (“Lo sono diventata quando ho capito che per mio marito era arrivato il tempo di arricchire la sua professionalità viaggiando”), ha sempre sognato di vivere all’estero:“Diciamo – spiega – che non ho seguito mio marito, l’ho spinto! Ovviamente ho dovuto abbandonare ogni prospettiva di carriera “canonica” e mi sono dovuta accontentare di ricominciare da mestieri semplici, per imparare bene la lingua”. Nessun problema, però, con gli Emirati: “Sono un Paese accogliente, oltre che multietnico. Gli expat, cioè noi, gli immigrati, sono l’80% della popolazione, quindi si fa amicizia molto facilmente, perché siamo tutti nella stessa “bagna”, come diciamo noi piemontesi. Soli, spaesati, espatriati per lavorare e garantire un futuro dignitoso ai nostri figli. Ho sempre trovato vicine di casa fantastiche, ho imparato a chiedere aiuto e a offrirne”. Il rovescio della medaglia c’è, ma basta saperne cogliere il lato positivo: “Tutti sappiamo che le nostre amicizie sono transitorie: qui da un giorno all’altro puoi essere trasferito in Burundi. Meglio approfittarne e vivere belle giornate insieme, ché poi la vita chissà dove ti porta”.
Per alcuni, andare e partire con tre figli, e farlo per due volte in tre anni, un po’ faticoso dev’essere. Per altri è addirittura improbo. Nessuna stanchezza, però, nelle parole di Chiara: “Quando ci siamo trasferiti, Matteo frequentava la prima media, Alice era in seconda elementare e Bianca (9 mesi), se la spassava in spiaggia con me”. La scelta di trasferirsi è stata da subito condivisa, quindi ambientarsi non è stato difficile: “Mio marito e io abbiamo sempre lavorato in situazioni che coinvolgevano stranieri e con i bimbi abbiamo viaggiato parecchio. Prima di arrivare negli Emirati abbiamo fatto su e giù dal Brasile per due anni”. Perché, paradossalmente, il passaggio più duro è stato “lasciare Torino, la nostra città, per andare a vivere in Provincia (sul Lago Maggiore, come spiega sul blog, ndr): è stata la prima volta in cui ci siamo trovati soli e abbiamo imparato a contare l’uno sull’altro. I quattro moschettieri e mezzo”.
Le sue giornate sono tutto tranne che piatte: sveglia alle 5.15, preparazione del packed lunch per i “regazzini” (“come li chiama la mia amica romana, la Flami”), colazione “nel silenzio assoluto” guardando Rai News 24. Alle 6.20 sveglia generale, colazioni, divise, “e via, a scuola”. Ore 8: ginnastica, zumba (miscuglio di danze caraibiche e aerobica) o corsetta in lungomare. “A questo punto – prosegue Chiara – sono le 9: ho letto facebook, twitter, i giornali sull’ipad e ho ascoltato il radiogiornale in macchina”. Prima del recupero dei figli da un capo all’altro della città, il tempo lo dedica ad “attività di scoperta mondo e PR”. Poi i compiti, la cena e il letto (“Sono io quella che crolla per prima, ovvio!”): intanto, “ho scritto email, aggiornato il blog, contattato il direttore di Guf News per un meeting, prenotato il dentista e ripassato i verbi in arabo”.
Una vita frenetica, come solo può esserlo quella di una giovane madre di tre figli, in più con tanta voglia di fare. Perché, quando la routine familiare è stabilita, alla compagna di un expat si pone il dilemma: caffè della mamme, club “manidifata”, o anche distribuzione di curricula in giro? Per Chiara, manco a dirlo, la seconda opzione ha vinto. Ha fatto un po’ di tutto: hostess nei convegni, staff di terra alle navi da crociera, insegnante d’italiano in università, maestra nella scuola dei figli. Fino a diventare, ad Abu Dhabi, guida culturale: “Ho preso un tesserino seguendo un corso organizzato dall’Autorità per il turismo e la cultura, che includeva uno studio approfondito dei concetti fondamentali dell’Islam e la storia degli Emirati. Mi contattano quando c’è qualcuno da accompagnare alla scoperta del territorio, turisti, personalità e giornalisti. Ho colleghe molto capaci, preparate, è un lavoro interessante”.
Altre donne italiane (il 10% del totale, però, ci tiene a precisare) le chiedono perché vuole lavorare: lei risponde distribuendo biglietti da visita e infilandosi in ogni tipo di attività culturale. “Buttandosi” e sbaragliando la concorrenza grazie al proprio curriculum, da pochi giorni è anche diventata assistente del direttore del dipartimento arte e insegnante di fotogiornalismo per una scuola inglese, il Brighton College: “Sono molto contenta, perché per un Italiano non è semplice entrare in una scuola inglese che tra l’altro è stata confermata dalle classifiche dei quotidiani british come la più importante scuola privata UK”. Ovviamente, cercherà di conciliare i due lavori e la famiglia.
Il lavoro da guida le piace perché le dà la possibilità di “di conoscere tantissime storie”. L’idea del blog è nata proprio dalle “milleunastoria” che le capitavano tra le mani e si chiama “Labiropenna” per un ricordo personale (“qualche anno fa, in macchina con alcuni colleghi artisti di strada, andando da Torino a Domodossola, ascoltavamo una cassetta di un gruppo senegalese che cantava una canzone che sembrava dire “ti abbiamo portato labiropenna”) e perché “il signor Birò, inventore della penna a sfera nel 1938, era un giornalista: guardando una palla uscire da una pozzanghera e lasciare una scia, mentre si recava al suo giornale, ha avuto un’illuminazione”. Poi, da ottobre, Caterpillar: “Cercavano un corrispondente preparato e simpatico da questa zona ed eccomi qui. Lavoriamo scambiandoci informazioni: se ho una notizia interessante, gliela mando; se ne leggono una loro e hanno bisogno di verifiche in loco e di un commento, mi chiamano. Da quando hanno dato il mio indirizzo twitter vengo continuamente contattata da persone che vogliono espatriare e non sanno da che parte cominciare”.
Lei, invece, sa bene cosa vuol dire. Una vita sui trampoli, la sua. Sui trampoli Chiara ci va, tra l’altro, anche se sono l’unica cosa che non ha portato con sé (“Mi sento già abbastanza in bilico così!”). Piena di energie e vulcanica, ma, del resto, lo era già in Italia: “Sono doti che permettono di vivere intensamente, dovunque. Il coraggio è pianificare il proprio futuro chiedendosi, ogni tanto, se si è felici. E se non lo si è, decidere di cambiare strada. C’è sempre un’alternativa”. La sua, per ora, è ad Abu Dhabi. E l’Italia? “Per il momento non me la sento di tornare, ho ancora tante cose da scoprire qui!”.
Info: www.labiropenna.it