Nuova vita per il Bucintoro dei Savoia
di Gabriella Bernardi
Sette verticale, nove lettere: “Imbarcazione veneta utilizzata per la cerimonia dello sposalizio del mare”. Se avete pensato al Bucintoro la risposta è esatta; ma quello dogale non fu certamente un unicum. Di navi da parata ricche di decorazioni preziose ne furono commissionate diverse dai sovrani o potenti dell’epoca, e dall’Arsenale veneto raggiunsero Francesco I re di Francia, Bartolomeo Colleoni, gli Estensi, i Gonzaga, il procuratore Marco Contarini. Ve ne fu persino una che navigò su un lago bavarese, un’altra il fiume Elba e un paio di maestranze raggiunsero addirittura lo zar Pietro il Grande per una costruzione in loco.
E e i Savoia? Anche loro commissionarono una peota all’Arsenale veneziano rifacendosi all’ultimo Bucintoro dei dogi, costruito e allestito nel 1719 e andato poi distrutto nel 1824. L’esemplare sabaudo giunse a Torino nel 1731 per via fluviale insieme a una gondola, oggi non più conservata, e per oltre un secolo e mezzo ebbe un ruolo fondamentale come strumento di comunicazione del potere regio, figurando come autentico palcoscenico sulle acque nei momenti più rappresentativi del cerimoniale di corte. Con il tempo però gli stili di vita e le mode cambiano e nel 1873 Vittorio Emanuele II donò il Bucintoro alla città di Torino che lo destinò al Museo Civico d’Arte Antica, costituito da pochi anni.
Grazie agli studi condotti in passato da Giovanni Vico, Lorenzo Rovere, Vittorio Viale, fino ai più recenti e specialistici, sono noti i luoghi di costruzione nei cantieri di Burano e di Venezia come pure i nomi dei decoratori, degli intagliatori e dei doratori, legati all’entourage di Antonio Corradini e degli scultori Matteo Calderoni ed Egidio Goyel.
Queste ed altre informazioni sono emerse durante le giornate del 22 e 23 marzo 2012 del convegno internazionale Il Bucintoro dei Savoia, promosso e organizzato presso il Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”. Due giorni di approfondimento storico-artistico, costruttivo, conservativo ed espositivo da cui è emerso che il Bucintoro è un esempio singolarmente significativo per la storia delle imbarcazioni di parata e per la cultura artistica del Settecento italiano, e quello appartenuto ai Savoia risulta oggi esemplare per molti motivi. Da tempo, infatti, è oggetto di studio non solo tra gli specialisti della storia della cultura artistica del XVIII secolo, ma anche tra gli studiosi internazionali di storia e tecnica navale. La “reggia galleggiante”, come viene definita dagli studi, è attualmente l’unico esemplare conservatosi di imbarcazione antica di uso cerimoniale e la cosa di per sé spiega l’elevato interesse.
Misura 16 metri di lunghezza, con una prua alta un metro e mezzo, ed essendo un’imbarcazione adibita allo svago e alla parata vennero inseriti da artisti e artigiani decori come sculture, intagli, dorature, pitture e arazzi. Si nota la figura di Narciso che si riflette nell’acqua sottostante mentre ai lati sono scolpite due altre figure adagiate rappresentanti i fiumi Po e Adige. Fregi con tritoni e ninfe marine corrono lungo i lati e si uniscono in corrispondenza di due putti che cavalcano cavalli marini a poppa. L’oro delle sculture è bilanciato dal vermiglio dello strato di fondi e dal nero della parte inferiore dello scafo. Un ambiente coperto, il tiemo, si innalza centralmente, utilizzato per accogliere gli ospiti reali.
La storia dell’imbarcazione ebbe inizio con il suo viaggio di 32 giorni da Venezia lungo il Po per arrivare a Torino il 2 agosto 1731, un viaggio ricostruito attraverso i documenti custoditi nell’Archivio di Stato di Torino.
Al suo arrivo approdò al Castello del Valentino dove era stato allestito un apposito capanno a fianco della facciata e qui, dopo aver svolto il suo ruolo, rimase fino al 1869. Però con l’insediamento della Regia Scuola di
Applicazione per gli Ingegneri nelle sale del castello si manifestò l’esigenza di liberare il capanno e consentire la costruzione di un nuovo edificio per le attività didattiche legate all’idraulica. Così La Real Casa diede la peota in consegna al Municipio e nel 1873 l’imbarcazione fu inventariata tra le collezioni del Museo Civico e allestita in un fabbricato appositamente costruito nella prima sede del museo, che si trovava in Via Gaudenzio Ferrari 1.
La sua unicità, la qualità delle sculture e delle decorazioni, la sua funzione di barca da parata e la spettacolarità ne fecero una delle opere più apprezzate del percorso espositivo, e con il trasferimento del Museo a Palazzo Madama nel 1934 il Bucintoro trovò posto al piano terreno nella Corte medievale. Prima del suo ricovero nel laboratorio Nicola di Aramengo d’Asti nel 2000 in seguito alla chiusura di Palazzo Madama, la barca lasciò l’edificio in due sole occasioni: per la Mostra del Barocco del 1937 allestita a Palazzo Carignano, e per la mostra mercato dell’antiquariato di Palazzo Nervi del 1982.
Più controversa e intricata è la storia della committenza, attribuita sinora a Carlo Emanuele III; nei manoscritti si trova la richiesta di lasciapassare sul fiume Po del 30 giugno 1731 e l’ordine di pagamento di 21.500 lire piemontesi datata 11 febbraio 1732. È altresì noto come Filippo Juvarra abbia contribuito a stabilire l’importo da pagarsi per la fabbrica del Bucintoro di 13.608 lire e 500 lire di regalo all’architetto, e di una gondola costata 2.120 lire, per un totale di 16.228 lire sabaude. L’insieme dei documenti però non restituisce alcuna indicazione sugli avvenimenti precedenti la partenza da Venezia e conferma l’assenza di una commissione scritta. Poiché il pagamento del Bucintoro del 1732 proviene dalla Gabella del Tabacco, l’analisi è proseguita nei relativi fondi economici. La ricerca ha dato risultati inattesi e prova la committenza nell’agosto 1729, nonché il pagamento al
padre agostiniano Cristoforo Ceccati di una enorme somma di denaro. Il costo effettivo è superiore alle 34.000 lire, come restituito in una delle lettere del noto fondo torinese; il pagamento attraverso la Gabella del Tabacco avrebbe assicurato anche lo svolgersi dell’impresa in assoluta segretezza, come riportato in un’altra lettera della stessa documentazione. Dai fondi del tabacco si comprende come padre Ceccati lasci Torino nel 1729 dopo aver ricevuto sette di dieci annualità da 5.000 lire ciascuna, riconosciute dal re a padre Cristoforo per la fruttuosa opera prestata a beneficio delle regie finanze, con l’implicito accordo che le 15.000 lire mancanti sarebbero state rimborsate nella forma di un pagamento ufficiale del Bucintoro, all’arrivo dell’imbarcazione a Torino. Nell’agosto 1731, un colpo di scena: mentre il Bucintoro è rimorchiato verso Torino, la morte coglie improvvisamente il religioso a Milano, nel convento del proprio ordine. Alla sua morte emerge tra i possibili eredi una disputa giuridica in merito al pagamento della somma attesa: i frati agostiniani, se l’importo speso è considerato come denaro personale del defunto, oppure il fratello mercante Bonaventura, se si prova che è stato invece utilizzato denaro riconducibile alla ditta familiare. La stima di Juvarra non ha altro scopo se non quello di fornire un conto falso da utilizzarsi nella costruzione di un’opportuna definizione della questione finanziaria a favore del fratello. Fatti provati attraverso la ricostruzione a calcolo sia del conto fittizio del Bucintoro sia di quello reale in esso nascosto, supportata da venti tavole esplicative basate sui dati del fondo.
Juvarra avrà un ruolo ben più importante nella costruzione dell’imbarcazione, consono alla sua attività istituzionale, infatti, all’inizio di febbraio del 1729 è a Venezia, proveniente da Brescia, e vedrà l’Arsenale come provato dai suoi disegni datati 1729 conservati nelle collezioni di Chatsworth House e ancora inediti.
Una volta provata la committenza del Bucintoro da parte di Vittorio Amedeo II, restano molti quesiti da risolvere, principalmente relativi al significato da attribuire all’imbarcazione. È inevitabile domandarsi perché un sovrano così oculato abbia speso una cifra tanto ingente per un’imbarcazione sfarzosa destinata a un utilizzo limitato, visto che la documentazione sul barcheggiare non abbonda alla corte di Savoia. In parte la risposta risiede in quanto è stato già scritto sul sovrano e sulla sua epoca da studiosi di varie discipline, e collegando il Bucintoro alla volontà di rappresentare sull’acqua la potenza di un regno da poco diventato tale e a cui il possesso della Sardegna dava il sospirato affaccio sul mare. Inoltre, il progetto iconografico complessivo è indice della volontà di celebrare la continuità di una dinastia legalmente indipendente, anche se non reale. Infine, l’immagine di Narciso a prua offre una chiave di lettura anche come volontà di rappresentare l’abdicazione di Vittorio Amedeo II in favore del figlio, azione già presa in considerazione all’epoca della committenza.
Ma come accade a volte nelle vicende dei potenti che sono anche vicende umane, la petite histoire del Bucintoro incrocia le vie della Storia. Un possibile anticipo dell’abdicazione del 3 settembre 1730, immediatamente seguito dall’esilio volontario a Chambéry del vecchio sovrano, il suo ritorno a fine agosto dell’anno seguente ed il successivo imprigionamento del 28 settembre 1731 impongono a Carlo Emanuele III l’utilizzo dell’imbarcazione ufficialmente motivato come divertimento, ma in realtà chiara dimostrazione di centralità e controllo del potere.
Oggi il Bucintoro è in comodato alla Reggia di Venaria, dove verrà esposto al termine del minuzioso restauro, finanziato dalla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino e affidato al giovane Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”.