Gestire un mulino comunale in Piemonte fra Sette e Ottocento. Il caso di Bobbio Pellice
di Emanuela Genre
Nei secoli dell’età moderna i mulini rappresentarono, anche per i piccoli centri abitati delle vallate piemontesi, una risorsa non solo importante dal punto di vista economico, ma fondamentale per la sopravvivenza stessa della comunità. Con il lavoro svolto dalle loro macine, infatti, i chicchi di cereali ottenuti dalle colture locali erano trasformati in farina, ed era dunque garantita una delle basi dell’alimentazione quotidiana, in cui il pane ricopriva un ruolo di primaria importanza.
Non tutti i mulini erano però gestiti secondo le stesse modalità; una prima grande differenza si riscontra ad esempio tra quelli privati e quelli comunali: e se dei primi è difficile trovare materiale documentario, dei secondi si sono conservate in molti casi testimonianze interessanti. A Bobbio Pellice, un piccolo paese all’estremità occidentale delle Alpi piemontesi nell’Alta Val Pellice, la grande maggioranza delle notizie sui mulini di proprietà pubblica si trova nell’Archivio Storico del Municipio.
Là sono conservate testimonianze che, seppur sparse tra documenti di natura molto varia, consentono di capire in che modo il Comune gestisse il mulino di sua proprietà, anche se dalla stesura di alcuni atti sono ormai trascorsi più di tre secoli. Risalgono infatti all’inizio del XVIII secolo i documenti più antichi riguardanti il mulino situato nel capoluogo di Bobbio Pellice, e consistono in alcuni contratti tramite cui il Comune affidava la gestione dell’edificio ad un privato per un determinato lasso di tempo. Nello specifico, l’assegnazione veniva effettuata nel corso di aste pubbliche annunciate da un segretario al suono del tamburo e tramite avviso pubblicato all’albo pretorio.
Leggendo i contratti d’affitto che si sono conservati, il più antico dei quali risale al 1703, apprendiamo che il mugnaio durava in carica tre anni, e per ognuno di essi doveva versare nelle casse comunali una quantità prestabilita di cereali, tipicamente di segale e frumento.
In mancanza di ulteriori documenti, non sappiamo se queste fossero le coltivazioni più diffuse a Bobbio Pellice, né se l’affitto che il mugnaio doveva corrispondere al Comune fosse ragionevole o spropositato. Il fatto però che solo alcuni anni più tardi la quota di cereali richiesta all’affittuario sia stata notevolmente ridotta porta a credere che vi fossero difficoltà a trovare qualcuno che provvedesse alla gestione del mulino.
Ma oltre ai dettagli sin qui ricordati, vale ancora la pena di spendere alcune parole sulla procedura seguita nel corso dell’asta per l’individuazione della persona che si sarebbe occupata del corretto funzionamento dell’edificio. Nei documenti sopra citati, risalenti al primo decennio del XVIII secolo, a tal proposito si legge solamente: “si come miglior oblatore si sia statto quello all’estinto della candela delliberato (Archivio Storico del Comune di Bobbio Pellice, faldone 91, cartella 2).
Si tratta infatti di contratti di affitto redatti ad asta conclusa, in cui lo scrivente non riteneva necessario riportare i passaggi che avevano portato alla nomina del mugnaio.
Per avere maggiori informazioni a riguardo, è necessario esaminare un verbale di assegnazione datato alla prima metà del XIX secolo, il quale ripercorre l’asta fase per fase:
“Mentre che la prima candela era accesa Mondon Giuseppe fu Giuseppe di questo luogo ha fatto partito sul prezzo di lire quattro cento sei, su qual partito si è resa [??] d.a prima candela, fattasi accendere la seconda, e rinnovatisi dal d.o po[?]t li proclami, ed inviti, nel modo, a forma avanti espressi, e migliore il Partito di d.o Mondon in lire quattro cento sei Stoppa Giuseppe ha offerto la somma di lire quattro cento sette, Artus David quella di lire quattro cento otto, su qual partito si è estinta d.a seconda candela, fattasi accendere la terza e rinnovatisi dal d.o serviente li proclami ed inviti nel modo, e forma avanti espressi, Bastia Bartolomeo ha offerto la somma di lire quattro cento nove, Mondon Giuseppe quella di lire quattro cento dieci su qual partito si è estinta detta terza candela, fattasi accendere la quarta, e rinnovatisi dal d.o serviente li proclami, ed inviti nel modo, e forma avanti esposti, e migliorar il Partito di d.o Mondon in lire quattrocento dieci, Stoppa Giuseppe ha offerto la somma di lire quattro cento dodici su qual partito si è [?]a estinta detta quarta candela, fattasi accendere la quinta, e rinnovatisi dal d.o messo giurato li proclami, ed inviti come sovra a chiunque volente migliorare il partito fatto dal detto Artus David in lire quattro cento dodici nonostante li vari, e replicati inviti si è estinta d.a quarta candela, senza che siavi più comparso verun offerente, perciò per parte di questa com.tà sonosi deliberati, e si deliberano li detti molini al suddetto Artus David” (Archivio Storico del Comune di Bobbio Pellice, faldone 91, cartella 2).
Come si legge nel brano citato, all’apertura dell’asta veniva accesa una candela in presenza degli interessati all’affitto, i quali potevano presentare le loro proposte economiche sino al completo scioglimento della cera. A quel punto, se vi era stata più di un’offerta si sarebbe proceduto con l’accensione di una seconda candela e così via, sino a che l’ultima non si fosse consumata “vergine”, ossia senza che nessun partecipante avesse presentato alcuna offerta. Solo allora l’asta sarebbe stata dichiarata chiusa e il mulino sarebbe stato aggiudicato in affitto al miglior offerente.
Il fatto che nel passaggio appena riportato si sia arrivati ad accendere la quinta candela prima di individuare il vincitore dell’asta non deve tuttavia trarre in inganno: spesso a Bobbio Pellice l’amministrazione comunale aveva serie difficoltà a trovare la persona disposta a svolgere l’attività di mugnaio, e non era raro che le aste andassero deserte.
Purtroppo, basando le osservazioni sul materiale sin qui rintracciato, non è possibile avanzare ipotesi sulle cause di questa reticenza a proporsi come mugnaio comunale e, al contrario, della relativa fortuna registrata in alcuni brevi periodi quali i primi decenni del XIX secolo, quando l’alta Val Pellice era governata dalla Francia e in alcuni casi si dovettero accendere oltre dieci candele prima di poter chiudere l’asta.
Sorprende tuttavia osservare come alcuni vocaboli utilizzati nei contratti risalenti ai secoli precedenti ritornino inaspettatamente anche nei documenti dell’ultimo decennio, quando il mulino di Bobbio Pellice è stato ristrutturato ed ora è di nuovo aperto al pubblico in alcune date prestabilite.
Ovviamente, il valore attribuito all’edificio è cambiato, dal momento che non si tratta più di un’attività economica quanto piuttosto di una risorsa di carattere turistico-culturale, ma proprio per questo stupisce constatare come espressioni quali “problemi di affidamento” e “difficoltà di gestione” ricorrano sia nei contratti del XVIII secolo sia negli atti riguardanti il recente restauro.
E se un tempo l’eventuale assenza di un mugnaio avrebbe messo in pericolo la sopravvivenza stessa della comunità, in quanto i bobbiesi avrebbero dovuto rivolgersi altrove per ottenere la farina dai loro cereali, oggi le conseguenze dell’assenza di una persona che si occupi del mulino sono per certi versi meno gravi; va però detto che la chiusura di una risorsa di tal genere significherebbe la perdita di un pezzo della storia di Bobbio Pellice, di un tassello importante dell’identità comunitaria di questo paese che non potrebbe più essere recuperato in altro modo.
Questo articolo ha ricevuto una menzione alla IX edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura