Una comunità e il suo teatro
I 140 anni del teatro di Balmuccia
di Carlotta Tonco
Lo hanno voluto, finanziato, costruito, arredato e decorato. Nel corso degli anni se ne sono presi cura come fosse un
componente di famiglia dandogli i mezzi per spiccare il volo. Lui, per loro, è stato un sogno che si è realizzato, ma non solo; è diventato con il passare del tempo un luogo di incontro, uno spazio dove ci si è commossi, ci si è divertiti, ci si è conosciuti e forse ci si è anche innamorati. Un luogo dove con il passare del tempo ogni cittadino si è sentito parte di un tutto fino agli anni Sessanta, quando un lento declino ha inghiottito la struttura. Nel 2004 però un giovane del paese, sentiti i racconti su quel teatro, si è adoperato per farlo rinascere e così nel 2008 come una fenice è risorto dalle sue ceneri.
Questi i primi centoquarant’anni di storia del teatro di Balmuccia. Ma partiamo da principio.
La struttura, che sorge all’inizio del paese montano in provincia di Vercelli, fu eretta su iniziativa di un gruppo di cittadini fuori dall’ordinario che si riunirono il 13 marzo del 1877 in Comune. Diedero vita alla “Società dei dilettanti filodrammatici” che si pose un obiettivo preciso: raccogliere fondi per la costruzione di un teatro.
Il consiglio direttivo creò dei blocchetti di azioni, ognuna del valore di venti lire. I cittadini di Balmuccia di età superiore ai diciotto anni anche con una sola matrice diventavano soci della Società balmuccese contribuendo alla Fabbrica del Teatro, come si legge nel regolamento conservato nell’archivio comunale.
Si iniziò a far redigere un progetto con due ingressi, uno per gli attori e uno per il pubblico. Una volta registrate le pratiche burocratiche a Varallo, gli addetti cominciarono a costruire e nel tempo record di due anni il teatro venne edificato.
Eretti i muri e completato il tetto, mancava ancora qualcosa per dare il via alle rappresentazioni: era necessario trovare costumi per gli attori e arredi per riprodurre la finzione scenica. E così, di nuovo, i cittadini scesero in campo con gli strumenti a loro disposizione: chi offrì le tavole di legno per realizzare la scenografia, chi, amante del disegno, cercò di ricreare i fondali per le opere da mettere in scena; altri diedero copricapo dei più vari, da quelli logori dei parenti defunti a quelli più preziosi custoditi in apposite cappelliere. Qualcuno infine regalò baionette, portamonete e abiti che aveva in casa.
Nel 1879 il botteghino cominciò a staccare i primi biglietti e gli attori iniziarono ad animare il teatro. Non fu da record solo il tempo di costruzione dell’edificio, ma anche il numero di spettacoli messi in scena. Solo nell’anno di apertura, infatti, furono rappresentate cinque opere teatrali tra commedie e tragedie.
Nel corso del tempo il palcoscenico di Balmuccia acquistò crescente celebrità tra le compagnie teatrali. Lo testimonia uno dei pannelli delle quinte. Si tratta di uno spazio che potrebbe essere interpretato come un antecedente della nota Walk of Fame hollywoodiana. Sul pannello, visibile solo da chi recita, le compagnie hanno lasciato traccia dell’anno e dell’opera messa in scena. In alcuni casi è stato anche scritto a mano il nome dei gruppi teatrali. Tra il 1914 e il 1915, ad esempio, sono stati rappresentati Il Cieco e Il Maledetto; proseguendo nella fitta foresta di scritte emerge La gerla di Papà Martin presentata il 4 aprile 1920. E ancora, la compagnia “I cospiratori” propose Giulietta Fioroni il 16 gennaio 1925. Le date arrivano fino al 1952 con l’unico riferimento a “Antonietti Ada”.
L’età dell’oro del teatro però era destinata ad avviarsi ad un lento declino. “La Società filodrammatica negli anni Sessanta dovette fare i conti con una serie di problematiche, prima tra tutte il mancato ricambio generazionale: i soci, divenuti anziani e poi deceduti, non furono sostituiti da altri giovani proprio perché il tasso di nascite fu particolarmente basso e così, con il passare del tempo, divenne sempre più difficile gestire il tutto”, spiega Moreno Uffredi, giovane cresciuto in paese e ora sindaco. “Quando la situazione degenerò, si decise di sospendere le rappresentazioni e chiudere definitivamente la struttura”.
Passarono una quarantina d’anni di silenzio per il palcoscenico: la platea perse i sorrisi e le emozioni dei tanti; i muri della galleria iniziarono a sentire i danni dell’umidità. Del botteghino rimase il ricordo di quel signore che nelle sere degli spettacoli vendeva i biglietti agli amanti delle commedie e delle tragedie; i costumi e le scenografie iniziarono a deteriorarsi.
Il letargo però non fu eterno. Nel 2004 Uffredi decise di rimettere piede all’interno di quella storica struttura che per molto tempo era stata il cuore pulsante di un intero paese. “Prima di me già altri avevano pensato di riqualificare questo edificio ma per una serie di motivi non ci fu un’iniziativa concreta”, sottolinea. “Ricordo il giorno in cui entrai in teatro dopo la lunga chiusura: il quadro non era dei migliori, il tempo aveva segnato l’interno dell’edificio, i pannelli, e i sedili della platea necessitavano di un intervento, il dipinto del soffitto richiedeva un restauro. Così decisi di iniziare una mobilitazione, lunga e impegnativa, ma che portò a grandi risultati. Grazie all’appoggio di una serie di enti, tra cui il Comune di Balmuccia, la Regione Piemonte, alcune fondazioni e la Comunità montana si riuscì a ridare vita a quel piccolo gioiello prezioso”.
Conservando i motivi storici e attenendosi ai principi dettati dalla Soprintendenza ai Beni Culturali, nell’arco di quatto anni venne riqualificato l’immobile e nel 2008 si arrivò al fatidico taglio del nastro.
Da allora le poltrone della platea ricominciarono a riempirsi; le compagnie valsesiane e valsesserine, ma anche le formazioni provenienti da diverse realtà lombarde e piemontesi risalirono in scena commuovendo e facendo sorridere gli spettatori.
E la storia oggi sta proseguendo. Nonostante le difficoltà economiche che la comunità di Balmuccia, come tutta l’Italia, sta affrontando, cinque compagnie hanno iniziato a gennaio 2018 ad esibirsi sul palcoscenico ottocentesco. Provengono da paesi limitrofi ma anche da altre parti del Piemonte e sono formate da giovani e adulti, senza limiti di età.
Tutti loro hanno osato scommettere ancora una volta su quella struttura che gli abitanti di Balmuccia realizzarono oltre un secolo fa.
Questo articolo ha vinto la XI edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura