gli ottant’anni di “Madre Elvira” e la sua Comunità Cenacolo
di Krizia Ribotta
SALUZZO – “Sono una donna che non ha mai pensato di imparare a leggere e a studiare per poter insegnare all’altro, per ‘fare’ la carità. La carità è la mia vita, è il dono di me stessa, il dono della mia gioia per un sì a Dio sempre più vero e appassionato”: così si racconta suor Elvira Petrozzi, conosciuta in tutto il mondo per aver fondato la Comunità Cenacolo, un centro di accoglienza per i tossicodipendenti.
Originaria del Lazio, Rita Agnese, nome con cui è registrata all’anagrafe, nasce il 21 gennaio 1937, e durante la seconda guerra mondiale lascia Sora per trasferirsi, con la sua famiglia, ad Alessandria, in Piemonte. Fin da ragazza vive nel nome della misericordia ed inizia un rapporto stretto con la fede cattolica, che la porta poi a dire, poco più avanti: “Che bella la povertà, perché è sinonimo di libertà! Ci siamo noi prima delle cose, prima della ricchezza, prima delle ambizioni”. Riflessioni, queste, ben lontane dalla spensieratezza di una diciannovenne nel pieno dei suoi anni, e che la spingono a lasciare il fidanzato, facendole realizzare che un amore in esclusiva con un uomo è qualcosa che non fa per lei. L’unico che sente di amare davvero e con il quale può sposarsi è Gesù: inizia così il suo percorso da religiosa, entrando nel convento di Santa Giovanna Antida Thouret, a Borgaro Torinese, dove diventa suor Elvira.
All’età di 46 anni capisce che Dio vuole affidarle una missione importante, qualcosa a cui lei, forse, non si sente pronta: i drogati, gli sbandati, quei giovani che, senza accorgersene, stanno per buttare la loro vita nel circolo vizioso della perdizione. Apre così, il 16 luglio 1983, sulle colline di Saluzzo, un piccolo borgo in provincia di Cuneo, un centro di riabilitazione che chiama Comunità Cenacolo. Non una semplice casa di accoglienza, ma una vera e propria “famiglia fondata sulla fede, dove l’uomo ferito può incontrare un amore che lo accolga gratuitamente”.
Così Madre Elvira, come viene chiamata dalle consorelle e dai suoi ragazzi, descrive ancora oggi, con una luce accesa nei suoi occhi vispi, il centro di recupero conosciuto come “Casa Madre”. Perché quella che regna sovrana sulla capitale del Marchesato, dopo pochi anni viene riprodotta in altre città italiane ed europee, regalando speranza e gioia di vivere a centinaia di giovani.
Lo stile di vita, gli insegnamenti ed il percorso di conversione che la “suora dei drogati” insegna, fa sì che, nel 1998, arrivi il primo riconoscimento ecclesiale, a livello diocesano, a cui segue, nel 2009, quello del Pontificio Consiglio per i Laici, che definisce la Comunità “Associazione privata internazionale di fedeli di diritto pontificio”.
Ma non solo: lo spirito di iniziativa di questa persona vulcanica fa innamorare il mondo, tant’è che oggi sono oltre 60 le case sparse in ben 18 Paesi, dalla Spagna al Sud America, passando per la Bosnia-Erzegovina. Ed è proprio a Medjugorje che, in occasione della Festa dei Giovani, la “Madre Teresa piemontese” e il suo gruppo raccontano le loro testimonianze di fede e portano in scena i loro recital. Come una vera forza della natura, eccola che canta e balla, gridando a piena voce che la vita è un dono che non va sprecato. Tante le persone, credenti e non, che rimangono affascinate da questa donna con il velo che trasmette amore per Cristo, per la misericordia e per la fratellanza.
Una Evira che si rivela maestra pratica nella quotidianità e non solo nella teoria spirituale, come molti dei trentenni la ricordano a Saluzzo. Loro, ai tempi delle elementari, la incontravano al mattino, a piedi, che scendeva dalla collina con i suoi “discepoli” per partecipare alla Messa nella chiesa di San Giovanni. Una mezz’oretta di cammino, anche negli inverni rigidi con abbondanti nevicate, sempre a recitare il Santo Rosario, distraendosi solo per pochi secondi per salutare i bambini per strada. “Studia bene, che la vita è tosta!”: è questo che rispondeva ad un semplice “ciao”, lasciando un ricordo prezioso a chi, all’epoca, imparava le tabelline e la divisione in sillabe.
Consigli preziosi da una suora dai toni austeri, che non si limita ad offrire vitto e alloggio ai tossicodipendenti, ma da cui pretende impegno fin dalle prime luci dell’alba: sveglia alle 6 per la preghiera, poi al lavoro, nei laboratori del legno, nell’orto e in cucina per preparare il pane. Perché le sue comunità non sono centri terapeutici, ma vere e proprie “scuole di riabilitazione”.
La più grande soddisfazione di Madre Elvira? La Festa della Vita, il festival annuale che si svolge, da quasi due decenni, sulle colline del Marchesato, richiamando i membri di tutte le Comunità del mondo, a rendere grazie alla vita. Un successo che ogni anno sembra essere sempre maggiore, con un programma fitto di interventi, momenti spirituali e di riflessione, e testimonianze preziose. Sorrisi ovunque, gente che si saluta in diverse lingue, colori sgargianti che rappresentano metaforicamente la rinascita, canti di chiesa improvvisati a cappella. E i recital, rigorosamente sempre due: uno, Credo, che raccoglie i momenti salienti della vita di Cristo, l’altro che cambia di anno in anno in base al tema scelto. Per l’ultima edizione, svoltasi la scorsa estate e basata sulla Misericordia (in linea con il giubileo straordinario voluto da Papa Francesco), la Comunità Cenacolo porta in scena Il figliol prodigo in chiave moderna. Le scene del Vangelo si alternano a quadri della società odierna, quasi a sottolineare quanto, al giorno d’oggi, la ricchezza, l’apparenza e i valori frivoli incarnino la tentazione camuffata da superficialità.
Edizione, quella del 2016, diversa da quelle passate: manca infatti proprio lei, Suor Elvira, per motivi di salute. La tanta fatica degli ultimi tempi e le continue testimonianze in giro per il mondo l’hanno stancata, e il peso degli anni inizia a farsi sentire anche per lei. Ha bisogno di meritato riposo, e trascorre le sue giornate nella Casa di Formazione delle Suore Missionarie della Risurrezione di Pagno, a pochi chilometri da Saluzzo. Ma lei non molla la sua “famiglia”, e il primo giorno della Festa, seppure in sedia a rotelle, vuole essere presente per l’apertura della Porta Santa da parte dal vescovo della diocesi, Monsignor Giuseppe Guerrini. Quella stessa porta che lei, 33 anni fa, ha spalancato ai più bisognosi. Debole e di poche parole, la suora dei drogati è applaudita da centinaia di persone, che ha ringraziato nel modo migliore possibile: sfoggiando un gran sorriso.
E a chi chiede di poterla intervistare, si limita a rispondere una tra le sue frasi celebri, presente in tutti i libri che ha pubblicato: “Sono sposata felicemente, ormai da tanti anni, con il Figlio del falegname di Nazareth, di professione anche lui carpentiere, e ogni giorno di più, camminando con Lui in una novità perenne di gioia, sto scoprendo che servire è regnare. Non c’è regno più affascinante, più grande, più stupendo, più ricco del cuore dell’uomo”.
Questo articolo ha ricevuto una menzione alla X edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura