Affreschi sindonici in Piemonte
di Generoso Urciuoli
La storia della Sindone di Torino è un intreccio di avvenimenti senza pari. Una storia sempre al limite. Una reliquia o un’icona? Un elemento straordinario o un falso?
Come in tutte le storie interessanti, il quadro è variegato ed è composto da protagonisti principali e da quelli secondari. Nella vicenda della Sindone di Torino, il protagonista principale è l’oggetto stesso con l’immagine impressa su di esso che la tradizione attribuisce a Gesù e per tal motivo il lenzuolo funerario è considerato come la più sacra delle reliquie; nel ruolo di protagoniste secondarie troviamo le diverse rappresentazioni del lino.
Giovanni Paolo II definì la Sindone “insigne reliquia legata al mistero della nostra Redenzione“. Una frase che fu proclamata dal papa polacco domenica 13 aprile 1980, a Torino, durante una visita ufficiale nel capoluogo pedemontano, “città, ripeté in un successivo discorso, che custodisce una reliquia insolita e misteriosa come la sacra Sindone, singolarissimo testimone, se accettiamo gli argomenti di tanti scienziati, della Pasqua: della passione, della morte e della Risurrezione. Testimone muto, ma nello stesso tempo sorprendentemente eloquente!”.
La Sindone, all’epoca della dichiarazione sopra riportata, era ancora di proprietà dei Savoia. Per la casa regnante il possesso di tale preziosa reliquia e la facoltà di renderla visibile al popolo tramite le ostensioni, rappresentava un instrumentum regni e la manifestazione del sigillo divino posto sulla dinastia.
I Savoia realizzarono circa una cinquantina di ostensioni per i motivi più disparati: dall’esposizione nel 1578 alla presenza di Carlo Borromeo in occasione dell’arrivo a Torino della Sindone da Chambéry, all’ostensione del 1642 indetta per celebrare la pace all’interno della casa regnante, ponendo così fine alle guerre interne. Oppure quella voluta dal duca Carlo Emanuele II, finalizzata a rendere solenne “con la solita Pietà e Devozione la Festa della Sacratissima Sindone”.
Anche i festeggiamenti della casa reale, in occasione degli eventi importanti della famiglia, come battesimi, celebrazioni di nozze delle future madame reali rappresentarono, frequentemente, l’occasione valida per organizzare nuove ostensioni.
Il passaggio alla Santa Sede avvenne solo con la morte di Umberto di Savoia, in data 18 marzo 1983; con questo evento il lino funerario, come espresso dal testamento del’ex sovrano di Casa Savoia, diventò di proprietà del Vaticano. Per l’occasione venne istituito il Custode Pontificio della Santa Sindone, figura che coincise con l’Arcivescovo metropolita di Torino.
L’atto di donazione fu perfezionato il 18 ottobre dello stesso anno.
Per comprendere appieno il significato che potevano avere le ostensioni, non bisogna pensare esclusivamente all’aspetto sacrale e di venerazione che queste manifestazioni pubbliche possono e potevano suscitare ma si deve porre l’attenzione sull’effetto di disvelamento di ciò che veniva mostrato agli occhi della gente comune per un breve tempo, per poi essere di nuovo celato alla vista. Le ostensioni diventavano così una sorta di opportunità imperdibile (o comunque difficilmente ripresentabile) per gli artisti o gli artigiani che si sarebbero poi trovati a dover riprodurre, successivamente, il sacro lino all’interno dell’attività lavorativa della propria bottega, tentando di soddisfare, nella miglior maniera possibile, la richiesta di diversi tipi di possibili committenti.
Prima della diffusione della comunicazione di massa e con il mezzo televisivo che arriva ovunque nel mondo, ora addirittura superato dalla rete internet e che ha consentito nel 2013, durante il Sabato Santo, un’ostensione televisiva straordinaria, in passato la comunicazione veniva veicolata grazie alle riproduzioni artistiche a cui era relegato il compito di trasmettere la conoscenza.
Nella casa regnante dei Savoia esistevano degli artisti accreditati a corte ai quali era demandato il compito di rappresentare la sacra reliquia. Una (ri)produzione artistica fortemente vincolata che inizia nei primi del Cinquecento e con l’andar dei secoli ha sempre restituito, in modo standardizzato, lo stesso rigido apparato iconografico. Il quadro compositivo assume un aspetto ieratico, statico e solenne.
La ripetitività di un’immagine non era un segno di mancanza di creatività da parte di chi realizzava il quadro iconografico della Sindone, ma un modo per fornire certezza del messaggio contenuto nella scena, di corretta interpretazione del significato, del pensiero giusto da far arrivare all’osservatore. Così facendo l’artista, attenendosi a un sistema di riferimento ben preciso, rifacendosi a un canone espressivo determinato, manteneva salva la fonte di riferimento: il telo funerario e la sua immagine.
Parallelamente a questa produzione di corte, di trasmissione corretta della tradizione, se ne sviluppa una popolare più libera, più realistica, che poteva concedersi delle varianti stilistiche, inserimenti di significati e interpretazioni nonché mettere in luce un personaggio anziché un altro, come si avrà modo di appurare di seguito.
Il Piemonte si rivela un territorio particolarmente ricco di quest’ultima tipologia, grazie alla consistente presenza di affreschi sindonici che evidenziano e documentano un culto popolare e una devozione non così nota.
Sono infatti circa un centinaio le immagini che sono state fissate in maniera definitiva su murature rendendo il disvelamento non più una breve apparizione effimera. L’altra caratteristica di queste immagini è che sono state realizzate sulle parti esterne di strutture pubbliche e private in diverse zone del Piemonte. Le riproduzioni sono diventate parte integrante delle architetture rendendo possibile un contatto visivo con un oggetto che per sua natura e per esigenze conservative è celato.
Da un punto di vista stilistico queste immagini possono non essere dei capolavori, ma non per questo devono risultare trascurabili – anche solo per la presenza di elementi legati alla cultura figurativa sacra e al loro essere calati all’interno di un contesto culturale e territoriale che consente di desumere credenze e interpretazioni popolari di argomenti sacri con tutte le varianti locali che sono inserite nei diversi affreschi.
Si parte da Torino, in pieno centro, in piazza San Carlo dove, alzando gli occhi al cielo, si possono incontrare ben due rappresentazioni sindoniche. Il primo affresco, datato 1706, lo si può vedere sulla facciata di Palazzo Turinetti di Pertengo (all’angolo con Via Maria Vittoria, ndr). Il lino non compare completamente nella raffigurazione, se ne intravede solo una parte dell’altezza, circa un terzo, mentre la lunghezza è tutta rappresentata. Il telo viene sostenuto da tre personaggi: al centro la Madonna addolorata trafitta dalle spade e ai lati del lenzuolo San Francesco di Sales e San Francesco d’Assisi. L’immagine di Gesù si intravede.
Sempre sullo stesso lato, ma al termine dei portici, all’angolo con Via Alfieri, sulla facciata di una casa privata si trova l’altro affresco, datato 1752. In questo caso nella scena il telo è raffigurato quasi per intero e i tre personaggi rappresentati sono la Madonna, il duca Emanuele Filiberto e San Carlo Borromeo.
Lasciamo Torino per andare in provincia e per la precisione a Chiaverano. Sulla strada principale di questo paesino, sulla facciata di una casa privata si può ammirare un affresco realizzato nel 1682 con un lino non teso ma che asseconda le normali curve causate dal peso stesso del tessuto, sorretto dalla Madonna Addolorata trafitta da sette spade, in posizione centrale, e da San Domenico e San Giovanni Battista ai lati.
Andando a Benevagienna, in provincia di Cuneo, sulla facciata della chiesa parrocchiale in piazza Botero, si può osservare un altro affresco sindonico dove il lino è rappresentato con l’immagine di Gesù completa; il lenzuolo funerario, bello teso, è sostenuto dalla patrona del paese, Paola Gambara da Brescia, il patrono di Mondovì, San Donato vescovo, e il beato Amedeo IX di Savoia.
E poi a Biella e provincia, Susa, Pinerolo, Piobesi, Revello, Moncalieri, Mondovì, Paesana, Nichelino, Barge, San Maurizio Canavese.
Insomma, se vi fosse venuta un po’ di curiosità sull’argomento potete trasformarvi in novelli Indiana Jones della domenica e fare un bel giro fuori porta alla ricerca e scoperta delle “sindoni che non ti aspetti”. Se però l’avventura non è nelle vostre corde, potete ricorrere alle fonti scritte, come il libro di Sisto Giriodi Le altre Sindoni.
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