Storia di una cattedra arborea
di Gabriella Bernardi
“Intendo far un catalogo delle piante del territorio Torinese e designare il luogo dove nascono, per comodità di chi l’ordina e dè speziali che le devono usare. Medito intanto un’altra opera…un catalogo essatto dell’erbe di tutto il Paese. Un catalogo dè minerali ed acque medicatte, come pur un altro dè corpi antidiluviani, Paese per Paese, e intendo comminciare dal Ducatto d’Agosta… Non abbiamo altro di parte se non che i miei inimici, senza sapere in che parte me lo sia meritati, s’accrescono di numero e di rabbia. Iddio sarà il mio protettore…
Attendo adesso a far un’operetta “De flore albo” avendo ritrovatto il suo specifico che sono…Gelsomini. Questo va in confidenza sino che sia uscito il libro altrimenti sarebbe nulla ed ora non saprei bene come accomodarlo, onde avrei a caro se la V.S. Ill.ma avesse qualche osservazione…”
Siamo nel XVIII secolo a Torino e questi stralci di lettera scritti nel 1721 dal medico Giovanni Bartolomeo Caccia al suo vecchio docente padovano Antonio Vallisneri, con il quale mantenne rapporti non solo di stima professionale ma anche di amicizia, emerge il suo grande sogno. Perseguito tenacemente e molto osteggiato, ma alla fine raggiunto: diventare il primo direttore dell’Orto Botanico di Torino.
Con gli occhi attuali pare quasi normale immaginare che l’Orto Botanico adiacente al Castello del Valentino sia sempre esistito, o per lo meno esistesse già con la fondazione dell’Università. In realtà forse ne esisteva uno, non gestito dall’Università, e si trovava in qualche convento. Ma come spesso accade, quando i fatti sono lontani esistono solo notizie frammentarie e non documentate.
La storia della fondazione dell’Orto Botanico torinese non è così scontata come potrebbe apparire e certamente non corre subito parallela all’Istituzione universitaria. Infatti l’Università torinese sorge nel 1404, attraversa diverse traversie politiche ed economiche e anche cambi di sedi come Chieri e Savigliano per giungere alle riforme di Vittorio Amedeo II. Tra il 1720 e il 1729 si succedono vari emendamenti promulgati per una sua sostanziosa riorganizzazione. Nell’ambito della Facoltà di Medicina compare per la prima volta la Cattedra ordinaria di “Bottanica” con annesso l’Orto Botanico, ma visto come il potenziamento delle discipline mediche e scientifiche in generale.
L’incarico era fortemente desiderato dal giovane medico Caccia, appassionato di scienze naturali e di piante in particolare, ma altrettanto avversato da altri docenti dell’ateneo torinese. Nonostante la carica di direttore, di Giovanni Caccia non si hanno molte notizie personali o professionali e quelle poche emergono per lo più dai suoi scambi epistolari, dalle opere pubblicate e conservate negli archivi di Stato e dell’Università. O da quelli parrocchiali, che ci informano danno ad esempio la sua data di nascita, il 7 febbraio 1695 a Vinovo: qui fu battezzato nella chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo, ma nulla si conosce sulla sua infanzia.
Nel 1713, a 18 anni, si laurea in Medicina e Filosofia presso l’Università di Torino e fino al 1720 sarà lontano da casa, soggiornando e studiando in varie città italiane come Roma, Firenze, Pisa, Padova e Bologna. In queste città ci sono testimonianze delle sue frequentazioni degli esistenti Orti Botanici; in particolare, a Padova arrivò nel novembre del 1719 per seguire le lezioni pubbliche e private del medico Vallisneri, il quale nelle sue lettere private lo descrive come un giovane allegro e ne predice un brillante futuro scientifico.
Durante il periodo padovano, grazie alla frequentazione dell’eminente studioso Caccia entrerà in contatto con l’élite scientifica padovana proveniente da varie università italiane, occupandosi non solo di medicina e botanica, ma anche di mineralogia e di fossili. Di questi ultimi raccoglierà campioni per il suo museo personale, e continuerà ad arricchirlo una volta rientrato a Torino nell’estate del 1720, non prima di essere stato a Bologna per seguire ulteriori lezioni – in realtà le ultime, perché qui decide di terminare il suo iter di approfondimento post laurea.
Rientrato in Piemonte, Caccia affianca il padre, anch’egli medico, nella cura dei suoi numerosi ed importanti pazienti, non senza dimenticare il suo ambizioso progetto di dirigere l’Orto Botanico, sul quale continua ad aggiornare il suo vecchio docente padovano.
Dalle sue lettere emergono toni critici su alcune riforme universitarie proposte, come gli orari assegnati o le misure preventive attuate per fronteggiare l’epidemia di peste giunta verso la fine di settembre in Provenza, quindi alle porte del Piemonte. Ma intanto le cattedre universitarie nuove iniziano a riempirsi; nulla si sa su quella di Botanica ancora vacante e Caccia si scoraggia sempre più.
Iniziano i pettegolezzi e poi gli intrighi. Sullo sfondo, i nomi dei candidati, insomma nulla di nuovo sotto il sole e il giovane medico inizia a dubitare ma continua a coltivare la sua passione, nonostante la professione di medico che svolge gli piaccia.
Tra il 1720 e il 1729 esplora il Piemonte dal punto di vista mineralogico, paleontologico e soprattutto botanico raccontando nelle sue lettere, un poc’ rammaricato, che in Valle d’Aosta e in Savoia non ha trovato nessuna nuova specie botanica. Sappiamo che esplorò le Valli di Lanzo, Mondovì nella valle del fiume Ellero, la collina torinese nella zona limitrofa a Chieri, poi l’Astigiano, il Pinerolese e anche l’alta Val di Susa, raccogliendo sempre campioni di minerali, fossili e piante.
Vallisneri, forse preoccupato, gli fornisce ottime referenze per ottenere un posto da medico comunale ben retribuito in una città piemontese (“…con casa e legna per la residenza…”), ma con rammarico Caccia rifiuta pensando sempre alla sua antica ambizione.
Nonostante il rifiuto i rapporti non si incrinano; infatti, Caccia vuole ospitare il figlio di Vallisneri nel 1722 in occasione delle grandi feste indette per il matrimonio del principe Carlo Emanuele e Anna Cristina del Palatinato-Sulzbach.
L’anno seguente anche Giovanni caccia si sposerà e finalmente, sul finire del 1729, nelle lettere confida al suo amico-collega che l’Orto Botanico sarà ufficialmente fondato in quello stesso anno e la cattedra sarà sua.
Caccia si rivolge ancora una volta al suo vecchio docente perché gli suggerisca un “giardiniere” fidato: “qual sapesse di già dirigere dell’orti, coltivar le piante, fare in somma quando richiedesi per un buon indirizzo, governo, ed accrescimento del giardino … la prego farmi saper quanto sarebbe l’onorario, che pretende, …l e condizioni…”
Dieci anni per ottenere la cattedra di “Bottanica” e la direzione del nuovo Orto avallate dalle Regie Patenti emesse l’8 novembre 1729. Nasce questa istituzione, e con tempistiche che non possono non far pensare a quelle attuali e alle lungaggini burocratiche subite dai giovani ricercatori …
Una volta investito dall’ufficialità della direzione, l’indirizzo intrapreso da Caccia per la coltura dell’Orto fu la coltivazione di specie autoctone utili per le sue lezioni di medicina. Ma iniziò ad inserire specie esotiche che ovviamente riscossero immediato successo tra il largo pubblico. Purtroppo i documenti riguardanti la sua direzione sono esigui, e alcuni furono appropriati dai suoi allievi. Rimane l’elenco delle specie coltivate nell’Orto dal fidato giardiniere e quello delle piante della Valle di Oulx, ma soprattutto restano i suoi appunti per le lezioni tenute agli studenti di medicina tra il 1731 e 1732.
La sua data di morte non la si conosce esattamente, e alcuni la datano al 1749. Dai documenti amministrativi, controfirmati da Caccia, si può evincere che sia avvenuta improvvisamente nell’anno 1746 dopo novembre: l’elenco degli stipendi erogati si interrompe in quell’anno e anche il giardiniere verrà sostituito.
Solo tre anni dopo sarà nominato un successore per la cattedra. Inizia e finisce così una lunga passione per le piante, ma che ancora oggi si rinnova in ogni stagione.
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