LA SCULTURA È UN RAGGIO DI LUNA
Retrospettiva su Giacomo Manzù
10 marzo – 21 maggio 2023
Vercelli, Arca ed ex Chiesa di San Vittore
Lo spazio Arca e l’ex chiesa di San vittore ospitano la grande retrospettiva curata da Marta Concina, Daniele De Luca e Alberto Fiz e realizzata dalla Città di Vercelli, Arcidiocesi di Vercelli, Studio Copernico in collaborazione con la Fondazione Manzù.
Il titolo, La scultura è un raggio di luna, riprende una citazione di Cesare Brandi, che meglio di ogni altro si è fatto interprete del linguaggio di Manzù. Nel 1983 Brandi scriveva che “la scultura gira con tanti punti di vista autonomi e tutti confluenti in una forma che è aperta e chiusa, e nella sua statica è dinamica per come scorre in se stessa con una fluenza eraclitea in cui non ci si può bagnare due volte”. Il riferimento è alla serie di opere dedicate alla giovane modella Tebe, ma si può estendere all’intero corpus di Manzù che ha saputo coniugare la dimensione classica con quella naturalistica e fenomenologica trovando sin dagli anni Trenta una propria autonomia forza espressiva.
Giacomo Manzù, pseudonimo di Giacomo Manzoni, nasce a Bergamo il 22 dicembre 1908, dodicesimo di quattordici fratelli. La famiglia non ha possibilità economiche e Giacomo può frequentare la scuola fino alla seconda elementare. Nelle botteghe degli artigiani impara a scolpire e dorare il legno, prende confidenza con altri materiali come la pietra e l’argilla, mentre frequenta i corsi di Plastica Decorativa presso la scuola Fantoni di Bergamo. Durante il servizio militare a Verona ammira studia le porte di San Zeno e si appassiona ai calchi dell’Accademia Cicognini.
Dopo un breve soggiorno a Parigi, nel 1930 si stabilisce a Milano dove l’architetto Giovanni Muzio gli commissiona la decorazione della Cappella dell’Università Cattolica di Milano, lavoro che lo impegna per due anni. Intanto realizza le sue prime opere in bronzo, si dedica al disegno, all’incisione, all’illustrazione e alla pittura, e comincia a modellare teste in cera e bronzo guardando a Medardo Rosso.
Nel 1932 prende parte a una mostra collettiva alla Galleria del Milione e nel 1933 espone una serie di busti alla Triennale. Nel 1934, alla Galleria della Cometa di Roma, tiene la sua prima grande mostra insieme ad Aligi Sassu, con il quale divide lo studio. Con l’opera Gesù e le Pie Donne vince il premio Grazioli dell’Accademia di Brera per lo sbalzo e il cesello.
Nel 1936 va a Parigi, con Sassu e visita il Musée Rodin, conosce gli impressionisti e sviluppa i primi germi di ribellione che lo porteranno ad aderire al movimento di Corrente.
Considerato fra le personalità più significative della scultura italiana, nel 1939 inizia la serie dei Cardinali, ieratiche immagini in bronzo dalla schematica struttura piramidale avvolte nella massa semplice e potente della stola. Realizza poi il ciclo di bassorilievi in bronzo con le Deposizioni e le Crocifissioni in base a una poetica che si richiama a Donatello.
Negli anni Quaranta, come reazione alla violenza della guerra, Manzù riprende e riunisce sotto il titolo Cristo nella nostra umanità, le opere della Crocifissione e della Deposizione in cui il tema sacro viene utilizzato per simboleggiare prima la brutalità del regime fascista e poi gli orrori della guerra. Nel 1941 ottiene la cattedra di scultura all’Accademia di Brera, dove insegna fino al 1954, quando si dimette per dissensi sul programma di studio.
Tra i molti riconoscimenti, il suo nudo Francesca Blanc vince il Gran premio di scultura alla Quadriennale di Roma del 1942, mentre alla Biennale di Venezia del 1948, vince la medaglia d’oro per la serie dei Cardinali.
Nel 1945 si stabilisce a Milano e nel 1946 l’incontro con Alice Lampugnani è all’origine dell’importante opera Grande ritratto di signora e di un centinaio di disegni. Nel 1947 illustra le Georgiche di Virgilio, e viene organizzata una grande mostra antologica dei suoi lavori al Palazzo Reale di Milano. Nel 1954, e fino al 1960, prosegue l’attività d’insegnamento alla Sommerakademie di Salisburgo; qui conosce Inge Schabel (1936-2018), che diventerà la sua compagna e con cui avrà due figli, Giulia e Mileto. Lei e la sorella Sonja diventeranno da allora le modelle dei suoi ritratti.
In quel periodo inizia a lavorare alla Porta della Morte per la basilica di San Pietro in Vaticano, compiuta nel 1964. La porta vaticana, che lo impegna per diciassette anni, diviene l’epicentro di una poetica che, nel dialogare con la tradizione, ne rifiuta gli aspetti più strettamente accademici. Manzù realizza anche la Porta dell’Amore per il Duomo di Salisburgo e la Porta della Pace e della Guerra per la chiesa di Saint Laurens a Rotterdam (1965-1968). Ritorna poi alla figura a tutto tondo e a temi più intimi come Passi di danza, Pattinatori Strip-tease e gli Amanti. Nel 1964 si trasferisce in una villa nei pressi di Ardea, vicino Roma e nel 1969 viene inaugurato il Museo Amici di Manzù di Ardea.
Manzù si è occupato anche di teatro disegnando scenografie e costumi, tra cui quelli per l’Oedipus rex di Stravinskij nel 1965, perTristano e Isotta nel 1971 e per il Macbeth di Verdi nel 1985.
Nel 1977 realizza a Bergamo il Monumento al partigiano e nel 1979 dona la sua intera collezione allo stato italiano. Del 1989 è la sua ultima grande opera, una scultura in bronzo alta sei metri posta di fronte alla sede dell’ONU a New York. Muore a Roma il 17 gennaio 1991.
Le opere in mostra
La mostra riunisce oltre trenta sculture, fra cui alcune monumentali messe a disposizione dalla Fondazione Manzù, dallo Studio Copernico e da importanti collezionisti privati.
Il percorso spazia dagli anni Quaranta sino al 1990, un anno prima della sua scomparsa, dove compare una testimonianza emblematica come la grande scultura di Ulisse, l’eterno simbolo della conoscenza.
La rassegna, allestita nelle due sedi di Arca ed ex chiesa di San Vittore, evidenzia l’attualità di un grande Maestro dell’arte plastica seguendo le differenti tematiche che ne caratterizzano la poetica. Così, la scelta delle opere consente di apprezzare i ritratti femminili, le nature morte (basti pensare a Sedia con aragosta del 1966) oltre ai celebri Cardinali, la sua serie più famosa iniziata negli anni Trenta. “La prima volta che vidi i cardinali”, ha affermato Manzù, “fu in San Pietro nel 1934; mi impressionarono per le loro masse rigide, eppur vibranti di spiritualità complessa. Li vedevo come tante statue, una serie di cubi allineati e l’impulso a creare nelle sculture una mia versione di quella realtà ineffabile fu irresistibile”.
In mostra, accanto ad alcuni storici Cardinali in bronzo degli anni Quaranta, compare anche Grande Cardinale seduto, un’opera monumentale alta oltre due metri modellata nel 1983 da cui emerge la componente ieratica della figura all’interno di forme rigide e sintetiche assimilabili a piramidi.
La moglie Inge, conosciuta nel 1954 quando Manzù insegnava all’Accademia di Salisburgo e da allora sua musa, rappresenta una costante della sua ritrattistica e a Vercelli viene esposto il Busto di Inge, rara opera in marmo realizzata nel 1979 da cui emerge uno straordinario vitalismo rispetto a una composizione che assume una forma circolare dove le braccia si dispongono intorno al volto della donna. Dall’unione con Inge nascono i due figli Giulia e Mileto che diventano l’occasione per realizzare una serie di sculture sul tema del gioco: in mostra compare Giulia e Mileto in carrozza con il bozzetto in bronzo del 1967. Sono lavori che rientrano nel ciclo Spielerei dove Manzù propone liberamente una serie d’invenzioni plastiche che in questo caso gli danno modo di realizzare una carrozza arcaica dominata da una grande ruota.
La sperimentazione passa anche attraverso Donna che guarda, un’altra opera monumentale datata 1983 di 252 centimetri d’altezza scolpita in ebano un materiale che come afferma Manzù “è bello, durissimo, ha come il sangue nelle sue vene, si lavora come il ghiaccio ma è eterno”, opera presente in ARCA già al momento della presentazione della mostra.
In un viaggio così sfaccettato vanno citati anche Fauno modellato nel 1968 dove l’atteggiamento dell’uomo con le membra ripiegate esprime la potenza e l’energia del corpo, così come Il miracolo di San Biagio, un altorilievo fortemente intimista in cui fa la sua comparsa un Cardinale compassionevole. “Dalla mostra di Vercelli dunque emergono”, commenta Alberto Fiz, “le diverse anime di uno scultore che, senza retorica, si è fatto interprete dell’umanità sapendo cogliere la sacralità profonda anche nel quotidiano: ‘Manzù’, scrive Brandi, ‘è nel suo tempo, fuori dal suo tempo, saldamento ancorato a quei valori eterni che non ha mai dimenticato’”.
Gli spazi espositivi
La mostra, allestita in diverse sedi, inizia nella ex chiesa di San Marco, prestigioso contenitore interno noto come “ARCA”, collocato nella navata centrale della chiesa, al quale si accede oltrepassando il grande portale vetrato d’ingresso. L’articolazione dello spazio consente di visitare anche parte delle navate laterali ricche di storia, affreschi, pannelli esplicativi e la pregevole cappella Pettenati, recentemente restaurata. Il percorso della mostra conduce all’abside della chiesa ora organizzato come bookshop. Lo spazio (essenzialmente un grande contenitore adatto a grandi eventi temporanei) è stato pensato secondo un progetto che conduce a valorizzare le opere esposte con la narrazione dei beni che riguardano l’evento. La mostra prosegue poi in alcuni spazi dell’ex chiesa di San Vittore.
La mostra è anche l’occasione per riscoprire una città ricca di sorprese: il centro storico ha un impianto medievale che culmina in piazza Cavour, ed è possibile ipotizzare un itinerario suggestivo attraverso vie, piazze, edifici, torri, l’antico broletto, piazza Risorgimento che consente di spaziare dal Medioevo al Novecento. Meritano attenzione diversi musei: il Museo del Tesoro del Duomo, il Museo Leone, il Museo Borgogna, il Museo Civico Archeologico e il Museo del Teatro Civico formano un percorso di conoscenza vario e articolato. Di notevole significato sono le chiese della città, ben 46 fra cui l’abbazia di Sant’Andrea e la cattedrale dedicata a Sant’Eusebio.
L’allestimento della mostra crea una stretta relazione tra le opere di Manzù (accanto alle sculture non manca una serie di preziose opere su carta degli anni Quaranta e Cinquanta) e i luoghi di accoglienza. Le sculture in marmo, ebano e bronzo ci immergono nel mondo di Manzù con una percezione di carattere visivo e sensoriale. Una scansione tematica consente di rileggere l’opera di Manzù in maniera lineare.
Orario: dal giovedì alla domenica ore 10-19
Info e biglietti: www.manzuvercelli.it.
Sono disponibili visite guidate alla mostra e/o alla città. Per informazioni su costi e prenotazioni infovercelli@atlvalsesiavercelli.it