I protagonisti del Risorgimento nell’arte di Daniele Fissore
di Marina Rota
“Un amico giornalista del Corriere mi dice che a Milano non si vede neanche una bandiera”, esclama Daniele Fissore davanti al cavalletto nel suo atelier di via Legnano, immancabile sigaretta in bocca e sguardo chiaro da ragazzo, mentre dà le ultime, decise pennellate a uno dei suoi “eroi”.
E si interrompe indicando la finestra: “Guarda a Torino, invece: sventolano anche nei cortili!”. Di motivi per sventolare il tricolore, Daniele Fissore ne ha più di uno, dal momento che non solo gli eroi del Risorgimento costituiscono per lui, da tempo, una fonte di ispirazione, ma anche perché, proprio in occasione del centocinquantenario, verrà inaugurata la sua grande installazione open air a pannelli dal titolo Eroica. Eroi noti e ignoti. Dal Risorgimento, il Futuro, il 4 maggio, nel Parco Dora, alla presenza del Presidente Napolitano.
Protagonisti delle sue composizioni sono gli eroi dell’Unità, già celebrati nei monumenti: eroi rielaborati pittoricamente in qualche loro dettaglio significativo, che li rende immediatamente riconoscibili: quella mano diafana che regge un libro o giace abbandonata sotto la marsina non può che essere di Mazzini; quelle braccia autorevolmente conserte sono di Massimo D’Azeglio; quel manto rosso che pare sprigionare potenza, è certo di Garibaldi. Eroi raffigurati con pennellate curate e nervose e con colori vibranti che, attraverso un’approfondita lettura psicologica dell’artista, si spogliano del loro carattere statuario e celebrativo per divenire vivi, palpitanti, vicini alla sensibilità contemporanea.
“Napolitano ha manifestato il desiderio di inaugurare la mia opera creata appositamente per le celebrazioni. Un’opera non commissionata, precisa Fissore, ma frutto di certe mie vecchie idee…”
Già: che cosa avrà condotto questo artista di Savigliano, divenuto famoso per i suoi raffinati campi da golf, a cimentarsi con gli eroi del Risorgimento? Tutto ha origine proprio a Savigliano nel 1984, in un periodo critico per Fissore, che ha concluso una significativa esperienza artistica a Londra e adesso, dopo un periodo di lontananza, si sente escluso dal circuito pittorico italiano. “Nelle mie lunghe passeggiate per Savigliano, ricorda l’artista, mi ritrovavo inevitabilmente, chissà perchè, nella piazza principale, davanti al monumento del più illustre figlio della cittadina: Santorre di Santarosa. Instancabilmente ne osservavo ogni dettaglio: il naso, le mani, il volto, il mantello… Capii allora che dovevo assecondare queste percezioni e approfondire, grazie ai documenti della biblioteca di Savigliano, la conoscenza di colui che mi attirava in modo così magnetico non tanto come politico ed eroe dei moti del ’21, quanto per il suo lato umano. Scoprii a poco a poco sorprendenti similitudini tra la sua personalità e la mia; ne fui quasi turbato, ma poi, col pizzico di vanità che accomuna tutti gli artisti, le accettai…”
La vita di Santorre di Santarosa fu segnata dal tradimento di Carlo Alberto, dall’esilio in Svizzera e a Londra; e da questo esilio l’uomo politico scriveva nei diari, nelle lettere alla moglie, anche frasi struggenti sulla natura dei sentimenti umani. “Tutto è vanità fuorché l’amare e l’essere amati”; “La mia mente non vacilla ma il mio cuore si consuma. Addio a te, che mi amasti pur tanto”.
“Erano frasi, commenta Fissore, che avrei potuto scrivere io, nel mio stato d’animo di esiliato e non integrato. Le riportai direttamente sulle tele, e le citazioni divennero quadri, in un’intima corrispondenza fra lo scritto e la rappresentazione pittorica. Come un ladro mi ero appropriato della forza, dell’etica, dei pensieri di questo personaggio. Il transfert era compiuto”.
Non ti sentisti “scoperto”, nell’esporre queste opere?
“Infatti, risponde Fissore, sorridendo al ricordo, li chiusi in un cassetto e non li mostrai a nessuno. Una decisione insolita per me, che considero l’artista come un professionista, la cui opera deve essere fruibile. C’era, sì, anche una vena di pudore: quei quadri erano una cronaca troppo intima del mio stato d’animo”.
Quando abbandonasti questo intimismo?
“Nell’85 la nascita della mia terza figlia, Vanina, suggellò la mia rinascita. Incominciai a proporre i green e i mari con grande fortuna, ma la mia energia mi spingeva altrove”. Daniele Fissore non era comunque nuovo alle brusche virate: dalle Opposizioni alle cabine telefoniche; dai pic-nic del periodo londinese ai green, dalle marine alle televisioni catodiche, in cui, in un rovesciamento di ruoli, è lo schermo spento a divenire spettatore della vita…
”Sì, commenta Fissore, ho traversato cicli lunghi, esaustivi. Il golf è per me una metafora di vita: tiri la pallina, la rincorri, la tiri di nuovo e la rincorri… Diciamo che dopo aver esaurito le palline ho inventato nuove sfide altrettanto stimolanti, ma il concetto è sempre quello. I green rappresentano la ricerca di un mondo organizzato, armonioso, ma anche inquietante I miei campi da golf sono la trasposizione ludica del paesaggio inglese, con quella campagna che pare selvaggia e invece è addomesticata”.
E Santorre di Santarosa?
“Ricomparve nella mia vita quando, dopo 37 anni di esposizioni, proposi all’assessore Fiorenzo Alfieri una retrospettiva della mia opera. Ad accordi presi, uscendo dal suo ufficio, gli dissi: “Nell”85 ho dipinto Santorre di Santarosa; potrebbe forse interessare per il centocinquantenario?” Lui rispose subito: “Siediti, parliamone”. Mi esortò a estendere la ricerca ad altri monumenti, anche fuori Torino; e dipingendoli rivissi ogni volta l’ispirazione dell’85: lo stesso trasporto, la stessa magia di 25 anni prima”.
Proprio in questo trasporto risiede la determinazione che ha permesso a Fissore di superare le difficoltà di questi anni: opposizioni politiche, cambio dei vertici, intrusioni ministeriali, incertezze d’ogni genere…
“La forza, racconta, continua a darmela soprattutto la ricerca dell’aspetto umano degli eroi; l’analisi di ciò che si nasconde dietro le pieghe dei mantelli, l’elsa delle spade, dietro le mani abbandonate, il capo appoggiato, i dettagli ai quali lo scultore si è ispirato; in questo sta l’originalità di quest’operazione, che sfugge così alle maglie della celebrazione e della retorica. Un altro aspetto singolare è quello della decontestualizzazione del monumento dall’ambiente in cui è collocato, per infondergli un respiro nazionale”.
Accanto agli eroi noti, compaiono nella tua installazione anche quelli ignoti; quale storia hanno?
“I miei eroi ignoti contemporanei sono un remake di quelli primi anni Settanta: le Opposizioni – di valenza ideologica e politica, ma anche morale – erano schiene di giovani operai, intellettuali, dirigenti, in cui la camicia denotava l’epoca storica; interpretavo in chiave moderna il torso maschile ricorrente nel classicismo greco”.
Ma chi sono, secondo te, gli eroi di oggi?
“L’eroe contemporaneo è il cittadino che osserva le leggi; che si dedica alla vita sociale e politica senza pensare al suo bieco tornaconto, che ha il senso del dovere, rispetta gli altri, e applica la morale – non quella personale – che esiste in ogni campo d’azione, anche in quello più privato. E che non si crede superiore a nessuno. A questo proposito, ecco una frase lapidaria di Silvio Pellico :’L’uomo si reputa migliore, aborrendo gli altri’”.
Tu canti “I cavalier, l’armi, l’amore”… ma le donne? Le eroine note e ignote?
“Già, conferma Fissore, delle donne del Risorgimento ci sono tracce documentali, ma la monumentalità femminile non esiste. Tuttavia, ho trovato a Roma una statua dedicata a un’eroina, che ricreerò in un dipinto: Anita Garibaldi, che su un cavallo imbizzarrito tiene nel braccio sinistro un neonato, mentre con l’altra mano, levata al cielo, impugna una colt… Mi sono ripromesso anche di dedicarmi a un’opera sull’eroina ignota prima del 16 giugno, giorno dell’ apertura della Mostra al Museo di Scienze Naturali”.
Affermi orgogliosamente di essere un autodidatta. Perché hai abbandonato l’Accademia dopo pochi mesi ?
“Perché ho avuto una formazione pragmatica. La Carrozzeria Fissore di Savigliano era famosa già negli anni Venti; mio padre, disegnatore e progettista, era un uomo rinascimentale, che sapeva fare tutto, dalle fuoriserie ai furgoni pubblicitari (come quello della foca col lucido da scarpe), dalle ambulanze fino al bar viaggiante della Martini. D’estate, per finanziare i miei viaggi in autostop, lavoravo per un paio di mesi nei vari reparti, e imparavo il piacere per le cose ben fatte. La carrozzeria aveva 200 dipendenti, dei quali 42 erano Fissore. Sono stato allevato dalle famiglie di quattro fratelli, tre dei quali avevano sposato tre sorelle. Una famiglia patriarcale, che si riuniva tutta davanti alla prima televisione, e usava in comune la prima macchina. Ho maturato, lavorando, un tale rispetto per la manualità che all’Accademia mi pareva di essere circondato da persone che conoscevano solo la loro pittura, da insegnanti che non sapevano insegnare. Insomma, una gran perdita di tempo”.
Non hai mai messo in dubbio la tua scelta, però.
“No. Maturata la convinzione di essere un artista, ho pensato che un pittore senza soldi non sarebbe andato lontano. Così sono diventato imprenditore: a 21 anni ho rilevato un negozio di colori, e poi un altro di cornici e stampe; dopo qualche tempo ho venduto le due attività e mi sono ritrovato con un gruzzolo che mi ha permesso di sperimentare per tre anni. Ho disegnato centinaia di fogli, dipinto centinaia di tele che poi buttavo via. Finché nel ‘75 venni accettato alla Quadriennale di Roma con tre grandi quadri e spiccai il volo”.
Avevi imparato a usare i ferri del mestiere, come direbbe Carlo Fruttero…
“Già, letteralmente. Ricordo in particolare il reparto verniciatura della carrozzeria. Per verniciare un’auto con l’aerografo occorrono mano ferma, precisione, distanza perfetta, per evitare che il colore coli creando un danno irreparabile. Dopo la prima verniciatura, il responsabile mi disse soddisfatto ‘Ma tu sei un verniciatore nato’!”
I pensieri conclusivi di Fissore, però, sono tutti per il suo alter ego Santorre di Santarosa; un rapporto quasi simbiotico a distanza di 150 anni, costellato da coincidenze singolari: “Lo dipingo nel 1985, dice l’artista, e da quel momento le cose vanno a gonfie vele. Cerco di realizzare il sogno di una casa in campagna, con caratteristiche precise e singolari, e quella che risponde perfettamente alle mie esigenze è la prima casa di Santorre di Santarosa, che compro nel ‘96 dal suo ultimo discendente. Nel 2002 decido di interrompere una produzione artistica fortunata come quella dei green ed ecco la serie degli eroi, che mi condurrà all’inaugurazione di Parco Dora, alla presenza di Napolitano… Non posso che ricambiare Santorre prendendomi cura del suo ‘boschetto’ saviglianese per il quale, esule a Londra, provava tanta nostalgia, e adesso è diventato una foresta…”