Il 19 gennaio 1864 si inaugurava la Scuola Allievi Carabinieri di Torino, dove l’Arma era nata nel 1814
di Lucilla Cremoni
“Io dico sempre che bisogna mettersi nei panni della persona che ha subito un reato, e non bisogna giudicare soltanto il lato economico. Il furto di qualcosa a cui si tiene ha un valore eccezionale, quindi bisogna darsi da fare anche per una bicicletta. Per questo ripeto ai miei ragazzi, “Sarete contenti quando la gente vi fermerà per strada, perché avrete capito che siete parte integrante della società e cercate di migliorarla per tutti, e questa è l’essenza del nostro mestiere, il poter alleviare le sofferenze che la criminalità provoca. In un mondo ideale i reati non ci sarebbero, ma questa è una pia illusione, quindi bisogna fare in modo che i cittadini venendo da noi si sentano a proprio agio e tutelati”.Quello che colpisce nelle parole del colonnello Franco Frasca, comandante della Scuola Allievi Carabinieri di Torino, è la totale mancanza di retorica con la quale le pronuncia. L’occasione della visita è la doppia ricorrenza che coinvolge l’Arma nel 2014, quella nazionale del bicentenario della fondazione, e quella più strettamente torinese, che è il centocinquantesimo compleanno della Caserma Cernaia.
“La Cernaia” è a tal punto parte del panorama cittadino che molti pensano che sia lì da sempre e il suo aspetto attuale sia il risultato della trasformazione di strutture precedenti, come succede normalmente nelle nostre città dal cuore antichissimo. Invece no: centocinquant’anni fa il complesso fu costruito ex novo ed esattamente per la funzione che tuttora ricopre: ospitare la Scuola Allievi Carabinieri.
Quanto all’intitolazione, la storia è nota. “Cernaia” è il nome italianizzato di un fiumiciattolo della Crimea che sfocia nel Mar Nero (il suo nome in russo significa appunto “piccolo fiume nero”). Un luogo geograficamente insignificante ma consegnato alla storia dalla battaglia che vi si svolse il 16 agosto 1855, nella quale le truppe piemontesi contribuirono alla vittoria della coalizione antirussa e al successo della spedizione in Crimea fortemente voluta da Cavour, e che non solo fece entrare il Regno di Sardegna nel consesso internazionale ma si rivelò un ottimo investimento nel processo di costruzione dell’unità nazionale.
La fama dell’evento fu tale che il nome “Cernaia” entrò persino nel lessico popolare: capita ancora di sentire qualche vecchio torinese usare l’espressione “fé na cernaia”, che poi è l’equivalente dialettale di “fare un quarantotto”, anche se in entrambi i casi ben pochi sono consapevoli del fatto storico che ha originato il modo di dire. Logicamente, alla battaglia fu intitolata una strada, e non una strada qualsiasi, bensì la costruenda arteria principale della trasformazione urbanistica progettata da Carlo Promis negli anni Cinquanta dell’Ottocento. Partendo dalla demolizione della Cittadella (disarmata per decisione del Ministero della Guerra nel 1852, e di cui fu lasciato in piedi solo il Mastio) si effettuò una completa ripianificazione della zona di Porta Susa, con la costruzione della stazione ferroviaria nel 1854 e di una larga via porticata (Via Cernaia, appunto) che la collegava al centro della città, nonché la riqualificazione delle aree circostanti con la realizzazione di edifici signorili destinati alla borghesia imprenditoriale di una città in grande espansione demografica ed economica.
Lungo la via, nello spazio precedentemente occupato dal fossato e dal terrapieno della Cittadella, fu edificata la nuova caserma della Legione Allievi dei Carabinieri Reali, che in precedenza era ospitata proprio nel Mastio. La struttura, progettata dal colonnello Barabino, fu inaugurata il 19 gennaio 1864, nel cinquantenario di fondazione dell’Arma, che proprio nella capitale del Regno di Sardegna era nata.
Nel 1814 infatti Vittorio Emanuele I era tornato in possesso dei territori sabaudi in seguito alla sconfitta e deposizione di Napoleone, e aveva deciso di creare un corpo ispirato alla Gendarmeria francese, in grado di operare sia come forza militare sia come forza di polizia. Le Regie Patenti del 13 luglio 1814 decretarono quindi l’istituzione di una “direzione generale del Buon Governo” (una sorta di Ministero degli Interni) e la formazione “di un Corpo di militari, distinti per buona condotta e saviezza, chiamati col nome di Corpo dei Carabinieri Reali”. Il nome “Carabinieri” non era nuovo, in quanto designava i “portatori di carabina”, figure già presenti negli eserciti piemontesi, ma ora andava a designare i componenti di un corpo d’élite (secondo solo alla guardia del corpo del sovrano) per il quale si esigevano requisiti non comuni. Per cominciare, l’accesso era riservato a chi già aveva prestato servizio in altri corpi militari; inoltre, i candidati dovevano essere in grado di leggere e scrivere e avere una statura non inferiore a “39 oncie”, cioè circa un metro e settantacinque. Il livello di selettività risulta immediatamente chiaro se consideriamo che a quei tempi circa l’ottanta per cento della popolazione era analfabeta, e l’altezza media maschile era attorno al metro e sessanta.
Le celebrazioni del centocinquantenario della Caserma Cernaia saranno comunque parte di quelle nazionali per il bicentenario dell’Arma. “Il programma”, spiega il comandante, “non è ancora ben definito, sicuramente sono già pronti oggetti celebrativi: un piatto Rosenthal che riproduce la Caserma Bergia di Piazza Carlina, la nostra culla, un monumento ai Carabinieri nella tormenta del maestro Antonio Berti, che sarà eretto nei giardini del Quirinale ed è stato realizzato con le donazioni dei Comuni italiani organizzata dall’Anci – ricordo che a Torino c’è il primo monumento al Carabiniere, quello dei Giardini Reali, anch’esso fatto, nel 1925, con le donazioni dei Comuni d’Italia. Poi un sigaro toscano, edizione limitata, una fiction Rai sui Martiri di Fiesole, oggettistica, una moneta che riproduce il monumento, francobolli commemorativi. C’è anche il progetto “La scuola adotta un monumento”, che quest’anno adotterà la Cernaia, e naturalmente la possibilità per la cittadinanza di visitare il complesso in occasione delle celebrazioni”.
È possibile ripercorrere i duecento anni di storia dell’Arma dei Carabinieri visitando la mostra permanente allestita nella manica lunga della Caserma Cernaia. Sono esposti documenti (dalle Regie Patenti del 1814 e successivi aggiornamenti, a registri, planimetrie e progetti originali della struttura), uniformi storiche e contemporanee, un plastico della struttura, modellini dei veicoli, equipaggiamento antico e moderno, una meravigliosa moto Guzzi Falcone del 1967 e molto altro. L’esposizione è davvero interessante, ma a rendere la visita un’esperienza memorabile sono la passione e la competenza del Luogotenente Dapolito, trentacinque anni di insegnamento alla Scuola, che non si limita ad illustrare i pezzi esposti, li fa vivere evocando tempi, luoghi, avvenimenti, dialoghi.
L’esposizione è visitabile in occasione delle aperture pubbliche della caserma, ma è soprattutto rivolta alle scuole. “Sono andato dal dirigente degli istituti scolastici”,racconta il comandante, “per comunicare la nostra disponibilità ad offrire alle classi delle elementari e delle medie inferiori e superiori la possibilità di visitare la mostra, perché la storia dei Carabinieri è la storia d’Italia”.I ragazzi ne sono entusiasti, e vengono invitati nuovamente per il giuramento degli allievi che si tiene nel mese di aprile, a metà corso. “In realtà si tratta di un secondo giuramento”, precisa, “perché i ragazzi provengono dalle Forze Armate e dunque hanno già giurato fedeltà alla Repubblica”.
Dal 2005 infatti si diventa Carabinieri per concorso, riservato a chi già ha prestato servizio in ferma volontaria nelle Forze armate (Esercito, Marina, Aeronautica). Chi lo supera entra nell’Arma e accede alla Scuola, dove frequenterà un corso di undici mesi e articolato in due fasi, una teorica e una pratica, seguite dal tirocinio.
Quali sono le materie della prima parte?
“Grazie al nuovo arruolamento, la scuola dà per scontata una formazione militare di base, anche se va uniformata perché gli allievi provengono da settori diversi (Marina, Aeronautica, Esercito) e hanno diverse esperienze. Da questa base parte la formazione; le materie della prima fase comprendono diritto penale, diritto costituzionale, procedura penale, diritto pubblico, diritto di polizia, tecnica professionale, tecnica di polizia giudiziaria, intervento sulla scena del crimine, diritto della circolazione stradale. Sono particolarmente contento che da quest’anno si offrano anche approfondimenti sul diritto minorile, un settore in cui i Carabinieri si trovano ad intervenire sempre più spesso, ad esempio per le liti in famiglia col coinvolgimento di minori”
Qual è la giornata-tipo di un allievo?
“Sveglia alle 6:45, colazione, alzabandiera alle 7:55, alle 8 in aula fino alle 13:15, poi un’ora di intervallo e di nuovo in aula fino alle 17:15 di tutti i giorni fino al venerdì. Il sabato e la domenica riposo. Ci sono anche le materie di carattere pratico, che sono soprattutto nella seconda parte del corso: si cerca di integrare quanto appreso nelle lezioni teoriche con esercitazioni e simulazioni. Abbiamo ad esempio un appartamento-tipo per imparare a fare le perquisizioni o il sopralluogo e il repertamento che sono azioni fondamentali del primo intervento sulla scena del crimine; oppure il rinvenimento di armi o droga (finta, eh! sorride), o si simula l’arresto. Insomma, le tecniche di intervento, la difesa personale, la tecnica del disarmo e ammanettamento, situazioni che dovranno affrontare perché il lavoro quotidiano comporta anche l’eventualità dello scontro fisico. È comunque evidente che la simulazione può arrivare fino a un certo punto, ma la realtà è sempre diversa e imprevedibile”.
E poi?
“E poi c’è una terza fase, di tirocinio: i ragazzi fanno tre settimane e mezzo presso le stazioni dell’Arma e vedono sul piano pratico quello che hanno appreso durante le lezioni teoriche. Vanno in stazioni su tutto il territorio nazionale, e soprattutto, essendo estate, nelle località turistiche. Quando tornano, dibattiamo un po’ sulle loro esperienze e le confrontiamo coi nostri insegnamenti per capire se questi sono prossimi a quella che dovrà essere la loro attività futura. Successivamente al corso vanno ai reparti e possono aspirare alla gerarchia facendo il concorso per diventare marescialli e ufficiali. Oppure possono percorrere altre strade – dal corso per carabiniere sciatore al nucleo antisofisticazioni, antidroga, cinofilo, sulle motovedette d’altura, elicotteristi, paracadutisti, persino corazzieri, se hanno la statura. Quando escono dalla scuola comunque i nostri allievi sono già qualificati come Carabinieri di quartiere, una bellissima figura che ci riporta poi alle origini e all’essenza stessa dell’essere Carabinieri, quella dello stare a contatto diretto con la comunità; sono qualificati come operatori di centrale operativa, un compito importante e molto delicato, sul quale stiamo lavorando per migliorarci costantemente; e sono abilitati al primo soccorso, perché si trovano spesso a fronteggiare incidenti stradali o malori”.
Cosa è cambiato e cosa è rimasto immutato rispetto a qualche decennio fa?
“Il contesto oggi è decisamente diverso rispetto a dieci o vent’anni anni fa, le sfide sono sempre nuove. A questo adattiamo i nostri programmi, e questo è l’obiettivo della nostra scuola: prepararli ad affrontare le situazioni. Il Carabiniere di quartiere va in giro con il palmare, sa utilizzare strumenti tecnologici. Ma quello a cui teniamo è far capire quali sono i valori veri del Carabiniere, la nostra umanità, spirito di servizio, disponibilità”.
Che reazione c’è stata, se c’è stata, rispetto all’apertura alle donne?
“Per quanto riguarda la formazione, non c’è nessuna differenza, l’addestramento è esattamente il medesimo, e per il resto è stata solo una questione di farci l’occhio, perché non eravamo abituati. Le risposte sono state oltremodo positive. Le ragazze sono motivate, determinate, hanno forse maggiore meticolosità dei colleghi maschi e sono utili in tutti i settori di attività dell’Arma. Voglio ricordare una cosa a cui tengo molto. Noi abbiamo partecipato quest’anno, e per me era la prima volta, al progetto “Vivi le Forze Armate”, che ci ha portato in caserma per tre settimane dei ragazzi che avevano chiesto al Ministero della Difesa di fare questa esperienza. Avevamo 48 persone, equamente divise fra ragazzi e ragazze, ed è stato bellissimo far vivere loro l’esperienza della scuola e vederli crescere – anche dal punto di vista militare, perché non abbiamo riservato loro un trattamento particolare ma li abbiamo immersi nella nostra attività formativa – e quando alla fine mi sono complimentato per il grado di addestramento raggiunto in sole tre settimane ho detto loro: io sono qua, questa è la mia mail, se volete sono a disposizione per chiarimenti e appoggio morale per il vostro futuro, spero nell’Arma. Bene, mi sono arrivate delle lettere fra cui quelle di due ragazze: quasi mi commuovo ancora, perché (e di questo bisogna render merito ai miei collaboratori) hanno colto veramente lo spirito e i valori veri del Carabiniere. Sono due bellissime lettere che conservo gelosamente e ho mostrato alla mia famiglia”.
Ma non c’è solo l’aspetto della lotta al crimine…
“L’Arma interviene anche quando ci sono calamità naturali, terremoti, inondazioni, con la nostra capillarità sul territorio i primi ad intervenire siamo sempre noi. Questa capillarità è anche la nostra forza e cerchiamo di far capire ai nostri ragazzi che un domani potranno trovarsi in piccole comunità dove è diverso l’approccio rispetto alla città, non perché sia diverso il lavoro ma perché nei piccoli centri il Carabiniere ha un ruolo sociale che non è una cosa del passato, ma continua anche oggi, tant’è che quando motivi di ottimizzazione del servizio fanno ipotizzare o determinano la chiusura di qualche stazione ci sono immediatamente proteste, perché si toglie un punto di riferimento fondamentale”.
Un approccio che si può trasferire dalla piccolissima comunità a un discorso internazionale, perché la missione umanitaria o di peacekeeping in giro per il mondo si compone sicuramente anche di questo aspetto di contatto e prossimità…
“Sicuramente, e in questo senso abbiamo anche stabilito un modello apprezzatissimo, tanto che a Vicenza è stato creato un centro (CoESPU – Center of Excellence for Stability Police Units, ndr) per la formazione di personale impegnato in operazioni di peacekeeping. L’esperienza ha avuto riscontri anche sull’arruolamento. Non che ci sia mai stata una flessione, ma le esperienze internazionali ci hanno fatto stare a contatto con le altre Forze Armate, e ne è derivato un aumento di richieste per partecipare al concorso per entrare nei Carabinieri. Ma quello che è stato vincente è senz’altro il nostro modo di agire, riconosciuto e apprezzato dai partner internazionali, con plauso ufficiale del governo americano, ma soprattutto vincente rispetto alle situazioni, e che dimostra ancora una volta la validità di un approccio basato sull’umanità e il servizio”.
Certo che lei fa proprio venir voglia di fare il Carabiniere!
“Io sono innamorato del mio mestiere, lo faccio con passione, conservo ancora l’entusiasmo dei miei 16 anni, quando sono entrato alla Scuola Militare della Nunziatella. Fino a quando conserverò questo entusiasmo mi farà piacere poter dare qualche cosa ai giovani, e questa scuola me ne dà la possibilità, perché ogni tanto anch’io – non sempre, non mi voglio sostituire agli insegnanti – vado in aula a dare qualche suggerimento su esperienze passate e vissute”.
Un sincero ringraziamento all’Arma dei Carabinieri per la disponibilità e la cortesia