Rugby al tocco in salsa social
di Michela Damasco
Prendi l’ultima domenica dell’anno: fuori c’è una luce abbagliante agevolata dal cielo azzurro. Metti che decidi di fare una passeggiata al parco del Valentino in tarda mattinata. Lì t’imbatti in un gruppo di persone che corre passandosi una palla ovale. Giocano una specie di rugby (il touch, per l’esattezza), ma la loro presenza lì non è un caso. Formano il Gipetouch, squadra di Social Touch Rugby a Torino e dintorni. Qualcosa in più di un semplice gruppo di amici: una “squadra aperta”, perché chiunque può partecipare, che poggia però su basi solide.
L’idea nasce da alcuni colleghi-amici, appassionati di rugby, che si ritrovano a vedere le partite del torneo Sei Nazioni e pensano di ritrovarsi anche per giocare. “All’inizio la sfida era essere almeno in sei, per poter giocare tre contro tre”, raccontano col sorriso.
Da quando tutto è cominciato, cioè la tarda estate del 2011, il gruppo è arrivato oggi a comprendere circa 120 iscritti in mailing list, di cui una ventina di donne. Il ritrovo è al Valentino tutti i sabati dell’anno – a volte si gioca di domenica per motivi organizzativi – e ogni giovedì sera in estate. Come spiegano anche sulla loro pagina facebook, si danno appuntamento, tracciano il campo di gioco (la cui grandezza varia in base al numero di giocatori) col nastro bianco e rosso, e giocano.
Dopo la partita, che dura un’ora e mezza, con due tempi da 40 minuti, scatta il classico terzo tempo: birra, cibo, risate in compagnia. “A quel punto, parte una vera e propria gara di cucina” spiegano i partecipanti all’ultima partitella dell’anno.
Due di loro, Roberto Cortese e Francesco Rasero, fanno parte dei veterani che hanno fondato il Gipeto social touch rugby: con loro, Enrico Di Nola, Alessandro Ciccarelli, Oscar Maroni, Nicola Zaquini, Marcello Monteccone, Stefano Bo e altri. Il gruppo storico è di Torino, ma c’è anche chi proviene dal resto del Piemonte, da altre regioni e dall’estero. Il passaparola funziona: si sono presentati ad esempio ragazzi provenienti da Spagna, Irlanda, Stati Uniti, ma anche neozelandesi, venezuelani, francesi, senegalesi, che si trovano a Torino per studio o per lavoro; accanto agli aficionados c’è un ricambio continuo, così come varia è l’età. “Non c’è mai stata una partita di soli italiani”, aggiungono.
Il nome della squadra è curioso: “Gipeto”, ossia l’avvoltoio delle Alpi, è stato ideato da uno di loro, appassionato ornitologo, mentre “social” si riferisce all’importanza del passaparola, che si avvale sempre più spesso dei social network. “Touch” richiama invece una delle numerose varianti del rugby in cui il placcaggio è stato sostituito dal “tocco”: il giocatore che viene toccato da un avversario deve passare la palla. Il vantaggio di questa versione soft è che possono giocare tutti senza il rischio di farsi male, perché il contatto fisico è pressoché nullo. Viene spesso giocato dai rugbisti in fase di riscaldamento durante gli allenamenti.
In realtà, il tocco è solo una delle differenze rispetto al rugby così come lo conosciamo – quello del “Sei Nazioni”, per intenderci, ossia Rugby Union, a 15 giocatori. In Italia, sono rappresentati il touch football e il touch rugby IRB. Il primo, la cui Federazione internazionale (FIT) è stata fondata nel 1985 in Australia, è figlio del rugby league (a 13 giocatori) ed è rappresentato da Italia Touch, associazione Aics che dal 2007 si occupa della promozione della disciplina. Il campionato va da ottobre a luglio ed è strutturato in tanti tornei organizzati dalle varie squadre, nei quali vengono assegnati punti ranking che servono per definire il tabellone della finale nazionale che si tiene in estate. Fino all’anno scorso, l’unica squadra piemontese era quella dei Leprotti di Torino, ma il movimento sta crescendo e quest’anno ci sono anche i Rabatons di Alessandria, oltre a realtà “in costruzione” come il Settimo e – dicono dalla federazione – proprio il Gipeto touch a Torino. Il 26 gennaio, i Leprotti hanno organizzato il loro primo torneo, di classe C – con finalità più regionali o interregionali –, mentre è in programma per il 10 maggio il torneo internazionale di classe A, che assicura il maggior numero di punti validi per il ranking.
La seconda variante, invece, è nata nel novembre 2010 per volontà dell’International Rubgy Board (IRB), organo di governo mondiale del rugby union: diversamente dal Touch della FIT, non è considerato uno sport a sé ma una variante del rugby. Il regolamento fa riferimento a quello del rugby a 15, il placcaggio è sostituito dal tocco e le mischie possono essere introdotte solo in alcune situazioni.
Questa disciplina è promossa dalla Lega Italiana Touch Rugby, associazione sportiva dilettantistica nata per la diffusione del rugby con l’organizzazione e lo sviluppo del touch rugby IRB. Il campionato, alla quinta edizione, si svolge in una serie di “tappe”, ognuna delle quali fa guadagnare punti. Quindi, maggiore è il numero di tornei a cui si partecipa, più alta è la possibilità di fare punti e arrivare tra le prime quattro che si giocheranno la finale nazionale a maggio. Le prime due tappe si sono svolte il 18 gennaio. Al momento, non ci sono squadre piemontesi ufficialmente iscritte, ma ogni anno, in estate, quando viene organizzato il Tour dei Tornei della Solidarietà, il Valsesia Rugby partecipa attivamente.
Le due discipline hanno in comune, oltre al divieto di passare la palla in avanti e al tocco, la durata degli incontri (40 minuti, in due tempi da 20), il numero di giocatori (sei in campo, in totale 14, maschi e femmine), il numero di tentativi per segnare una meta (sei).
Anche se in quanto a organizzazione non ha nulla da invidiare a squadre più strutturate, per ora il Gipetouch social touch rugby non è iscritto a nessun campionato ufficiale: “Ci abbiamo pensato, dicono, ma giochiamo in maniera un po’ diversa”. Loro non seguono infatti la regola dei sei tentativi per segnare una meta e calciano la palla. In questo, si avvicinano di più a una terza forma, il Touch Rugby League, nato nel 2005 come variante del rugby league (a 13) che prevede il calcio e un gioco più veloce. C’è poi ancora il tag rugby dove, in sintesi, il tocco è sostituito da due nastri appesi a una cintura: per fermare l’avversario, se ne deve strappare uno.
Tutte queste distinzioni, però, ai Gipeti interessano poco. Loro prediligono la parte social: ritrovo ogni settimana, per tutto l’anno, partita, terzo tempo. Più si è, meglio è, in particolare per il terzo tempo, quando arrivano anche a essere una quarantina. Accolgono chiunque sia interessato e voglia provare: “Anche chi passa semplicemente da qui, se si avvicina troppo, rischia di entrare nel nostro campo gravitazionale e lo chiamiamo”, com’è successo a un ex Nazionale italiano di rugby che ha poi giocato qualche partita con loro. Provano anche piccoli schemi, la scorsa estate hanno organizzato una trasferta a Finale Ligure, giocando a social beach touch rugby e hanno disputato due test match contro l’Amatori Rugby 1974 di Carmagnola, squadra che milita nella serie C di rugby. Un gemellaggio sportivo che proseguirà quest’anno, sempre all’insegna di risate, fair play e terzi tempi in compagnia.