Leumann: nuovo, vecchio, modo di fare industria
di Andrea Piscitello
A Collegno, immerso nel disordine urbanistico e affacciato sul trafficato Corso Francia, vi è un incantevole villaggio che non si fatica a definire fiabesco: il Villaggio Leumann.
Era il 1875 quando l’imprenditore svizzero Isaac Leumann e il figlio Napoleone decisero di trasferire da Voghera alla campagna torinese l’azienda di famiglia. La scelta ricadde su un grande lotto di terra collegnese, soprattutto per merito delle agevolazioni offerte dalla città di Torino.
Spodestata del ruolo di capitale in favore di Firenze prima e Roma poi, all’epoca il capoluogo piemontese concedeva terreni a buon mercato ed agevolazioni fiscali, al fine di riacquistare primaria importanza fra le maggiori città italiane ritagliandosi il ruolo di capitale dell’industria. Contribuirono anche alla scelta dei Leumann l’ampia offerta di manodopera a basso costo e la vicinanza della bealera di Grugliasco e della nuova e moderna ferrovia Rivoli-Torino.
A Napoleone però, seguace delle idee degli ingegneri igienisti che nella seconda metà dell’Ottocento si posero per primi i problemi delle abitazioni operaie e dell’igiene urbana, allargare gli affari non bastava. Così, succeduto al padre, decise di far nascere un nuovo “Essere industriale” con al centro la fabbrica, cuore pulsante del Villaggio, provvisto di istituzioni sociali e previdenziali a garanzia di una maggiore qualità di vita degli operai, relativamente al lavoro così come al privato, in modo che ad essa corrispondesse l’ottima fattura che ha caratterizzato i prodotti del Cotonificio Leumann. Un’area ben definita, quindi, dove lavoro, famiglia, tempo libero, ma anche organizzazione urbanistica e architettonica erano strettamente connessi formando un contesto socialmente evoluto ed efficiente.
Il complesso era costituito da una sessantina di villette a due piani divise in 120 alloggi, ognuno provvisto di servizi igienici e orto-giardino al piano terreno, in aperto contrasto con gli alti casermoni operai di quell’epoca. Vide la luce nel 1907 per mano dell’ingegnere Pietro Fenoglio, massimo esponente del Liberty torinese.
Nel tempo vennero aggiunti altri edifici indispensabili a una piccola ma sostanzialmente autonoma comunità: una palestra, i bagni pubblici, uno spaccio alimentare, un albergo, il Convitto delle Giovani Operaie, una mensa, un ambulatorio, un ufficio postale e, di particolare interesse per diversi motivi, la scuola elementare e materna e la chiesa dedicata a Sant’Elisabetta, dal nome della madre dell’imprenditore svizzero. Infine, la piccola stazione.
Essendo Napoleone fermamente convinto che una sana istruzione fosse un elemento fondamentale per formare i buoni operai del futuro, fece costruire una scuola con sei classi elementari e, al piano terra, l’Asilo Infantile Wera, dedicato alla memoria della figlioletta scomparsa in giovane età. I libri erano forniti gratuitamente dall’istituto, nonostante la fornitissima biblioteca già presente. Gli studenti potevano beneficiare delle attrezzature e dei metodi didattici più avanzati del periodo, e Leumann era solito premiare i bambini più meritevoli con doni o piccole somme accreditate su libretti postali.
Particolare attenzione era dedicata all’attività fisica, praticata ogni giorno in cortile o in palestra, con l’assistenza del medico del cotonificio. I corsi serali per gli operai, attivati successivamente, attirarono persino le positive attenzioni delle autorità scolastiche regie. In seguito la scuola ospitò solo le classi elementari. Fu chiusa poi per lavori di restauro e ristrutturazione finiti solo nel 2005, anno di ripresa delle regolari lezioni. Colpisce particolarmente la decisione di far costruire nel Villaggio una chiesa cattolica, nonostante Leumann fosse di religione calvinista.
Utilizzando già la ferrovia a scartamento ridotto Torino-Rivoli per trasportare le merci nel magazzino di Piazza Statuto, Napoleone decise di far costruire una stazionetta di fronte all’ingresso del cotonificio, per facilitare i pendolari che raggiungevano il Villaggio in treno. Dal 1911 la linea ferroviaria divenne tramvia elettrica a scartamento ordinario e infine, per la necessità di allargare Corso Francia in seguito alla crescente urbanizzazione e l’aumento del traffico automobilistico dopo la seconda guerra mondiale, una linea filoviaria ad opera del Comune di Rivoli. La stazione, ormai ai margini del corso, diventò uno spogliatoio per i vicini campi da tennis, e poi fu abbandonata. Solo nel 1998 la Città di Collegno decise di trasformarla nell’unica testimonianza della vecchia ferrovia che percorreva quella strada.
La fabbrica, che effettuava lavorazioni di tessitura, tintura e fissaggio, lavorò a pieno regime dal 1875 al 1972, quando la grave crisi del settore costrinse gli eredi di Leumann a ridimensionare l’attività. Con la chiusura definitiva nel 2007, lo spettro della speculazione edilizia sembrava minacciare il Villaggio, ma una tempestiva e consapevole opera di salvaguardia ha permesso il mantenimento di quasi tutte le strutture.
Gli immobili sono stati acquistati dal Comune di Collegno, che ha riassegnato le restanti abitazioni secondo la graduatoria dell’edilizia popolare, mentre alcune restano ancora abitate da ex dipendenti del Cotonificio
Leumann. È stata ripristinata anche parte della cancellata metallica che circondava lo stabilimento, requisita ai tempi del fascismo. La Provincia di Torino, ora Città Metropolitana, ha nominato il Villaggio “Ecomuseo sulla Cultura Materiale”. Oggi è anche sede di un Centro di Documentazione e di saltuarie rappresentazioni espositive e teatrali – ad esempio, nel 2012 è stata l’ambientazione del film È nata una star?, con Luciana Littizzetto.
Grande merito per il mantenimento e la valorizzazione del Villaggio Operaio deve essere sicuramente dato all’Associazione Amici della Scuola Leumann, che deve il suo nome alle riunioni tenute all’interno del già citato istituto. Questi volontari, per lo più anziani, si occupano della promozione e del mantenimento della memoria storica, con visite guidate per scolaresche e gruppi, oltre che con varie attività culturali ed iniziative per la ristrutturazione degli edifici.
Si è quindi di fronte all’opera di un imprenditore illuminato, sul quale non mancano però le ombre di un estremo controllo esercitato sui suoi operai: leggenda vuole che Napoleone ottenesse la chiusura di un’osteria vicina al Villagio per evitare distrazioni dei lavoratori. Non gli si può però togliere il merito di aver introdotto un nuovo, vecchio, modo di fare industria, in cui diritti e doveri di padrone e operai sono evidenti e ben delineati. Un equilibrio delicato, un modello difficilmente applicabile ai giorni nostri in quei termini.
Questo articolo ha ricevuto una menzione alla IX edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura