La mostra di Palazzo Madama ci fa conoscere un diplomatico piemontese del Duecento tanto fondamentale quanto sconosciuto
di Lucilla Cremoni
“Questi sono gli oggetti che il Cardinale Guala … assegnò a Tommaso priore e canonico di Sant’Andrea di Vercelli… Anno del Signore 1224 il giorno dopo la festa di San Martino Vescovo. In primo luogo tredici piviali dei quali sette sono in sciàmito rosso, e uno di catasciamito rosso, quattro di porpora ed uno di panno in seta color indaco foderato di zendado rosso e ricamato d’oro nella parte esterna. Inoltre cinque dossàli… Inoltre sette pianete … quattro dalmatiche… Inoltre quattro baldacchini processionali…. Inoltre alcuni panni in seta… Inoltre… trentadue tovaglie tra grandi e piccole … oltre alle quali una grandissima tovaglia che è la trentatreesima…. Inoltre sessantadue maniche di baldinella…. Inoltre tre croci d’argento … e una d’oro … cinque calici d’argento tutti consacrati di cui due dorati. Due turiboli uno d’argento e l’altro di manifattura di Limoges. Inoltre due grandi tappeti… Inoltre due bacili in argento, inoltre due ampolle in argento. Inoltre un pomo scaldamani in argento. Inoltre un vaso di diaspro… Inoltre un’ampolla in cristallo … Inoltre un pomo di cristallo. Inoltre un altare portatile… Inoltre un frammento di croce in argento.. inoltre il fermaglio di piviale d’argento dorato. … Inoltre quattro flabelli… Inoltre una custodia per le mitrie”.
Inoltre, inoltre, inoltre…
Un inventario interminabile e dettagliatissimo di arredi e paramenti liturgici, stoffe preziose, reliquiari, oggetti d’uso di mirabile fattura appartenuti a un personaggio ricchissimo, coltissimo, raffinatissimo e potentissimo quale fu il cardinale Guala Bicchieri, il vero protagonista della mostra Lo scrigno del cardinale. Guala Bicchieri collezionista di arte gotica tra Vercelli, Limoges, Parigi e Londra, visitabile nella Sala Atélier di Palazzo Madama fino al 6 febbraio 2017 e il cui pezzo forte è appunto il cofano che dal 2004 fa parte della collezione permanente del Museo.
Diciamolo subito: non vedrete una fila di aspiranti visitatori che si snoda attorno al palazzo; chi si aspetta di vedere dal vivo opere di cui magari ha la riproduzione incorniciata nel tinello resterà deluso e, constatando che sta tutti in una sola sala, e fra le più piccole del palazzo, potrà pure uscirsene con un “tutto qui?”.
Ma, con tutto il rispetto per le indispensabili – e tutt’altro che brutte – mostre blockbuster che attirano frotte di turisti, questa è una di quelle che sono e fanno davvero cultura e divulgazione. Non solo perché l’allestimento contestualizza e storicizza ogni pezzo in modo eccellente. Ma soprattutto perché propone un’accurata selezione di pezzi provenienti dal Piemonte e dall’estero, alcuni dei qualli conservati in musei importanti in cui rischiano di non ottenere la giusta attenzione in mezzo a tanti altri capolavori. E e perché sancisce l’inserimento a pieno titolo di Torino in un circuito internazionale, la Rete europea dei musei di arte medievale, che include musei di Parigi, Utrecht, Vic in Catalogna, Firenze, Anversa, Colonia. Lo scrigno del cardinale è infatti una co-produzione italo-francese fra Palazzo Madama e il Musée de Cluny – Musée national du Moyen Âge di Parigi dove si è già svolta fra aprile e settembre di quest’anno.
Sarebbe però riduttivo definirla una mostra itinerante, perché ci sono significative differenze di taglio fra la mostra parigina e questa: la prima si concentrava soprattutto sulla produzione di Limoges, e in particolar modo su quella a carattere profano. Oltre ad articoli liturgici, infatti, le botteghe della città producevano oggetti e suppellettili come fibbie, foderi, impugnature, candelieri, bacili e, ovviamente, cofani, la cui decorazione presentava anche temi non devozionali: dagli intrecci vegetali agli animali dei bestiari, dall’amor cortese alle scene di caccia e battaglia, dalla raffigurazione delle stagioni ai mestieri e ai lavori dei campi. A questa produzione la mostra dedica un’intera sezione e non trascura di dedicarne un’altra alla diffusione della scuola e delle tecniche limosine. In particolare la complessa lavorazione champlevé, di cui sono presentati esempi mirabili come i medaglioni facenti parte del tesoro della cattedrale di Vercelli fin dal 1270 e staccati dai cofani donati da Simone de Faxana, già canonico di Sant’Eusebio. O la scatola con scene cortesi – forse il portagioie di una dama – ritrovato nel 1873 durante uno scavo archeologico nel sito dell’abbazia di Saint-Martial de Limoges.
Anche la mostra di Palazzo Madama si focalizza sulla componente locale. Che in questo caso è proprio il cardinale.
E forse il merito principale della mostra è proprio quello di portare all’attenzione del pubblico un protagonista della scena internazionale tanto importante quanto semisconosciuto.
Perché, ammettiamolo: a molti di noi il nome Guala tutt’al più ricorda una via e una piazza in zona Lingotto. Ma quel Guala si chiamava Pierfrancesco, faceva il pittore nella prima metà del Settecento, e non è propriamente di quelli indispensabili.
Il nostro Guala invece – il cardinale – è Guala Bicchieri, del cui nome esistono diverse trascrizioni (Guala Bicheri, Guala Biccheri, o anche Giacomo/Jacopo Guala Beccaria) e fu protagonista fra i protagonisti della politica e della diplomazia nella prima metà del Duecento.
Un personaggio straordinario di mecenate, diplomatico, giurista, collezionista, una figura di rilevanza internazionale come poche, eppure di fatto sconosciuto, soprattutto nella sua terra natale. Un caso non unico in Piemonte, e che ricorda quello, di un paio di secoli antecedente, di Guido/Guglielmo da Volpiano (se ne parla nell’articolo su Fruttuaria).
Come era tipico dell’epoca, la carriera ecclesiastica e quella diplomatica si fondono nella sua intensa attività.
Nato attorno al 1250 (o 1270, secondo altre fonti) a Vercelli da una famiglia aristocratica, entra nei Canonici regolari di San Pietro a Pavia, si laurea a Bologna in utroque iure, cioè “in entrambi i diritti” (canonico e civile) ed è creato cardinale nel 1205. La Santa Sede gli affida missioni delicate, cominciando con quella di riportare la pace tra senesi e fiorentini. Nel 1208 è legato pontificio a Parigi e nel 2016 Innocenzo III lo manda in Inghilterra, dove infuria la guerra civile fra i baroni sostenuti dalla Francia e il re Giovanni, e la Chiesa locale è allo sbando.
L’opera di Bicchieri si rivela determinante per salvare la corona inglese e proprio a lui si deve la seconda stesura e ratifica della Magna Charta, emanata il 12 novembre 2016 e siglata dallo stesso Bicchieri, come pure la versione promulgata l’anno successivo. Per la cronaca, stiamo parlando del documento fondativo della giurisprudenza britannica, che con varie successive modifiche è tuttora in vigore e che gli storici considerano il documento alla base del concetto moderno di democrazia, quello che fra l’altro stabilisce il principio della libertà personale e l’habeas corpus.
Come ricompensa, il re d’Inghilterra assegna a Bicchieri i benefici della ricca abbazia di Chesterton, nei pressi di Cambridge. E dalle rendite di Chesterton nascerà Sant’Andrea di Vercelli, di cui parleremo in un prossimo numero.
I viaggi e soggiorni diplomatici danno a Bicchieri l’occasione per coltivare la sua passione per l’arte e costruire, fra doni e acquisizioni, la sua eterogenea collezione. Notevolissima quella di manoscritti: ne possedeva ben 118 fra testi liturgici e giuridici. Otto dei suoi codici sono giunti fino a noi e sono conservati alla Biblioteca Nazionale di Torino. Quello esposto è una piccola bibbia da viaggio prodotta nell’abbazia di Maulbronn in Renania, forse donata a Guala dall’imperatore Federico II.
E poi i reliquiari, candelabri e oggetti liturgici. Fra quelli sopravvissuti al tempo la mostra propone un raffinato coltello eucaristico, usato in epoca paleocristiana e nella liturgia ortodossa per tagliare il pane della comunione. Questo coltello, la cui impugnatura è decorata a intaglio con iscrizioni e raffigurazioni dei lavori dei mesi, sarebbe una reliquia perché una tradizione vuole che la lama sia parte della spada usata per uccidere Thomas Becket.
Un delizioso cofanetto proveniente dal Museo Leone di Vercelli introduce l’eroe eponimo, cioè il cofano che il cardinale usava come baule da viaggio. È l’unico sopravvissuto di tre scrinei operis Lemovicensis (prodotti a Limoges) citati negli inventari di cui è esposta la copia dalla quale è tratto il frammento citato in apertura.
Di un altro cofano restano però i medaglioni, staccati alla fine del Quattrocento e applicati al coro ligneo di San Sebastiano a Biella, dove rimasero fino alla fine dell’Ottocento quando furono nuovamente staccati e infine venduti a musei e collezionisti privati. Dei ventinove medaglioni originari, dodici finirono al Louvre e tre di questi sono inclusi nel percorso espositivo.
Il cofano è un capolavoro di legno, decori in smalto champlevé e rame dorato lavorato a sbalzo, cesello e traforo. È uno dei soli cinque pezzi simili al mondo, ma unico per dimensioni e raffinatezza.
Il motivo per cui è arrivato incolume fino ai nostri giorni è che per secoli nessuno ha saputo della sua esistenza. Era infatti murato nella parete sinistra del presbiterio della chiesa abbaziale di Sant’Andrea a Vercelli e fu ritrovato nel corso dei restauri del 1823-24 diretti dall’architetto Carlo Emanuele Arborio Mella. Una doppia scoperta, perché assieme al baule furono ritrovati anche i resti del cardinale che proprio nel cofano erano state riposti nel Seicento quando furono traslati da Roma, dove era morto bel 1227, e murati nella cattedrale di cui era stato l’artefice. Alle spoglie di Guala Bicchieri fu data adeguata sepoltura vicino all’altare maggiore mentre il baule fu donato a Mella dal vescovo di Vercelli.
L’architetto provvide al restauro facendo sostituire il legno ormai marcito e divorato dai tarli ma riposizionando esattamente tutte le decorazioni, e contribuendo a far conoscere il cofano attraverso una fitta corrispondenza, di cui sono esposti alcuni esempi, con studiosi e musei, vagliando e respingendo richieste di prestito del cofano per esposizioni in Francia e Germania.
Non stupisce la curiosità nei confronti del cofano, perché l’Ottocento è il secolo della riscoperta del Medioevo. I “secoli bui” – più sovente immaginati che veri – diventano di gran moda in tutta Europa coinvolgendo ogni aspetto della cultura, “Gotico” è la parola d’ordine che informa una vasta produzione letteraria, artistica e architettonica, e ovviamente le arti applicate. Anche a questo la mostra rede giustizia, dedicando l’ultima sezione alla fortuna del Medioevo in Piemonte nel XIX secolo. Sono presentati undici calchi in gesso dei medaglioni di Limoges che decoravano il coro di Biella, realizzati per essere usati a scopo didattico nelle scuole professionali: per costruire gli edifici neogotici allora tanto in voga, occorrevano infatti artigiani in grado di padroneggiare le antiche tecniche, temi e stili decorativi. Da qui alla produzione di falsi il passo è breve, soprattutto in un periodo in cui scrupoli e consapevolezze filologiche erano decisamente meno sentiti rispetto a oggi. E così succede a Biella: il Comune, che ha bisogno di fondi, decide di far staccare i medaglioni originali dal coro facendoli sostituire con delle copie realizzate dalle Scuole Professionali. Ma all’inizio del Novecento anche le copie finiscono nel mercato antiquario, ormai obliterata la distinzione fra autentico e falso.
LO SCRIGNO DEL CARDINALE
Guala Bicchieri collezionista di arte gotica tra Vercelli, Limoges, Parigi e Londra
In collaborazione con il Musée de Cluny di Parigi. A cura di Simonetta Castronovo e Christine Descatoire
Palazzo Madama, Sala Atelier
Orario
lunedì-domenica ore 10-18, martedì chiuso. La biglietteria chiude un’ora prima
Biglietti
Intero 10 euro, ridotto 8 euro, gratuito fino a 18 anni e aventi diritto
Info www.palazzomadamatorino.it