Il fiorire di gruppi di musica occitana dimostra la vitalità di una tradizione “da vivere, non da difendere”
di Giulia Salerno
La cittadina di Saluzzo nel 2016 è stata nuovamente scelta come centro per “Uvernada”, festa popolare di chiusura del festival piemontese Occit’amo, svoltosi dal 25 ottobre al 31 ottobre 2016 e assai noto dagli appassionati di musica occitana.
La XXVI edizione di Uvernada ha invaso le strade della capitale del Marchesato, con giorni di concerti al PalaCrs in cui molti gruppi, conosciuti e non, hanno portato una pietra miliare del mondo occitano: la sua musica.
Si è ripercorso, grazie agli appassionati musicisti di questo genere, un viaggio musicale nelle terre d’Oc. Dal Mediterraneo ai Pirenei, dalle Alpi all’Atlantico, si compie un itinerario nel mito: il castello di Montsegur, ultima residenza dei Catari, la Camargue di Mistral, la Sète di Brassens, la Tolosa di Gardel. Poi le Cevennes dei Camisard, i paesaggi di Joan Bodon, la masche e i silvani di Barba Toni.
Come scriveva Paul Veyne ne I greci hanno creduto ai loro miti?, “..una tradizione è veramente morta se la si difende invece di inventarla”.
Parlava della capacità di confrontarsi giorno dopo giorno con le proprie radici e di adattarle alla situazione presente in maniera nuova. Così ha fatto l’occitano Bodrero, la cui Opera poetica occitana (2011) ha fatto compiere alla lingua della minoranza occitana in Italia un salto epocale, facendo uscire dal sonno dei secoli l’antica lingua. Così i Lou Dalfin e il Comune di Saluzzo hanno saputo, per la seconda volta, presentare un connubio perfetto di novità e tradizione: numerosi gruppi emergenti hanno aderito a questo festival all’insegna di chi ama l’Occitania tanto da farne diventare un proprio stemma, rivisitando in note folk-rock una musica ormai desueta e poco ascoltata dalla maggior parte dei piemontesi.
A prima vista, sembrerebbe una sperimentazione azzardata: congiungere una tipologia musicale di nicchia con uno stile forte e d’impatto come il rock è stata la scommessa che Sergio Berardo ha voluto porre al di fuori dell’area occitana.
I risultati hanno superato le aspettative. È straordinaria la varietà dei ritmi e dei temi del ballo che possono cambiare da valle a valle, da paese a paese: e sono sempre più numerosi i giovani che aderiscono a queste iniziative.
Numerose sono le jam session, o meglio, marmelada in lingua d’oc, durante il corso dell’anno, proprio perché alla base di questo fenomeno d’aggregazione all’insegna della buona musica c’è chi ama ballarla e suonarla e che quindi lo farebbe sempre, anche con la pioggia o la neve. Una conosciuta iniziativa è quella di “Marmelada d’oc”, che si ripete ormai da cinque anni in Piazzetta Reale a Torino, organizzata da un gruppo di ragazzi appassionati di musica popolare e bal-folk tramandati di generazione in generazione. Questo evento lascia spazio all’improvvisazione, ed è aperto a chiunque abbia uno strumento occitano come la ghironda o l’obo, ma anche come tamburelli e flauti. È proprio in questi momenti che viene rotto il ghiaccio tra tradizione e divertimento, i musicisti iniziano a suonare e intorno a loro si crea un cerchio di persone che balla fino a notte tarda nel cuore di Torino.
I nuovi cantastorie raccontano, con l’ausilio di strumenti come la fisarmonica, la ghironda, il fagotto, il flauto, la cornamusa, l’arpa celtica e le chitarre, storie da ascoltare e da ballare, vere o verosimili e a volte un po’ gonfiate. Il repertorio è vasto e articolato, centrato sulla musica occitana dei due versanti delle Alpi, ma con sconfinamenti verso la Bretagna, i Paesi Baschi e i Paesi scandinavi. L’approccio è spontaneo e generoso, da veri amoureux della danza e del rapporto di scambio ed arricchimento reciproco che si crea con i ballerini.
Si sta assistendo ad un fiorire di gruppi musicali e di appassionati di ballo, di feste di piazza in cui la gente si riappropria di tradizioni secolari rivitalizzandole con una forte carica di energia: poter condividere un’esperienza simile non è solo motivo di gioia per il singolo musicista o ballerino, ma è un modo per far risvegliare la nostra regione dal dormiveglia culturale. Non si tratta di assistere a semplici concerti: melodie popolari, ritmiche moderne e sonorità rock creano uno spettacolo multiforme e la sorprendente versatilità di strumenti relegati da sempre ad ambientazioni ancestrali esce allo scoperto, dando modo di far emergere una performance variopinta.
L’ubicazione di questi concerti sui generis, è spesso molto rustica, in linea con le tematiche cantate e suonate: Torino, pur essendo capoluogo, non è tra i posti prediletti per dar sfoggio a questa forma musicale reinventata.
Ogni ricorrenza patronale o festa campestre è un’occasione per vivere la musica e danzare, e ci sono concerti e appuntamenti tutto l’anno: una delle feste musicali più importanti nelle valli piemontesi è la Baïa (o Baìo) di Sampeyre, in Val Varaita, che si tiene ogni cinque anni. (l’ultima edizione si è svolta a febbraio 2017). E pure la Notte della Courenda che si tiene all’inizio dell’estate nel capoluogo piemontese: la courenda è il ballo tradizionale più antico delle Valli di Lanzo, è la regina delle danze tradizionali, la più tipica danza valligiana di tutto l’arco alpino occidentale.
Tenendo vive queste tradizioni, il Piemonte mantiene intatta la propria identità storica e il proprio particolarismo culturale, le cui sfaccettature riflettono il patrimonio folkloristico locale. Proprio per questo, bisogna incentivare chi, anche alle prime esperienze, ha voglia di mettersi in gioco, portando alla luce una tradizione per anni oscurata e ora pronta a rinascere. Numerose band hanno già intrapreso quest’ardua strada e molto spesso capita che non riescano ad emergere e a farsi conoscere come meriterebbero poiché in una società che vive di musica commerciale, gli one shots non sono più tanto apprezzati quanto dovrebbero. La musica occitana oltre ad essere una parte della nostra storia come regione, è anche un modo per veicolare un messaggio più profondo: essere uniti per aver avuto e avere in futuro, qualcosa in comune, per rendere il Piemonte una regione moderna ma allo stesso tempo culturalmente solida.
Ecco perché, rendere viva una città o un paese di pochi abitanti non significa solamente saper apportare innovazioni dal punto vista politico e imprenditoriale, ma anche riuscire a rivisitare in chiave moderna quello che già si ha, in questo caso una tradizione nascosta nelle vallate piemontesi, rendendola motivo di unione e condivisione.
Questo articolo ha ricevuto una menzione alla X edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura