Una serata davanti a un falò valdese
di Eliseo Manduzio
Provate a immaginare un’enorme torta con decine di candeline, magari una torta alla panna come quelle che si fanno per festeggiare un compleanno. Questo pressappoco è lo spettacolo che si può osservare nelle Valli Valdesi la sera del 16 febbraio. I monti bianchi di neve vengono illuminati da numerosi falò per festeggiare, in effetti, una specie di compleanno. Perché in fondo di qualcosa di simile si tratta.
Ogni anno in questa data si celebra la conquista dei diritti civili e politici per i popoli valdesi, avvenuta nel 1848. Quell’anno rappresenta una tappa cruciale per la storia piemontese e italiana: dopo secoli di assoggettamento politico e religioso, si cominciava a respirare aria di emancipazione. Cavour, influenzato dal pastore evangelico Vinet, protendeva per una separazione tra Stato e religione; nei salotti e negli ambienti culturali e politici della Torino dell’epoca cominciavano a serpeggiare tendenze liberali.
In quest’atmosfera di mutamenti, nella fredda notte del 16 febbraio, Re Carlo Alberto firma le Patenti Albertine. Il Regno del Piemonte pone finalmente termine alla secolare discriminazione nei confronti dei Valdesi, massacrati, trucidati e repressi nel passato; vengono riconosciuti i loro diritti civili, in pratica si concede loro il diritto di esistere. A firma avvenuta, si narra che alcuni giovani a cavallo fossero partiti da Torino per informarne i fratelli. Dopo una lunga cavalcata notturna, arrivati alle valli, i valdesi accesero dei falò sulle alture per comunicare la gioiosa notizia ai villaggi limitrofi. Ancora oggi si ricorda quest’avvenimento, accendendo appunto dei falò.
Quest’anno decido di prendere parte anch’io a questo memoriale. Mi ritrovo così intorno alle 20 a Villar Pellice, infreddolito e incuriosito. Al punto di ritrovo acquisto una fiaccola e insieme ad alcune decine di persone ci si reca al luogo designato per il falò. La fiaccolata, con in testa il pastore, si snoda lungo il paesino. Qualcuno intona un canto, ci si alita sulle mani congelate e si cerca di evitare il fango causato dalla neve e dalla pioggia caduta durante tutta la giornata. Arrivati sul posto, ci uniamo ad altre persone già presenti, raccolte intorno ad una catasta di legna e fascine assemblata dall’Associazione Nazionale Alpini. Il pastore pronuncia un breve ma incisivo discorso per commemorare un avvenimento che segnò l’inizio di una nuova epoca per i Valdesi e per il Piemonte stesso che da quel momento avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel Risorgimento.
Una libertà conquistata con fatica, al prezzo di molto sangue, la fine della ghettizzazione dei Valdesi all’interno delle loro valli: una splendida prigione naturale fatta di cime, di fiumi e di alberi, ma pur sempre una prigione. I Valdesi, infatti, fino al 1848 non potevano frequentare le scuole pubbliche e acquistare terre se non in quell’angolo di Piemonte dove si parla tuttora occitano. Questo falò ricorda tutto ciò, ma fa anche riflettere sull’importanza della libertà di culto, fondamentale diritto di uno Stato democratico.
Mentre mi avvicino al fuoco per scaldarmi e farmi incantare dal gioco delle fiamme, mi viene naturale collegare questo falò con roghi di ben altro tipo. Come non associare questo fuoco liberatorio e festoso al fuoco dei roghi degli “eretici valdesi” che illuminarono queste vallate e città come Pinerolo e Torino? Come non ricordare le migliaia di evangelici perseguitati e massacrati senza nessun rispetto per donne o bambini durante le cosiddette “Pasque Piemontesi” del 1655?
Le mie considerazioni storiche e religiose vengono distolte dal canto di alcuni inni. La corale valdese si schiera con le spalle al falò e comincia a intonare alcuni canti in questa festa religiosa ma anche popolare e sociale. L’atmosfera è veramente suggestiva. Un centinaio di persone intorno al fuoco, bambini che corrono e giocano a tirarsi la neve schiamazzando in occitano, i vecchi raccolti vicino al fuoco per combattere il freddo, alcuni seduti in prima fila su sedie portate da casa. Intorno, i pendii illuminati qua e là da altri falò. Gli Alpini tirano fuori il vin brulé e tutti ne approfittano per scaldarsi un po’.
Ascolto la corale gustando il vino caldo, investito da alitate di cannella e vampate di fumo. Tostato davanti e ghiacciato dietro osservo il falò consumarsi. Il vento freddo sferza le fiamme, ma non riesce a spegnerle. Il fuoco della libertà continua a bruciare. La libertà è come questo falò che illumina e riscalda il corpo e da gioia all’animo, ma allo stesso tempo è importante ricordare che non è prudente giocare col fuoco. Un fuoco deve essere delimitato e sorvegliato per evitare il rischio di provocare danni. In questo senso, la libertà non deve essere intesa come spasmodica ricerca di uniformità e conformismo nel nome di una non meglio definita unità. Gesù ha detto che è la verità a rendere liberi. Se la libertà non viene alimentata dalla verità, diventa un fuoco non circoscritto, dai bordi indefiniti che rischia di devastare tutto ciò che le sue fiamme lambiscono. Lasciando dietro di sé solo un mucchietto di insignificante e uniforme cenere.