Mombello-Bruxelles, solo andata
Le idee chiare di Alessia Ciardo
di Gabriella Bernardi
Ormai non è insolito andare all’estero e scoprire diversi connazionali che studiano o lavorano, ma chi inizia con una laurea con indirizzo Studi Internazionali sa bene che questa strada lo porterà lontano da casa. Un esempio è Alessia Ciardo, laureata a Torino nemmeno troppo tempo fa e ora residente in Belgio. Però guai a dire che è un giovane cervello in fuga, non si tratta certo di questo fenomeno, e conoscendola capiremo meglio il perché.
La tua carriera sembra nascere da una laurea molto particolare – o forse la scintilla è scattata da prima. Di dove sei, e quali aspirazioni avevi prima di iniziare questo percorso formativo?
“Sono cresciuta a Mombello di Torino, un paesino di quattrocento abitanti sulle colline torinesi. Ho iniziato a viaggiare sin da piccola, io e mia mamma durante l’estate accompagnavamo mio padre nei suoi viaggi di lavoro. L’idea, o forse, la predisposizione al viaggiare per lavoro è nata lì. Al liceo come tutti, ho iniziato a interessarmi alla politica e ho deciso che volevo diventare ambasciatrice. Così ho iniziato la triennale a Scienze Politiche”.
Come hai scoperto gli “Studi Internazionali”, e di cosa si tratta esattamente? Ha a che fare con la carriera diplomatica?
“Sì, Studi Internazionali è uno dei corsi di studio di partenza per la carriera diplomatica, che era quello che sognavo di fare. È una branca di Scienze Politiche che non si concentra sul sistema-Stato ma sul sistema-Mondo e le relazioni tra gli stati. Comprende politica, economia, diritto, sociologia, lingue. Insomma tutte le basi per capire come funzionano le relazioni tra i vari Paesi e come queste influiscano all’interno di ciascun Paese e di conseguenza la nostra vita di tutti i giorni”.
È una strada scelta consapevolmente e seguita da molti? Quali prospettive garantisce, o cosa ti aspettavi?
“Sì, credo siano molti a prendere questa strada, anche se non so quanto consapevolmente. Come qualunque laurea umanistica, non garantisce prospettive, direi piuttosto che apre possibili strade alternative. Io, come detto, volevo diventare ambasciatrice. Durante il mio corso di studi però, mi sono resa conto che più che alla politica o al diritto ero interessata all’aspetto comunicativo delle relazioni internazionali, così ho cercato qualcosa che mi portasse nella nuova direzione facendo però tesoro di quello che avevo già imparato. Così, “gugolando” i miei sogni, ho trovato il Master in Comunicazione per le Relazioni Internazionali alla IULM di Milano”.
Dopo la laurea è stato naturale proseguire con un Master sempre nello stesso ambito? E dato che si parla di studi internazionali qual è l’importanza delle lingue straniere?
“Non è stato esattamente naturale. Il percorso classico è una specialistica in Relazioni Internazionali, che rimane nell’ambito politico anziché spostarsi in quello della comunicazione. Come dicevo però, studiando ho scoperto nuovi ambiti di studio che mi appassionavano e ho deciso di seguirli, senza però lasciare da parte il mio percorso precedente. Prima di iscrivermi tuttavia mi sono presa due mesi sabbatici di volontariato in Ungheria. Insegnavo inglese ai bambini nelle scuole, ma lo scopo principale del programma era far capire che esistono molti Paesi, con molte culture, insegnare il rispetto e l’apertura mentale e che imparare altre lingue è importante. E sì, le lingue sono naturalmente molto importanti. Più che studiarle sui libri però, quello che serve è usarle, praticarle in continuo”.
Si arriva anche a un’altra specializzazione alla Diplomatic Academy a Vienna. E nel frattempo avrai anche conciliato varie esperienze lavorative…
“Quella della Diplomatic Academy è un’esperienza che ho fatto nel corso di un corso intensivo co-organizzato dall’Università VUB di Bruxelles e dalla stessa Diplomatic Academy. Dopo un primo tirocinio in un’agenzia di comunicazione a Bruxelles e dopo aver deciso di non rientrare in Italia (almeno non subito, diciamo) ho iniziato a cercare lavoro e mi sono resa conto che mi mancava un focus maggiore sulle istituzioni europee (possibile datore di lavoro) e sulle relazioni tra le istituzioni europee e quelli che sarebbero stati i miei più probabili datori di lavoro, cioè le svariate organizzazioni e associazioni che rappresentano interessi – dalle minoranze ai produttori di moquette, quello correntemente conosciuto come lobbying.
Lobbista?
“Infatti in quel periodo avevo deciso di diventare lobbista – non uno di quelli squali che si vedono nei film, anche se ammetto che hanno un certo fascino. Ho fatto un’esperienza di “assistente relazioni istituzionali” (wow, è difficile tradurre i titoli in italiano!) presso il Fair Trade Advocacy Office, cioè l’organizzazione che rappresenta gli interessi del commercio equo-solidale”.
Come ti avevano preparata gli studi per questa nuova avventura?
“Come dicevo, Studi internazionali e Comunicazione non ti danno garanzie ma aprono scenari. Puoi adattarti flessibilmente a diversi profili e cambiare strada se scopri qualcosa di nuovo che ti appassiona. E infatti, durante quel periodo, c’è stata un’altra evoluzione. Per un meeting al Parlamento Europeo del gruppo parlamentare sul commercio, mi sono occupata di organizzare la visita di due coltivatori di arance brasiliani, che hanno spiegato come una multinazionale che produce succhi di frutta (e che preferisco non nominare) deporti e sfrutti i contadini poveri in Brasile per la produzione delle arance da succo. Quello, e un altro paio di eventi che ho organizzato in seguito, mi hanno fatto capire che quello che volevo fare era organizzare eventi. Questo è tuttora valido dopo quattro anni, ma non mi sbilancio a dire che sia definitivo. Dopo Fair Trade, ho collaborato con altre organizzazioni, facendo eventi e campagne: il Network Europeo Contro il Razzismo (ENAR), l’associazione europea dei produttori di energie marine rinnovabili (Ocean Energy Europe) e Animal Task Force, che si occupa di allevamento sostenibile”.
Vivi a Bruxelles, ma viaggi molto. Adesso di cosa ti occupi?
“Toujour Bruxelles, a partire da quel settembre 2012 in cui sono arrivata per il mio primo stage. Attualmente mi occupo sempre di organizzazione eventi, non più per associazioni ma per un’agenzia. Sì, mi ritrovo a viaggiare molto, per lavoro e per piacere. Il vantaggio di Bruxelles è di essere nel cuore dell’Europa, e molte capitali (Parigi, Londra, Amsterdam) sono raggiungibili in un paio d’ore di treno. Poi ci sono gli eventi all’estero e quando ne ho la possibilità rimango un paio di giorni in più per visitare il posto – anche se è raro, visto che gli eventi che organizziamo si susseguo a ritmo intenso”.
Cosa ti appaga di più o di meno nel vivere e lavorare all’estero?
“Quello che mi appaga di vivere qui è la possibilità di scelta, le opportunità di apprendimento e di scambio. Non ho mai voluto rimanere in Italia. Sin da piccola m’immaginavo a percorrere il mondo, ma a volte mi mancano alcune cose. Mia mamma in primis. Mi mancano i luoghi che la mia retina per vent’anni ha registrato come casa, e alcuni amici. Non mi manca la mia lingua, perché a Bruxelles gli italiani sono tantissimi e molte delle persone che frequento sono italiane”.
Previsioni per il futuro?
“Come dicevo, da quattro anni a questa parte la mia strada sono gli eventi, però chissà. Per ora voglio crescere professionalmente in questo ambito. È un settore in continua evoluzione e le cose da imparare sono sempre tante. Forse a un certo punto lascerò Bruxelles e continuerò questa carriera altrove. O forse scriverò un libro”.
Hai qualche consiglio per chi fosse interessato a questa professione?
“Il lavoro che faccio non era programmato, l’ho scoperto dopo esperienze collegate ma diverse, quindi non posso dare consigli specifici. Quello che posso dire, in generale, è: siate cocciuti nel fare quello che volte fare. Durante gli studi, ho intrapreso un percorso che poteva portarmi ovunque ma non mi garantiva nulla, perché ovunque può significare anche da nessuna parte. Non lasciatevi abbattere dalle difficoltà e tenete duro: io ho avuto diverse pause tra un lavoro e l’altro, la più lunga di sei mesi. Questo d’altro canto, mi ha permesso di scoprire chi ero e di apprezzare il resto. Non abbiate paura di accettare dei compromessi, soprattutto all’inizio. Molti lavori che ho fatto non erano pagati, o pochissimo, oppure non erano esattamente quello che volevo fare, ma sapevo che in qualche modo erano coerenti con la mia strada e potevamo darmi degli strumenti in più (oltre che uno stipendio). Lavorate duro all’inizio, ma fatelo per voi, perché questo vi permetterà di imparare molto e velocemente. A un certo punto, quando avrete un po’ di esperienza, vi renderete conto che lavorare sempre oltre gli orari di lavoro non vi migliora più e non vi dà uno stipendio più alto (se lavorate 10 ore al giorno per il salario di 7, nessun capo si sognerà di darvi un aumento o pagarvi gli straordinari, visto che già lo fate gratis). Riequilibrerete la bilancia del tempo naturalmente. Non abbiate paura di fare domande. Se non avete capito, se non sapete o se sentite il bisogno di un altro parere. In generale il parere di una persona con più esperienza è sempre utile, sia per confermare il vostro ragionamento che per correggerlo”.
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