Salvo Dell’Arte tra musica, accademia e tentazioni agresti
Intervista di Nico Ivaldi
Chissà se John Keating – l’anticonformista professore dell’”Attimo fuggente” che invitava i suoi ragazzi a seguire la voce del cuore per scoprire la poesia della vita – sarebbe orgoglioso di lui?
Certo l’avvocato Salvo Dell’Arte non vive nell’America bigotta e conservatrice degli anni ‘50 e poi, con quei capelli lunghi neri e sottili come un Nick Cave qualsiasi, non assomiglia neppure lontanamente all’insegnante portato sullo schermo dal compianto Robin Williams.
Eppure c’è un filo invisibile che lega i due: la capacità di suscitare interesse e curiosità durante le lezioni.
“Quando ho cominciato a insegnare, spiega Dell’Arte, docente del corso di Diritto dell’informazione e della comunicazione all’Università degli Studi di Torino ed esperto di diritti d’autore, mi sono domandato che cosa mi fosse mancato quando ero studente. La risposta era: non avere avuto docenti che sapessero coinvolgere noi allievi. Allora mi sono inventato un metodo, necessario quando devi tenerli svegli per tre ore di seguito: fare spettacolo”.
Spiegati meglio.
“Io per esempio faccio fare esercitazioni dove gli allievi realizzano delle vere e proprie pièces teatrali. Sottopongo un caso concreto, do gli atti, c’è chi fa l’accusa, chi la difesa, chi il giudice, poi lascio che si preparino. Quando arriva il momento, chiedo loro di ricostruire il processo e così creo un evento”.
E il voto da cosa dipende?
“Premetto che a me non interessa che i ragazzi conoscano i numeri del codice civile, nemmeno io li conosco tutti, se devo essere sincero. Desidero piuttosto che inizino a ragionare sui limiti e sui diritti della loro futura professione. E interessarli con esempi attuali o comunque conosciuti…”
Per esempio?
“Il caso di plagio che ha messo di fronte Al Bano contro Michael Jackson. Certo, a un primo ascolto le due canzoni – “I cigni di Balaka” e “Will you be there” – si somigliano, però Al Bano quella causa l’ha persa ed è stato pure costretto a pagare le spese processuali. Sai perché? Il brano è stato ripreso da entrambi da un vecchio motivo ormai sprovvisto di copyright, “Bless you for being an angel” datato 1939, degli Ink Spots. Nonostante i due brani fossero quasi uguali, undici note su dodici, il giudice non ha ritenuto sufficientemente creativa la melodia del cantante pugliese e quindi, non essendola, non è tutelata dal diritto d’autore”.
Dunque in questa materia si va molto a interpretazione.
“Sì, come tutto il diritto, che è una scienza umanistica, non dimentichiamolo, dove c’entra molto la sensibilità dell’uomo. E questo è uno di quei concetti che cerco di trasmettere ai miei allievi”.
Viene spontaneo domandare a Salvo Dell’Arte, docente e autore di volumi monografici, ma anche musicista conosciuto sui social come Ironwill (volontà di ferro) se sia nata prima la passione per i codici o per la musica, considerato che un avvocato in famiglia già c’era: suo padre.
“Nasce prima il musicista, avevo tredici anni, erano gli anni 70. Imparai a suonare la chitarra per fare colpo su una mia compagna delle medie che suonava proprio quello strumento”.
Musicista per amore, molto romantico…
“Avevo già provato col pianoforte ma il maestro continuava a bacchettarmi perché non ero propenso a seguire gli spartiti. Se vuoi sapere come finì, quella ragazza non mi prese minimamente in considerazione, però mi rimasero la chitarra e la passione per la musica. La mia prima band era formata da compagni di liceo. Avevamo un background musicale molto vario, con influenze dei Kiss e dei Black Sabbath, ci definivamo dark’n’heavy”.
Chi ha assistito ai suoi concerti racconta che quello che non mancava era lo spettacolo: personaggi travestiti, ragazze in abbigliamento sexy, effetti scenici, fuoco, giochi pirotecnici.
“Durante un concerto usavo un lanciafiamme sulla paletta della chitarra che veniva acceso durante un assolo. Ebbe un ritorno di fiamma verso il manico e mi ustionai leggermente la mano, ma suonammo fino alla fine. Ogni concerto ci costava un piccolo patrimonio e un sacco di rischi. Nell’87 ho smesso di suonare completamente, poi ho ripreso nel 2000 quando ho incontrato un grande maestro e bluesman come Luigi Tempera, purtroppo mancato troppo presto”.
Perché ti piace il blues?
“Perché trasmette anima, libertà, anche rabbia. Il blues è improvvisazione come la vita. Devi improvvisare cercando di trasmettere agli altri quello che provi. Un po’ come faccio quando insegno”.
Lasciamo il musicista metallaro con il giubbotto pieno di borchie e ritorniamo al Salvo Dell’Arte in giacca e cravatta con grande nodo d’ordinanza che studia il diritto d’autore e che tutti i giorni si imbatte, per esempio, in casi di scrittori che scopiazzano. Avvocato, dunque ne esistono ancora, di “copioni”?
“Quelli non mancano mai. Diciamo che esistendo soltanto trentasei situazioni in letteratura, almeno secondo quello che sosteneva Georges Polti, non è poi così difficile cadere nel tranello. Le storie sono sempre le stesse, lo scrittore può al massimo rielaborarle, in fondo non è altro che il concetto del diritto di autore. Il quale non tutela l’idea in sé, ma tutela il modo in cui si concretizza questa idea. Per esempio, io posso narrare la storia di un bambino nato e cresciuto nella giungla: un’idea non è oggetto di monopolio, ma dipende dal modo in cui sviluppo questa idea”.
Fammi un altro esempio.
“Prendiamo in esame la famosa foto di Man Ray, “Le Violon d’Ingres”, dove si vede una donna seduta spalle all’obiettivo. Le sue forme in questa posizione ricordano la sagoma di una viola e, per sottolineare l’accostamento con lo strumento musicale, sul corpo nudo compaiono due chiavi di violino. Il fotografo non ha il monopolio sul dorso della donna e non ha neanche il monopolio sulla chiave di violino. Però ha il monopolio nel mescolare queste idee e farne un qualcosa di nuovo e creativo”.
E nel campo musicale, qual è la situazione?
“Ti racconto un caso che mi ha segnalato una mia studentessa. Qualche anno fa un duo di musica lounge francese andò in Africa; registrò un lullaby, che è una ninnananna, cantata da una signora che viveva in un villaggio, la arrangiò e ne fece una hit di successo. Quel duo ha guadagnato denaro su qualcosa che non ha inventato o creato. Infatti nessuno ha diritti su quel lullaby”.
E se la signora avesse chiesto i danni?
“Nemmeno lei avrebbe avuto ragione, perché avrebbe avuto tutelati soltanto i diritti sulla voce in quanto quella ninnananna era vecchia di secoli, tramandata da sempre. D’altronde, come sappiamo, molti grandi artisti, dai Beatles ai Led Zeppelin, hanno viaggiato in luoghi ricchi di spiritualità alla ricerca di ispirazione. Ancora di recente Robert Plant è uscito con un album ricco di melodie lontane, forse mistico”.
Parliamo della rete. Quali sono i casi più spinosi che ti trovi ad affrontare?
“I furti di identità sui social sono ormai molto frequenti. Quanti sono i personaggi del mondo dello spettacolo o dello sport che si trovano su facebook a loro insaputa? Chi ha creato una pagina con il loro profilo è perseguibile per legge. E poi continuiamo la nostra battaglia contro la pedopornografia; ormai i pedofili si sono inventati i cosiddetti server mirror, server posizionati una volta in un paese, la settimana dopo nell’altro per impedire la localizzazione. I più organizzati posizionano addirittura i server su una nave in acque internazionali. E allora chi vai a reprimere? L’utilizzatore, non potendo arrivare alla fonte. Ed è comunque un reato, e uno dei peggiori. A questa si aggiunge la pedopornografia virtuale, dove il minorenne è un avatar, la riproduzione grafica di un bambino in carne e ossa. Si tratta pur sempre di un reato, dove la vittima è l’intera categoria dei minorenni”.
Visto che questa è un’intervista online, che cosa mi dici delle foto “prese” in rete?
“Premesso che internet è un luogo pubblico, ciò non significa che posso fare ciò che voglio. Prendiamo il caso più comune: le foto. Se io la prelevo da un sito e la ripubblico, violo i diritti patrimoniali di qualcuno che l’ha pubblicata. Se la prendo e me ne attribuisco la paternità, faccio una violazione di plagio. Se la prendo e la attribuisco a qualcun altro, compio un falso d’autore. Non c’è scampo”.
Dunque dobbiamo sempre andare sempre a cercare la titolarità delle foto, vero?
“Certo. E per evitare furti delle immagini che noi mettiamo in rete dovremmo firmarle con il digital watermark, quel timbro trasparente che ne certifica l’originalità. È vero che rovinano la foto, ma anche mettere le sbarre alla finestra può rovinare l’estetica dell’edificio, però evita che i ladri entrino”.
Da grande continuerai a fare l’avvocato o continuerai ancora a suonare?
“Premesso che mio padre ha esercitato fino a due giorni prima di morire a novant’anni, credo che non farò né una cosa né l’altra. Mi dedicherò al mio uliveto in Sicilia. Ho in mente di produrre olio biologico nelle terre di famiglia. Il richiamo della terra è sempre molto forte”.