Il documentario di Paolo Casalis sulla trasformazione delle Langhe
di Michela Damasco
Storie che raccontano territori e hanno il sapore della sfida aperta, perché i protagonisti sembrano andare, ostinati, in tutt’altra direzione rispetto al mondo che li circonda. Maria Teresa Mascarello, porta avanti l’azienda di famiglia e continua a produrre vino nella cantina a Barolo; Silvio Pistone ha costruito a Borgomale una casa e una stalla con 50 pecore da cui produce formaggi che vende a privati e ristoranti; Mauro Musso, perso il lavoro, si mette a fare in casa i classici tajarin piemontesi, prima per gioco e poi arrivando ad aprire la “Casa del Tajarin”, di cui è proprietario e unico dipendente.
Le loro storie hanno dato vita al film Langhe doc – Storie di eretici nell’Italia dei capannoni, diretto dal braidese Paolo Casalis, presentato in anteprima al Festival Piemonte Movie, proiettato al Festival Docaviv di Tel Aviv e vincitore della sezione documentari del Valsusa Filmfest 2011 perché, si legge nella motivazione, “è un ritorno alle origini che dimostra coraggio, fantasia e forza andando controcorrente e contrapponendosi a quanti, in nome di un falso progresso, continuano a sbagliare strada”.
Le storie di Maria Teresa, Silvio e Mauro, gli “eretici”, raccontano infatti le Langhe e le sue trasformazioni con, sullo sfondo, il degrado del nostro Paese, “l’Italia dei capannoni”, come lo definisce nel film Giorgio Bocca, che dipana il contesto in cui si muovono i tre personaggi e delinea gli scenari futuri, tra atteggiamenti passatistici e sviluppo sfrenato, candidatura all’Unesco e denunce di scempi edilizi e ambientali. “Langhe Doc, tiene a precisare Paolo Casalis, non è solo un film sulle Langhe: racconta la trasformazione culturale, paesaggistica della nostra Penisola, quindi potrebbe essere ambientato dovunque”.
La scelta non è casuale: “Sono originario di La Morra, ho trasposto nel documentario la mia esperienza, il mio vissuto”. Il suo è il punto di vista di chi lì è nato a cresciuto, di chi, poco più che bambino, tesserato in una squadra ciclistica, si allenava passando per quei luoghi. Dietro la macchina da presa diventa però anche osservatore esterno delle trasformazioni negli ultimi vent’anni: “In un arco di tempo ancora più breve del “breve spazio della mia lunga vita” di cui parla Giorgio Bocca, ho visto ogni paese e paesino, ogni buco di Langa dotarsi di un’area industriale e commerciale, quasi sempre posizionata nella parte geograficamente bassa, ma non per questo meno visibile, anzi, quasi sempre sovradimensionata”. La scelta dei tre eretici, che a molti paiono radicali, è la scelta di chi non rovina il paesaggio e quindi, per contrasto, può far emergere il negativo che vediamo, ma su cui spesso non riflettiamo con il dovuto distacco, perché, alla fine, ci adattiamo e non ci ricordiamo più di com’era prima.
I temi di Langhe Doc sono gli stessi di diversi movimenti nati per tutelare la qualità e i valori della produzione alimentare e il paesaggio dagli eccessi della cementificazione: “Il film nasce da un approccio personale e autonomo, ma può contribuire ad aumentare la sensibilità su certi argomenti: se succede, gran parte del merito va al mezzo video”.
Paolo nasce architetto, ma si definisce “non praticante. Tra me e l’architettura si è consumato un lungo divorzio consensuale: troppe regole, cavilli, burocrazia, troppa poca creatività, libertà”. Eppure, la sua formazione emerge dal film, che parla di consumo di territorio e capannoni.
Le riprese sono iniziate a marzo 2010 e terminate a novembre, per raccontare le quattro stagioni, registrando elementi del paesaggio e delle vicende dei tre protagonisti. Il montaggio ha richiesto un mese per capire quale direzione prendere e altri due di montaggio vero e proprio. Difficile quantificare il costo: “Calcolando le spese e includendo il mio lavoro, potrei ipotizzare un budget di ventimila euro, anche perché ho realizzato io stesso il lavoro di un’intera troupe, a parte le musiche e i sottotitoli in inglese”. I tempi sono di magra, se non peggio. Il film è prodotto da una piccola casa di produzione di Bra, la Stuffilm Creativeye, nata nel 2006 da un’idea di Fabio Mancari e Alberto Cravero, e messa in pratica nel 2009 con l’arrivo di Paolo e di Federico Moznich: prima uscita ufficiale, il documentario Vetro Piano, firmato da Fabio e Alberto, in concorso al David di Donatello 2010. “Siamo un gruppo di amici registi/video maker e cerchiamo di portare avanti nel miglior modo possibile i nostri progetti” dice Paolo. Il che significa produzione più “artistica” accanto ad altri lavori, autoproduzione e autodistribuzione giocate su internet: “Il trailer, che tradizionalmente era l’ultimo passaggio prima dell’uscita del dvd, precisa Fabio Mancari, che ha lavorato e collabora ancora con network nazionali e internazionali come montatore e realizzatore, diventa il volano per lanciare il film prima che sia effettivamente montato. Una volta completato, poi, vive su internet attraverso siti, facebook, aggiornamenti via twitter, youtube, vimeo”. Significa promuoversi: “Rendere il proprio lavoro un prodotto acquistabile e appetibile, aggiunge Paolo, cercare, attraverso internet, di presentarlo a più persone possibili e cercare la massima visibilità attraverso festival, presentazioni, proiezioni pubbliche”.
Per il film, Paolo ha fatto ricorso al crowdfunding, ossia la ricerca di forme di produzione partecipata: “Alcuni mesi prima dell’uscita del film, il pubblico attraverso la piattaforma internet www.produzionidalbasso.com, poteva prenotare la propria copia. Una forma per stabilire un contatto più stretto e per creare fin da subito un bacino di utenza per il proprio lavoro, e quindi i presupposti per un ritorno economico”.
Altro fattore fondamentale, la collaborazione. Fabio, infatti, ha partecipato alle riprese diLanghe Doc; la stessa cosa ha fatto Paolo per un suo documentario, che si propone di creare un dubbio, una domanda nello spettatore, riguardo lo spopolamento delle montagne. L’ultima Borgata, infatti, girato tra settembre e novembre, a cui sono seguiti 4 mesi di montaggio e che, in tutto, racconta la storia “contro” di Mario Sarotto, architetto sessantunenne col temperamento da alpino.
Dieci anni fa, durante lo studio per la realizzazione di piste montane, si è imbattuto in una serie di borgate abbandonate, tra cui Borgata Narbona, in Val Grana, dove decide di prendere provocatoriamente la residenza:
sta lavorando per ritracciare le piste per gli alpeggi, far ritornare i margari a pascolare le mucche, e studiando la possibilità di creare un ecomuseo. Di temperamento forte, seguace di una filosofia montanara, gioco di equilibri tra la natura e l’uomo, va fiero dell’appellativo di “urbanista-contro”, che si è guadagnato.“Rispettiamo i ruoli che abbiamo all’interno delle nostre produzioni”, dice Fabio. “In Langhe Doc Paolo era il regista, io mi sono occupato di gestire al meglio le riprese e la fotografia dell’intervista con Giorgio Bocca”. “L’importanza del momento,aggiunge Paolo, giustificava e anzi richiedeva una ripresa a due camere; spesso, poi, durante la lavorazione, ho cercato di ottenere dai miei soci feedback sullo stato di avanzamento del montaggio”.Se la realtà attuale è fatta non solo di riduzione, ma di taglio netto dei fondi per film, soprattutto documentari, lavorare per mesi a un progetto diventa quantomeno un azzardo. Il gioco di squadra e la creatività, non solo dietro la macchina da presa, ma anche per farsi conoscere e alla fine guadagnarci, può però ancora funzionare. Langhe doc eL’ultima borgata ne sono la prova.Info: www.stuffilm.com, www.langhedoc.it